Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17130 del 10/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 17130 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 30432-2007 proposto da:
SCAPECCHI AMEDEO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA ANTONIO BERTOLONI N.1/E, presso lo studio
dell’avvocato COGO GIAMPAOLO MARIA, rappresentato e
difeso dall’avvocato MASSARI NICOLA, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2013
contro

1693

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro
tempore,
t

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in

Data pubblicazione: 10/07/2013

ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 799/2007 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 28/05/2007 R.G.N. 194/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
del

14/05/2013

dal

Consigliere

Dott.

GIANFRANCO BANDINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO ) che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udienza

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Scapecchl Amedeo, vigile del fuoco, dopo la conclusione di un
periodo di sospensione cautelare dal servizio applicatagli per fatti di

venne nuovamente sospeso cautelarmene, con dm 30.9.1994, per la
pendenza di altri carichi penali; in data 8.9.1995 gli venne consentito
di riprendere servizio, ma, a partire dall’8.2.1998 e fino al
30.10.1999, la sospensione venne riattivata essendo stato ritenuto
che non fossero cessati gli effetti del ridetto dm 30.9.1994.

All’esito del procedimento penale (a seguito dell’ordinanza della
Corte di Cassazione del 13.5.1999, dichiarativa dell’inammissibilità
del ricorso proposto dall’imputato), conclusosi con condanna a pena
detentiva e pecuniaria, l’Amministrazione, in data 4.10.1999,
contestò l’addebito disciplinare; a conclusione del procedimento
disciplinare, con dm 1°.2.2000, venne inflitta all’incolpato la sanzione
della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per giorni 10.
Lo Scapecchi convenne quindi in giudizio il Ministero dell’Interno,
chiedendo, per quanto ancora interessa in questa sede, che il
periodo di lavoro effettivamente prestato, pur in pendenza del
provvedimento cautelare sospensivo, venisse considerato utile a tutti
gli effetti, giuridici ed economici, e non soltanto ai fini previdenziali,
come disposto dall’Amministrazione, e che venisse dichiarato il suo
diritto alla percezione degli interi trattamenti retributivi relativi ai due
periodi di (effettiva) sospensione dal servizio.

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rilevanza penale in ordine ai quali era stato prosciolto per amnistia,

Il primo Giudice respinse le domande e la Corte d’Appello di Bari,
con sentenza del 7 – 28.5.2007, rigettò il gravame proposto dallo
Scapecch i.

A sostengo del decisum la Corte territoriale ritenne quanto segue:
– la fattispecie disciplinare contestata prevede necessariamente il
passaggio in giudicato della sentenza penale e si era pertanto
perfezionata soltanto nel 1999, con la ricordata pronuncia della Corte
di Cassazione, sicché ritualmente l’Amministrazione aveva
proceduto

alla

contestazione

solo

in

data

4.10.1999,

consequenzialmente adottando, all’esito del procedimento, le norme
disciplinari di cui al CCNL in allora vigente, piuttosto che quelle,
secondo quanto invocato dall’appellante, di cui al dpr n. 3/57;
– pur nella decisività delle suddette considerazioni, andava
puntualizzato che anche il provvedimento di sospensione cautelare
di cui al dm 30.9.1994, ancorché formalmente emanato ai sensi
dell’art. 91 dpr n. 3/57, ricadeva nella sopravvenuta disciplina
contrattuale introdotta con il CCNL 1994-1997, con particolare
riferimento agli artt. 39 e 40, regolanti le ipotesi di sospensione
cautelare dal servizio; il CCNL 1994-1997 risultava infatti applicabile
retroattivamente (dal 1°.1.1994) rispetto alla sua stipulazione, atteso
che:
la clausola transitoria ex art. 71 del medesimo contratto consentiva
che venisse portato a termine secondo le vecchie procedure solo un
procedimento disciplinare in corso alla data di stipulazione del
contratto collettivo, mentre quello all’esame all’epoca non era ancora

4

/-

iniziato, posto che la sospensione cautelare era conseguita alla
pendenza di un procedimento penale;
l’ulteriore clausola contrattuale transitoria dell’art. 72 prevedeva la

“materie e gli istituti non disciplinati dal presente contratto, ai sensi
dell’art. 72 del d.lgs. n. 29 del 1993”, dal che risultava dimostrata

l’inefficacia, già a quell’epoca, della disciplina di cui agli artt. 90 e 91
dpr n. 3/57;
risultava

così

spiegato

il

provvedimento

adottato

dall’Amministrazione nel febbraio 1998, con il quale, proprio in
ragione della sopravvenienza del CCNL 1994-97 (il cui art. 40,
comma 8, stabiliva che “Quando vi sia stata sospensione cautelare
dal servizio a causa di procedimento penale, la stessa conserva
efficacia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non
superiore a cinque anni”), era stata ribadita la permanenza, in

assenza di revoca, degli effetti sospensivi del dm 30.9.94,
interrompendo così l’avvenuta irregolare ripresa del servizio del
dipendente;
– l’Amministrazione aveva fatto corretta applicazione della
normativa pattizia, che riconosceva la

restituito in integrum al

dipendente sospeso dal servizio a seguito di procedimento penale
esclusivamente nel caso di sentenza definitiva di assoluzione,
indipendentemente dal tipo ed entità della sanzione disciplinare
conclusivamente irrogata.

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persistente efficacia “delle norme di legge …. vigenti” solo per le

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Scapecchi
Amedeo ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione di
plurime disposizioni di legge e di contratto collettivo nazionale di
lavoro, si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto che il
provvedimento di sospensione ricadesse nella sopravvenuta
disciplina contrattuale collettiva, contrastandovi il disposto dell’art. 71
dl.vo n. 165/01; erroneamente, inoltre, la Corte territoriale aveva
ritenuto che il CCNL 1998-2001 disciplinasse per intero la fattispecie
disciplinare.
Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione di
plurime disposizioni di legge e di contratto collettivo nazionale di
lavoro, nonché vizio di motivazione, si duole che la Corte territoriale
abbia ritenuto, in applicazione della normativa pattizia,
l’insussistenza del diritto del dipendente alla restituito in integrum per
itnyitta
il periodo eccedente quello di sospensione del servizio =nriatata a
titolo di sanzione disciplinare.
Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione di plurime
disposizioni di diritto, deduce, “per completezza difensiva”, che nel
concetto di retribuzione rientrano anche le componenti accessorie,
cosicché, in base alle previsioni dell’art. 1126 cc, il periodo di servizio
effettivamente svolto avrebbe dovuto essere computato per tutti gli

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tai

MOTIVI DELLA DECISIONE

effetti giuridici, economici e previdenziali scaturenti o connessi allo
svolgimento del sinallagma lavorativo.
2. Il primo motivo è infondato, perché, quale che fosse la disciplina

gli atti della successiva procedura disciplinare, e quindi anche le
conseguenze derivanti dalla sanzione irrogata, soggiacciono alla
normativa vigente al momento della loro emanazione e, pertanto,
alle previsioni del CCNL.
3. Il secondo motivo è invece fondato.
La questione è già stata esaminata, in fattispecie parzialmente
analoga, ancorché disciplinata da una diversa fonte contrattuale
collettiva, dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr, Cass., n.
4061/2012), che l’ha risolta con l’applicazione del principio secondo
cui, laddove la disciplina pattizia collettiva, stabilendo che quanto
corrisposto a titolo di indennità al pubblico impiegato nel periodo di
sospensione cautelare dal servizio dev’essere conguagliato con
quanto dovuto se il lavoratore fosse rimasto in servizio i solo in caso
di assoluzione (con formula piena, secondo la normativa pattizia di
cui al ricordato precedente; di assoluzione, senza ulteriori
specificazioni, secondo la disciplina applicabile nel caso che ne
occupa), abbia innovato rispetto alla precedente disciplina
pubblicistica (art. 96 dpr n. 3/57), che permetteva il conguaglio in
caso di sospensione dalla qualifica per durata inferiore alla
sospensione cautelare sofferta ovvero di inflizione di una sanzione
minore ovvero ancora di proscioglimento dell’impiegato,

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applicabile al momento del provvedimento di sospensione cautelare,

trasformando così la sospensione cautelare della retribuzione in
provvedimento definitivo, ossia sostanzialmente in pena disciplinare,
Tale nuova disciplina non può trovare applicazione agli illeciti

fattispecie che qui ne occupa, posto che i fatti oggetto di
incolpazione sono antecedenti all’entrata in vigore della disciplina
contrattuale collettiva).
Ed invero la disciplina contrattuale collettiva (art. 40 CCNL 19941997; art. 19 CCNL 1998-2001, che mantiene in vigore anche le
norme “contrattuali che non sono espressamente abrogate”), nel
prevedere, per il caso di sospensione cautelare in caso di
procedimento penale (e a differenza di quanto stabilito per l’ipotesi di
sospensione cautelare in corso di procedimento disciplinare), che “In
caso di sentenza definitiva di assoluzione, il dipendente è reintegrato
in servizio a tutti gli effetti, ivi compresa la valutazione nell’anzianità
di servizio del periodo di sospensione. Quanto corrisposto nel
periodo di sospensione cautelare a titolo di indennità verrà
conguagliato con quanto dovuto al lavoratore a titolo di retribuzione
per il periodo di sospensione del rapporto”, lascia priva di disciplina
l’ipotesi di condanna o di proscioglimento dell’imputato con altre
formule, onde la lacuna deve essere colmata in via interpretativa.
4. In definitiva, restando assorbito il terzo motivo di ricorso, la

sentenza impugnata dev’essere cassata in relazione alla censura
accolta, con rinvio al Giudice designato in dispositivo, che procederà

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disciplinari commessi prima della sua entrata in vigore (e quindi alla

a nuovo esame, conformandosi all’indicato principio di diritto, e
provvederà altresì sulle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.

dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione
alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello
di Bari in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 14 maggio 2013.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e

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