Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17130 del 09/08/2011

Cassazione civile sez. II, 09/08/2011, (ud. 18/04/2011, dep. 09/08/2011), n.17130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

H.U., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Ronciglione n. 3, presso lo studio dell’Avvocato GULLOTTA Fabio, dal

quale è rappresentato e difeso, unitamente all’Avvocato Flavio

Moccia, per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

N.E., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Giulio

Cesare n. 14/A/4, presso lo studio dell’Avvocato PAFUNDI Gabriele,

dal quale è rappresentata e difesa, unitamente all’Avvocato Osvaldo

Valenti, per procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento, sezione

distaccata di Bolzano, n. 101 del 2006, depositata il 27 maggio 2006.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 18

aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per la resistente, l’Avvocato Gabriele Pafundi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. LETTIERI Nicola, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 11 aprile 1998, N.E. conveniva dinnanzi al Tribunale di Bolzano H.U. per sentire dichiarare che la signora H. M. in data 16 ottobre 1997 – giorno della stipula del contratto di donazione a favore del convenuto di un immobile sito in (OMISSIS) – era totalmente incapace di intendere e di volere; per sentire di conseguenza annullare il predetto contratto, con accertamento della proprietà in capo ad essa attrice in forza del testamento olografo redatto dalla signora H. in data 17 settembre 1995; per sentire accertare che il convenuto aveva sottratto parte del corredo e dell’arredo dell’immobile, e per sentire condannare il medesimo convenuto al pagamento della somma di L. 30.000.000 a titolo di risarcimento danni, nonchè al rilascio dell’immobile libero da persone, con tutto l’arredo e il corredo ivi ancora riposto.

Si costituiva il convenuto, chiedendo il rigetto di tutte le domande.

L’adito Tribunale, assunte le prove orali articolate dalle parti ed espletata una consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza depositata il 17 febbraio 2005, annullava il contratto di donazione in data 16 ottobre 1997 in favore del convenuto, per incapacità di intendere e di volere della donante al momento della stipula dell’atto;

dichiarava l’attrice proprietaria dell’immobile sito in (OMISSIS) in forza del testamento olografo del 17 settembre 1995; ordinava al convenuto la consegna immediata dell’immobile e compensava tra le parti le spese del giudizio.

Avverso questa sentenza H.U. proponeva appello, cui resisteva la N., la quale proponeva a sua volta appello incidentale dolendosi della compensazione immotivata delle spese di lite.

La Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, rigettava l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale, poneva a carico dell’appellante principale le spese del giudizio di primo grado, nonchè quelle del giudizio di appello.

Richiamata la giurisprudenza di legittimità che ritiene possibile accertare lo stato di incapacità naturale anche alla luce delle condizioni psichiche del contraente accertate in un ambito temporale precedente e successivo rispetto al momento di stipulazione del contratto, la Corte d’appello ha rigettato il motivo di gravame con il quale l’appellante si doleva del fatto che il Tribunale avesse ritenuto le prove testimoniali idonee a dimostrare la condizione di incapacità naturale, pur se le deposizioni non si riferivano proprio al momento in cui era stato sottoscritto l’atto di donazione.

La Corte ha rigettato poi il motivo di appello concernente la ripartizione dell’onere della prova, ritenendo che in presenza di una infermità psichica tale da determinare la totale incapacità del soggetto in due momenti prossimi nel tempo, la sussistenza della incapacità nel periodo intermedio doveva ritenersi assistita da una presunzione iuris tantum, con la conseguenza che sarebbe spettato a chi voleva far valere la validità del contratto dimostrare che questo era stato formato in un momento di lucido intervallo. Circa la consistenza della patologia dalla quale era affetta la donante, la Corte d’appello ha condiviso le conclusioni del consulente tecnico nominato nel giudizio di primo grado, il quale aveva espresso il proprio convincimento nel senso che già a gennaio del 1997 la patologia dalla quale era affetta la donante fosse la demenza arterio- sclerotica, confermata successivamente più volte sino al suo decesso, e caratterizzata da una progressiva ingravescenza, tanto che già nel marzo del 1997 le era stata concessa la pensione di invalidità civile per non essere ella in grado di valutare le conseguenze delle proprie azioni. Valutazione, questa, avvalorata sia dal giudizio espresso circa quattro mesi prima della donazione da una specialista incaricata di valutare la capacità di intendere e di volere della H. da una persona che intendeva concludere con la medesima un contratto, e che aveva diagnosticato una sindrome demenziale in stato avanzato con conseguente incapacità in ordine alla cura dei propri interessi; sia dalle risultanze del ricovero avvenuto il 18 dicembre 1997, sicchè sussistevano le condizioni per ritenere operante la presunzione di incapacità intermedia al momento della donazione, con conseguente inversione dell’onere della prova. E l’appellante principale non aveva dimostrato che la donazione era stata fatta in un momento di lucido intervallo. A fronte delle specifiche valutazioni espresse dagli specialisti, la Corte d’appello riteneva che le deposizioni indicate dall’appellante come non valutate adeguatamente dal Tribunale fossero in realtà inidonee a dare la prova che l’atto era stato sottoscritto in un momento di lucidità.

La Corte d’appello accoglieva invece l’appello incidentale, rilevando che non vi era alcuna ragione per non fare applicazione del principio della soccombenza, destinato ad operare anche nel giudizio di appello.

Per la cassazione di questa sentenza H.U. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi; l’intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce il vizio di illogicità e manifesta contraddittorietà della motivazione, in ordine alla ritenuta esistenza di una patologia a carattere permanente, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 428 cod. civ., in relazione all’art. 2697 cod. civ..

Il ricorrente contesta la pertinenza, nel caso di specie, del principio affermato da Cass. n. 4539 del 2002, atteso che detta pronuncia fa riferimento ad una situazione – l’accertamento della totale incapacità del soggetto per effetto di una infermità a carattere permanente – che non risultava in alcun modo provata, atteso che la donante, come riconosciuto anche dalla Corte d’appello, soffriva di demenza arteriosclerotica, e cioè di una patologia caratterizzata da un decorso fluttuante, rappresentato dall’alternarsi di periodi di capacità a periodi di incapacità.

Inoltre, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, nella valutazione della incapacità naturale non può prescindersi dalla natura della patologia, se permanente o no, atteso che da detta qualificazione discendono conseguenze rilevanti sul piano del riparto dell’onere della prova.

A conclusione del motivo, il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “se, ai fini dell’accertamento dell’invalidità del contratto di donazione per incapacità naturale del donante, l’accertamento della natura di patologia permanente o intermittente e/o ricorrente cui il medesimo era affetto, sia da ritenersi presupposto indefettibile per l’applicazione del criterio desumibile dal principio enunciato da Cass. Civ. 28.03.2002, n. 4539, concernente la presunzione iuris tantum di incapacità del donante al momento della stipulazione del negozio, con conseguente inversione dell’onere della prova tra le parti”.

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia il vizio di illogicità e manifesta contraddittorietà della motivazione, osservando che la piena capacità di intendere e di volere della donante emergeva dal fatto che i sanitari dell’Ospedale di (OMISSIS), al momento delle dimissioni della stessa, avevano osservato che “dopo un miglioramento dei sintomi la sig.ra H. ha rifiutato la terapia curativa con le medicine e inoltre ogni terapia di tipo motorio (…) l’interruzione volontaria di una medicina può essere pericolosa”, in tal modo ritenendo implicitamente la H. in grado di poter esprimere un dissenso valido al trattamento sanitario prescrittole.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento alla sollecitata rinnovazione delle indagini tecniche finalizzate all’accertamento della patologia dalla quale era affetta la donante e della incidenza della stessa sulla sua capacità di intendere e di volere al momento della donazione.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Il ricorrente, nel censurare la sentenza impugnata, segnatamente con il primo motivo, muove dall’assunto secondo cui la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere applicabili al caso di specie i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento della incapacità di intendere e di volere e di ripartizione dell’onere probatorio, giacchè l’applicazione di tali principi postulerebbe l’accertamento della natura permanente della patologia idonea ad incidere sulla capacità del soggetto;

accertamento, questo, che, nella specie, non sarebbe stato effettuato dal giudice del merito.

In contrario, si deve osservare che la Corte d’appello ha evidenziato come “la più esatta diagnosi delle condizioni di salute nelle quali versava la H. non è quella di semplice demenza senile, ma quella che emerge dalle inequivoche e condivisibili considerazioni del ctu Dott. D.N. secondo cui già nel gennaio del 1997 la patologia doveva essere considerata quella di demenza arteriosclerotica (…), quale è stata poi sempre confermata fino all’exitus, con aggravamento progressivo delle condizioni psicofisiche della paziente, tale da considerarla già il primo marzo 1997 non in grado di valutare le conseguenze delle proprie azioni, secondo il collegio di tre medici che le concessero la pensione di invalidità civile”. Che la pensione di invalidità – concessa alla donante per l’accertata esistenza di una invalidità del 100% – fosse riferibile proprio alla patologia idonea ad incidere sulla capacità di intendere e di volere risulta poi chiaramente dalla sentenza impugnata, nella quale si evidenzia come la Commissione medica ebbe ad accertare che “la paziente – oltre che disorientata nel tempo e nello spazio – faceva mostra di non riuscire a comprendere le situazioni e di non essere in grado di valutare le conseguenze delle proprie azioni”.

Appare quindi chiaro, da quanto ora riportato, che la Corte d’appello – contrariamente a quanto affermato dal ricorrente – ha valutato la patologia dalla quale era affetta la donante come una patologia permanente, essendo una simile condizione implicita nella accertata ingravescenza della patologia stessa. E tale apprezzamento risulta poi corroborato da ulteriori elementi probatori. In particolare, la Corte d’appello ha rilevato che la valutazione della commissione medica è stata poi ribadita da una specialista in neurologia e psichiatria nel giugno 1997 all’esito di un accertamento specificamente volto a verificare se la H. fosse o no capace di intendere e di volere proprio con riferimento al compimento di un atto di disposizione patrimoniale. La detta specialista ebbe infatti ad accertare l’esistenza di “un processo demenziale del tutto invalidante”, già quattro mesi prima del compimento dell’atto oggetto della domanda di annullamento.

Ed ancora, la Corte ha concluso il proprio apprezzamento sottolineando come all’incirca due mesi dopo la conclusione del contratto la H. fu ricoverata per un ictus cerebrale con emiparesi destra e come in tale occasione anche un accertamento strumentale ebbe ad evidenziare un aggravamento della atrofia cerebrale già rilevata nel gennaio 1997.

In sostanza, la Corte d’appello, condividendo le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ha valutato la patologia dalla quale era affetta la donante come patologia di natura permanente e di entità tale da determinare una situazione di incapacità di intendere e di volere sulla base di un quadro clinico attestante l’esistenza della patologia di natura permanente sia prima che dopo il perfezionamento dell’atto della cui validità si discute e soprattutto la ingravescenza di detta patologia.

Sulla base di un simile accertamento di fatto, la Corte d’appello ha dunque puntualmente fatto applicazione dei principi di diritto affermati da questa Corte, e segnatamente di quello secondo cui, ®accertata la totale incapacità di un soggetto in due determinati periodi, prossimi nel tempo, per il periodo intermedio la sussistenza dell’incapacità è assistita da presunzione iuris tantum, sicchè, in concreto, si verifica l’inversione dell’onere della prova nel senso che, in siffatta ipotesi, deve essere dimostrato, da chi vi abbia interesse, che il soggetto abbia agito in una fase di lucido intervallo” (Cass. n. 4539 del 2002). E la Corte d’appello ha ritenuto che una simile prova non sia stata fornita dall’appellante, odierno ricorrente.

Il primo motivo di ricorso è quindi infondato, atteso che il quesito di diritto con il quale esso si conclude muove da una premessa – quella che la Corte d’appello non avrebbe accertato la natura permanente della patologia dalla quale era affetto la donante – erronea, avendo di contro il giudice del merito puntualmente argomentato in ordine a tale rilevante aspetto della controversia.

Inammissibile è invece il secondo motivo di ricorso, atteso che con esso il ricorrente pone in discussione l’apprezzamento offerto dalla Corte d’appello di una singola risultanza probatoria , e cioè della circostanza che i sanitari dell’Ospedale di (OMISSIS) ebbero a dimettere la H. a seguito del rifiuto dalla stessa opposto alla assunzione delle prescritte terapie, con ciò postulando che la paziente fosse in grado di esprimere un valido dissenso in ordine alla terapia prescrittale; e ciò sul presupposto che, altrimenti, i medesimi sanitari avrebbero dovuto procedere ad un trattamento sanitario obbligatorio. Tale censura, invero, si risolve nel proporre una lettura della richiamata circostanza di fatto diversa da quella motivatamente offerta dalla Corte d’appello, che ha invece ritenuto tale fatto non solo del tutto compatibile con la condizione di incapacità di intendere e di volere della paziente, ma addirittura idoneo a confermare il giudizio di incapacità già formulato.

L’assunto difensivo difetta poi della esplicitazione degli elementi sulla base dei quali i sanitari avrebbero dovuto ritenere sussistenti le condizioni per procedere ad un trattamento sanitario coattivo.

Infondato è infine il terzo motivo, con il quale il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello non abbia tenuto conto della istanza di rinnovo delle indagini tecniche al fine di accertare la patologia dalla quale era affetta la donante.

La Corte d’appello, invero, ha affermato l’adozione del criterio desumibile dalla sentenza di questa Corte n. 4539 del 2002 “consente di prescindere da teoriche disquisizioni circa i la natura permanente o intermittente dell’incapacità di intendere e di volere generata da un determinato tipo di patologia e consente invece di accentrare l’attenzione sulle concrete e storiche vicende che caratterizzano l’evoluzione di uno stato patologico di un determinato soggetto, valutato nella concretezza del dato di fatto e non nell’astratta e vaga valorizzazione del dato statistico (sul quale di fatto si incentrano i rilievi contenuti negli elaborati tecnici valorizzati dalla parte appellante), tanto più inappagante quando di fa riferimento ad un genus dai contorni così ampi e multiefficace (sotto il profilo del deterioramento cerebrale) come quello della demenza senile”. Il giudice del merito ha quindi valutato le deduzioni difensive dell’appellante e le ha ritenute inidonee a contrastare il giudizio del c.t.u., corroborato, peraltro, dagli altri elementi prima evidenziati, sicchè la censura di omessa motivazione in ordine alla rappresentata esigenza di chiarimenti del consulente tecnico d’ufficio a seguito delle considerazioni svolte dal proprio consulente di parte risulta del tutto inconsistente.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2011

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