Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17129 del 14/08/2020

Cassazione civile sez. I, 14/08/2020, (ud. 04/11/2019, dep. 14/08/2020), n.17129

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35429/2018 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in Veggiano Via Borgo

Santa Maria 53 presso lo studiodell’Avv.to Maria Pia Rizzo che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1282/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/11/2019 da MELONI MARINA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Venezia con sentenza in data 18/5/2018, ha accolto l’appello proposto dall’Avvocatura dello Stato avverso la decisione del Tribunale di Venezia il quale, a modifica del provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona in ordine alle istanze avanzate da D.M. nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, aveva concesso al medesimo la protezione sussidiaria.

Il ricorrente aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona di essere fuggito dal proprio paese perchè il suo negozio era stato oggetto di rapina da parte di malviventi che avevano ucciso una sua dipendente e continuavano a minacciarlo anche dopo l’accaduto.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della Direttiva 2011/95 UE c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la Corte di Appello di Venezia ha confermato il provvedimento di rigetto affermando che la situazione di violenza in Mali era limitata ad una determinata area del paese e non in tutto lo Stato di origine e così facendo ha violato la normativa di cui sopra in quanto, al contrario di altri Stati, lo Stato italiano non aveva recepito l’art. 8 della direttiva e pertanto non era consentito negare la protezione allo straniero anche se nello Stato di origine avrebbe potuto trasferirsi e stabilirsi in una zona sicura del territorio lontano da quella pericolosa.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14, lett. C), e D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello ha escluso i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria senza esaminare correttamente la situazione di violenza in Mali e non ha usato informazioni aggiornate e precise sulla situazione dei paesi di origine reperibili su siti affidabili in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la Corte, nonostante la situazione di vulnerabilità e le violenze subite dal ricorrente oltre allo stato di integrazione raggiunta non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria.

Il ricorso è privo di fondamento.

Il primo motivo di ricorso è infondato. Infatti è vero che “In tema di protezione internazionale dello straniero, il riconoscimento del diritto ad ottenere lo “status” di rifugiato politico, o la misura più gradata della protezione sussidiaria, non può essere escluso, nel nostro ordinamento, in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del Paese d’origine, ove egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, atteso che tale condizione, contenuta nell’art. 8 della Direttiva 2004/83/CE, non è stata trasposta nel D.Lgs. n. 251 del 2007, essendo una facoltà rimessa agli Stati membri inserirla nell’atto normativo di attuazione della Direttiva.” Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2294 del 16/02/2012.

Nella fattispecie tuttavia la sentenza impugnata non afferma che lo straniero, tornato in patria, deve trasferirsi in zona diversa da quella di provenienza che tra l’altro non risulta quale sia e non emerge dagli atti ma, al contrario, che nella zona Sud del paese non sussistono situazioni di violenza e pericolo in caso di rimpatrio e che nella zona Nord non sussiste uan situazione di violenza generalizzata di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. C), pertanto la censura avanzata non coglie nel segno ed appare infondata.

Gli ulteriori motivi proposti contengono una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione dal Tribunale territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento. Il Tribunale infatti ha ritenuto che doveva escludersi l’esistenza dei presupposti per accordare la protezione dello status di rifugiato.

In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria il Giudice ha correttamente ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva che le minacce a carattere meramente privatistico e l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludano il diritto alla protezione sussidiaria. La censura si risolve quindi in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014). Inoltre, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, la Corte ha adempiuto al proprio dovere di cooperazione istruttoria facendo riferimento alle notizie risultanti da siti internet dai quali ha evinto che nonostante le situazioni critiche di sicurezza, povertà e di ordine pubblico nel Mali non sussiste una situazione di conflitto armato interno.

In ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria il motivo si rileva inammissibile, a prescindere da ogni questione concernente l’applicazione al caso di specie della normativa recentemente introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito con modificazioni dalla L. n. 132 del 2018, in quanto censura l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente: il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dalla Corte di merito (in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

Quanto poi al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo e dell’avvenuta integrazione dello straniero in Italia esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

Per quanto sopra il ricorso proposto deve essere respinto con condanna alle spese del ricorrente.

Infine deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se e in quanto l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 2,100, oltre spese prenotate a debito. Ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater, se e in quanto l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 4 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2020

 

 

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