Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17129 del 09/08/2011

Cassazione civile sez. II, 09/08/2011, (ud. 06/10/2010, dep. 09/08/2011), n.17129

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.M., C.M.A., in proprio e

nella qualità di procuratrice generale di F.A., P.

O., elettivamente domiciliati in Roma, via Gaetano Donizzetti

n. 20, presso lo studio dell’Avvocato PETRECCHIA Bruno, dal quale

sono rappresentati e difesi per procura speciale per atto notaio

Maria Antonietta Vitti di Roma del 9 luglio 2010, rep. n. 17004;

– ricorrenti –

contro

P.S., elettivamente domiciliato in Roma, Corso d’Italia n.

97, presso lo studio dell’Avvocato Flavio De Battista, rappresentato

e difeso dall’Avvocato MARIANI Alessandro per procura speciale a

margine del ricorso;

– controricorrente –

nonchè nei confronti di:

C.S., C.U., quali eredi di

C.G.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5294/06,

depositata il 30 novembre 2006.

Udita, la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18

aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentiti, per i ricorrenti, l’Avvocato Bruno Petrecchia e, per il

resistente, l’Avvocato Alessandro Mariani;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. LETTIERI Nicola, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 30 ottobre 1992, P.S. conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Roma, C.L., P. e G., assumendo che questi ultimi, con scrittura privata del 24 gennaio 1981, avevano promesso di vendergli i 3/4 dell’immobile sito in (OMISSIS), per il prezzo di L. 16.500.000, interamente pagato al momento della sottoscrizione; che nella scrittura i convenuti avevano dichiarato che i diritti immobiliari erano loro pervenuti per successione da G.A., deceduta il (OMISSIS), che a sua volta li aveva ricevuti in virtù di assegnazione effettuata dalle Ferrovie dello Stato con contratto del 17 febbraio 1965; che solo C.G. aveva risposto all’invito che esso attore aveva rivolto ai convenuti di presentarsi dal notaio per la stipula del definitivo. Chiedeva quindi che, riconosciuta la scrittura privata del 1981, venisse trasferita ad esso attore (già proprietario del residuo quarto) la quota dei convenuti, oltre al risarcimento del danno, da liquidarsi in via equitativa.

Si costituivano in giudizio L. e C.P. chiedendo il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, l’annullamento del contratto preliminare del 24 gennaio 1981, perchè concluso senza il consenso dei rispettivi coniugi di essi convenuti, con i quali erano in comunione dei beni.

Intervenivano in giudizio P.O. e F.A., coniugi di L. e C.P., aderendo alle conclusioni dei loro coniugi.

Con sentenza depositata il 23 aprile 2002, il Tribunale di Roma, in esecuzione del contratto preliminare, trasferiva al P. la proprietà di 3/4 dell’appartamento e condannava i convenuti al risarcimento dei danni, liquidati in L. 20.000.000, oltre interessi legali dalla sentenza. Il Tribunale riteneva in particolare infondata la domanda di annullamento del preliminare, sul rilievo che detto contratto aveva ad oggetto un bene personale dei promittenti venditori, in quanto loro pervenuto per successione.

Proponevano appello L. e C.P. e i loro coniugi;

resisteva il P., il quale proponeva appello incidentale sulle spese. Veniva disposta ed eseguita l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di C.G., che peraltro rimanevano contumaci.

Con sentenza depositata il 30 novembre 2006, la Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello principale limitatamente alla domanda di danni; ha rigettato l’appello incidentale e ha compensato tra le parti le spese dell’intero giudizio.

La Corte d’appello ha rilevato che, con atto del 17 febbraio 1965, l’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato ebbe a cedere in proprietà l’appartamento oggetto di causa alla G., la quale contestualmente accettò la cessione per sè e per i suoi aventi causa, ai sensi delle disposizioni dell’allora vigente D.P.R. n. 2 del 1959, parzialmente modificate dalla L. n. 231 del 1962, che configuravano la cessione come un trasferimento di proprietà sospensivamente condizionato al pagamento integrale del prezzo convenuto, secondo uno schema accostabile a quello della vendita con riserva della proprietà. Ha quindi rilevato che, coerentemente con tale configurazione giuridica della fattispecie traslativa in questione, l’atto notarile del 30 marzo 1992 risultava intitolato estinzione di debito e conferma di trasferimento della proprietà ed aveva sostanzialmente il contenuto di un atto di constatazione della avvenuta verificazione della condizione cui era sottoposta la cessione in proprietà convenuta nel 1965. All’atto notarile del 1992 doveva quindi attribuirsi natura meramente ricognitiva del trasferimento del diritto in capo agli eredi legittimi della G., nella quota a ciascuno spettante per legge; e doveva con- seguentemente ritenersi che i C. fossero subentrati per successione nella qualità di cessionari dell’alloggio (non già nel mero diritto alla cessione), e cioè nella qualità già attribuita alla G. dall’atto del 1965. Il bene, pertanto, doveva ritenersi sottratto al regime della comunione legale dei beni ai sensi dell’art. 179 cod. civ., lett. c), in quanto acquistato per effetto di successione, non valendo la circostanza che il prezzo era stato pagato anche dopo la morte della G. a mutare la configurazione giuridica della fattispecie, riconducibile ad un acquisto iure successionls in capo ai C..

Quanto alla statuizione relativa ai danni, pure impugnata dagli appellanti, la Corte d’appello ha rigettato la domanda di danni, ritenendo la statuizione del Tribunale sul punto priva di motivazione, e difettando comunque una specifica allegazione, da parte del Pili, circa la reale consistenza del danno subito.

Per la cassazione di questa sentenza C.M., C.M.A., P.O. e F.A. hanno proposto ricorso sulla base di tre motivi.

Con ordinanza emessa all’udienza del 27 febbraio 2009, è stata disposta la rinnovazione della notificazione a P.S., C.S., C.U. e agli eredi di L. R., con termine di 120 giorni per l’adempimento.

A seguito della rinnovazione della notificazione, ha resistito con controricorso, P.S..

Non risultando depositato l’atto con il quale i ricorrenti avevano effettuato la rinnovazione della notificazione del ricorso, come stabilito dalla citata ordinanza, è stata disposta la trattazione del ricorso in Camera di consiglio, prospettandosi la possibilità di definire il giudizio con una decisione di improcedibilità del ricorso.

Con ordinanza n. 98 del 2011, emessa all’esito dell’adunanza in camera di consiglio del 6 ottobre 2010, questa Corte ha rilevato che i ricorrenti, il cui difensore era deceduto, avevano provveduto al deposito del ricorso notificato e ha ritenuto che, a tale fine, potessero essere rimessi in termini.

La trattazione del ricorso è quindi stata fissata per l’udienza pubblica del 18 aprile 2011. In prossimità dell’udienza, i ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 1523 e 1360 cod. civ. rilevando che sia le Ferrovie dello Stato nel 1965, sia la Corte d’appello nella sentenza impugnata hanno configurato la cessione in proprietà dell’immobile di (OMISSIS) come vendita con riserva di proprietà in favore dell’Azienda cedente fino al totale pagamento del prezzo, che si sarebbe verificato col pagamento della 240 rata. Rilevano quindi che, essendo la cessione stata stipulata nel 1965 ed essendo la G. deceduta nel (OMISSIS), il pagamento delle residue rate era stato fatto dai figli della G., i quali avevano così acquistato la proprietà sull’immobile con il pagamento dell’ultima rata, e cioè nel 1992. In tale contesto, sostengono i ricorrenti, doveva ritenersi che ai C. fosse pervenuto aure successionis il diritto a pretendere il trasferimento di proprietà dell’immobile, mentre la proprietà era stata loro trasferita solo con il pagamento dell’ultima rata del prezzo, dovendosi escludere la retroattività del verificarsi della condizione avendo le parti inteso che detto effetto si verificasse al pagamento dell’ultima rata.

A conclusione del motivo, i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto: “Nel caso in cui le parti di una compravendita di un bene immobile abbiano stabilito che il trasferimento della proprietà abbia luogo solo dopo il pagamento dell’ultima rata del prezzo, gli effetti dell’avverarsi della condizione (costituita dal pagamento dell’ultima rata), ossia il trasferimento di proprietà, retroagiscono al tempo della conclusione del contratto o operano, come noi riteniamo, solo dal momento del verificarsi della condizione? Il che val quanto dire: l’avveramento della condizione opera ex tunc o ex nunc?”.

Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 177, 179 e 184 cod. civ.. Una volta accertato che il trasferimento della proprietà dell’immobile si era verificato nel 1992, e cioè con l’avveramento della condizione, il bene non poteva essere considerato altro che come acquistato da essi ricorrenti in regime di comunione legale, con conseguente annullamento del contratto per non essere stato sottoscritto anche dai coniugi.

A conclusione del motivo, i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto: “Un bene acquistato durante il matrimonio in regime di comunione legale e non per donazione o successione (vedasi primo motivo) può essere alienato senza il necessario consenso del coniuge? Ed ove lo sia può (come fermamente riteniamo) il relativo negozio essere annullato?”.

Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono ulteriore violazione degli artt. 177, 179 e 184 cod. civ., con riferimento all’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il “bene resta sottratto, ai sensi dell’art. 179 cod. civ., lett. b), al regime della comunione legale tra detti eredi ed i rispettivi coniugi, in quanto acquistato per effetto di successione”.

In proposito, i ricorrenti rilevano che la proprietà del bene è stata formalmente trasferita direttamente dall’Azienda Ferrovie dello Stato ai C., mentre agli stessi, per successione, era pervenuto solo il diritto a pretendere il compimento di un atto di trasferimento.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: “Quale è il senso della espressione “per effetto di successione” nell’art. 179 c.c., lett. b, il significato di attribuzione diretta del bene nel testamento o nella divisione di eredità intestata, come sembra chiaramente dimostrato e autorizzato anche dalla menzione del testamento come sede per includere il bene nella comunione, o un significato ampio ma vago, flessibile, impreciso come sembra pensare la Corte d’appello nella sentenza impugnata?”.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Dalla sentenza impugnata emerge chiaramente che la Corte d’appello, pur non negando che la cessione dell’alloggio in proprietà alla Giorgini, avvenuta secondo le disposizioni dell’allora vigente D.P.R. n. 2 del 1959 – che configuravano la cessione come un trasferimento di proprietà sospensivamente condizionato al pagamento integrale del prezzo convenuto, secondo uno schema accostabile a quello della vendita con riserva della proprietà -, ha tuttavia rilevato che l’atto notarile del 30 marzo 1992, risultava intitolato come atto di “estinzione di debito e conferma di trasferimento della proprietà”, interpretandone la portata come mera constatazione dell’avvenuta verificazione della condizione cui era sottoposta la cessione in proprietà con l’atto del 1965. La Corte d’appello ha quindi attribuito all’atto notarile del 1992 “natura meramente ricognitiva e di conferma del trasferimento del diritto in capo agli eredi legittimi della cessionaria G., cioè ai figli di lei C.G., I., L. e P., nella quota a ciascuno spettante per legge”, precisando che il C. sono “subentrati per suecessione nella qualità di cessionari dell’alloggio (non già al mero diritto alla cessione …), qualità già attribuita alla loro madre dal ricordato atto del 1965, anche se con la condizione sospensiva già evidenziata”. In sostanza, la Corte d’appello ha proceduto, nell’esercizio della competenza propria del giudice di merito, ad interpretare gli atti di autonomia privata intervenuti nella fattispecie, e segnatamente l’atto del 1992, attribuendo ad esso una portata meramente ricognitiva di un effetto – il trasferimento del diritto in capo agli eredi legittimi della cessionaria – che postulava la successione di detti eredi nella qualità di cessionari dell’alloggio, con conseguente esclusione del bene ad essi pervenuto per successione dalla comunione legale con i coniugi.

La Corte d’appello, dunque, non solo non ha pronunciato in contrasto con il principio della irretroattività dell’avveramento della condizione sospensiva ravvisabile nella vendita con riserva di proprietà – che, anzi, la medesima Corte ha rilevato che l’atto del 1965 conteneva una clausola in cui si prevedeva la trascrizione dell’atto “con riserva del diritto di proprietà in favore dell’Azienda cedente fino al totale pagamento del prezzo” -, ma ha ricostruito la vicenda nel senso che l’atto notarile del 1992 ha accertato la successione degli eredi della G. nella qualità di cessionaria, nella quota a ciascuno spettante per legge. Ha cioè ritenuto che l’atto notarile in questione – significativamente intitolato come atto di “estinzione di debito e conferma di trasferimento della proprietà” – non abbia disposto il trasferimento della proprietà del bene, ma abbia solo dato atto dell’avvenuto pagamento e quindi dell’avvenuto trasferimento del diritto di proprietà in capo agli eredi della assegnataria e cessionaria dell’appartamento.

Ora, è noto che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione.

Nella specie, con il primo motivo non vengono prospettati nè la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale nè vizi motivazionali nella individuazione della portata dell’atto notarile del 1992.

Il primo motivo di ricorso risulta quindi infondato.

Dalla infondatezza del primo motivo discende la infondatezza del secondo e del terzo motivo, i quali postulano l’accoglimento del primo, e quindi l’inclusione del bene in questione tra quelli per i quali sussiste la comunione legale tra coniugi; ipotesi, questa, esclusa per effetto del rigetto del primo motivo.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, atteso che nessuno dei motivi proposti risulta idoneo a contrastare la ratio decidendi sulla base della quale la Corte capitolina è motivatamente pervenuta alla ricostruzione della vicenda negoziale oggetto del presente giudizio.

Al rigetto del ricorso consegue, in applicazione del principio della soccombenza, la condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2011

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