Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17125 del 14/08/2020

Cassazione civile sez. I, 14/08/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 14/08/2020), n.17125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina M. – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29959/2018 proposto da:

K.F., rappresentato e difeso dall’Avv. (Ndr: testo originale

non comprensibile) elettivamente domiciliato presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno Commissione Territoriale Ri Conoscimento

Protezione Internazionale;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

29/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/10/2019 da FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Campobasso, con decreto depositato il 29 agosto 2018, ha rigettato la domanda proposta da K.F., cittadino del Ghana, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non ricorrendo dalle sue stesse dichiarazioni i motivi di persecuzione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 7.

In particolare, costui aveva riferito di essere fuggito dal Ghana, dopo essersi convertito al cristianesimo pur proveniendo da una famiglia mussulmana, per il timore di essere ucciso dai membri della famiglia che non avevano accettato tale conversione.

Il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari per carenza di una condizione di vulnerabilità.

Ha proposto ricorso per cassazione K.F. affidandolo a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del artt. 8, 9 e 14, e art. 27, comma 1 bis, D.Lgs., e del D.Lgs. n. 251 del 2007, degli art. 1, lett. e) e g), artt. 3, 5, 7 e 14, art. 16, comma 1, lett. b), e art. 19, nonchè l’omesso esame di fatto decisivo.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale aveva rigettato la propria domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato senza una vera motivazione e aveva omesso una qualsivoglia analisi e valutazione dei motivi del ricorso, violando l’obbligo di cooperazione istruttoria.

Espone, inoltre, che il suo racconto era risultato chiaro e meticoloso e scevro da ogni forma di incongruenza, non comprendendosi come il Tribunale di Campobasso avesse potuto ravvisare alcunchè di contraddittorio o vago.

2. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, il Tribunale ha valutato le dichiarazioni del ricorrente tenendo ben presenti i parametri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, essendo state specificamente indicate le ragioni della ritenuta non plausibilità e coerenza del suo racconto.

In particolare, il giudice di primo grado ha evidenziato che il ricorrente non ha saputo spiegare i passaggi del suo asserito percorso spirituale di conversione, percorso non comprensibile atteso che il richiedente non conosce nulla della religione cristiana.

Il ricorrente si è limitato a contestare genericamente la valutazione di non attendibilità effettuata dal giudice di merito, senza quindi neppure allegare le gravi anomalie motivazionali (nei termini sopra illustrati dalla giurisprudenza di questa Corte), che sono le uniche attualmente denunciabili nei ristretti limiti consentiti dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Inoltre, il ricorrente, con l’apparente censura della violazione da parte del Tribunale di norme di legge, ovvero il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ha, in realtà, svolto delle censure di merito, in quanto finalizzate a prospettare una diversa lettura delle sue dichiarazioni.

In proposito, questa Corte, sempre nella pronuncia n. 3340 del 05/02/2019 sopra citata, ha statuito che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, con la conseguenza che il giudizio di fatto in ordine alla credibilità del richiedente non può essere censurato sub specie violazione di legge ed è quindi sottratto al sindacato di legittimità.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la nullità del provvedimento di primo grado per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Lamenta il ricorrente che il giudice di primo grado ha omesso totalmente di pronunciarsi sulla domanda di protezione sussidiaria, avendo limitato la propria analisi all’esame della domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione umanitaria.

4. Il motivo è inammissibile.

Dall’esame della sentenza impugnata emerge in modo inequivocabile che il Tribunale di Campobasso ha implicitamente esaminato anche la domanda di protezione sussidiaria, in considerazione del chiaro riferimento alla situazione politica interna del paese del richiedente, che è stata ritenuta sostanzialmente stabilizzata, come esplicitato dal più recente rapporto di Amnesty International.

Con tale accertamento, che in quanto apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non è censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064), il ricorrente si è, peraltro, anche confrontato, formulando, tuttavia – nel sostenere l’elevato rischio in Ghana per la propria incolumità dei cittadini – una doglianza inammissibile, essendo finalizzata esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Lamenta il ricorrente che il giudice di merito, nel valutare la sua condizione di vulnerabilità per il riconoscimento della protezione umanitaria, non ha effettuato la valutazione comparativa tra la situazione del ricorrente esistente nel paese d’origine – caratterizzata dalla violazione dei diritti fondamentali – e quella del paese d’accoglienza.

6. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già avuto modo di affermare che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (in questi termini Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, oltre a non essere stato dedotto assolutamente nulla dal ricorrente in ordine alle condizioni personali di vita prima della sua partenza dal paese d’origine (se non con riferimento ai motivi del suo allontanamento, ritenuti coerentemente non credibili dal Tribunale),

è stata dedotta la violazione dei diritti fondamentali nel paese d’origine in modo molto generico, per lo più con riferimento alla situazione di instabilità ed insicurezza presente in Ghana.

In sostanza, il ricorrente lamenta l’omessa effettuazione di un giudizio comparativo tra la situazione del suo paese d’origine e quella di integrazione nel paese d’accoglienza, non considerando di non aver neppure fornito elementi rilevanti idonei a consentire tale raffronto.

5. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2, e art. 136, comma 2.

Contesta il ricorrente la manifesta infondatezza del proprio ricorso, ritenuta dal giudice di merito, evidenziandone, viceversa, la piena fondatezza.

6. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che questa Corte ha più volte affermato che la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170, della stesso D.P.R.. Si deve quindi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanta adottata con sentenza, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113, del D.P.R. citato. (Cass. 29288/2017; conf. Cass. n. 30282018 e n. 32028/2018).

Ne consegue che il ricorrente avrebbe dovuto promuovere tempestivamente lo speciale procedimento di opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, e non attendere la proposizione del ricorso per cassazione.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, non essendosi il Ministero intimato costituito in giudizio.

Si applica il doppio contributo, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, non essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a carico dello Stato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2020

 

 

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