Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17125 del 11/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 11/07/2017, (ud. 20/04/2017, dep.11/07/2017),  n. 17125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3611-2016 proposto da:

S.A., S.N., S.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CAIO MARIO, 13, presso lo studio

dell’avvocato SAVERIO COSI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

IMPRESA M.G. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 588/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/04/2017 dal Consigliere Dott. OLIVIERI STEFANO.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

La Corte d’appello di Roma con sentenza 27.1.2015 n. 588 ha accolto la impugnazione proposta da Impresa M.G. in amministrazione straordinaria, ed in riforma della decisione di prime cure, rilevato che la dichiarazione di insolvenza determinava anche nel procedimento ex L. n. 270 del 1999 il divieto di azioni esecutive e di condanna individuali, ha dichiarato improcedibile la domanda formulata da N., A., S. e S.F., n.q. di eredi di D.I.E., avente ad oggetto la ripetizione delle spese di lite dai predetti corrisposte alla Impresa G., in relazione ad altro giudizio estintosi per mancata riassunzione ex art. 393 c.p.c. (secondo i ricorrenti, invece, il giudizio era stato riassunto e definito in sede di rinvio con sentenza di rigetto della domanda e compensazione delle spese di tutti i gradi di giudizio).

– La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione da S.N. anche n.q. di erede di S.F., e da A. e S.S., con tre motivi.

Non ha resistito la Impresa M.G. in amministrazione straordinaria alla quale il ricorso è stato notificato presso il procuratore domiciliatario in data 27.1.2016.

I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Il primo motivo (violazione L. n. 53 del 1994, artt. 1, 3 e 11; art. 139, 140 e 327 c.p.c.,) è manifestamente infondato.

I ricorrenti reiterano con il motivo la stessa eccezione già formulata in grado di appello e sulla quale il Giudice territoriale ha espressamente pronunciato, introducendo per la prima volta l’ulteriore eccezione di nullità della notificazione dell’atto di appello in quanto non risultava depositata dal difensore della impresa appellante la autorizzazione di cui alla L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 1.

Quest’ultima eccezione è da disattendere in quanto: a) all’avvocato è attribuito ex lege il potere di notifica a mezzo del servizio postale (o direttamente mediante consegna, se il destinatario è avvocato domiciliatario: L. n. 53 del 1994, art. 4) degli atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale, con conseguente assunzione della qualifica di pubblico ufficiale, alla duplice condizione che sia munito di procura ad litem ex art. 83 c.p.c. e che sia dotato della “autorizzazione del consiglio dell’ordine nel cui albo è iscritto” (L. n. 53 del 1994, artt. 1 e 7); b) è sanzionata con la nullità della notificazione la mancanza dei “requisiti soggettivi ed oggettivi” prescritti dalla legge o “se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti” (L. n. 53 del 1994, art. 11).

Ne segue che l’adempimento del deposito in giudizio del provvedimento autorizzativo del consiglio dell’ordine, non è contemplato tra i predetti requisiti (che debbono essere posseduti dal legale, ma non anche dimostrati “ex ante” in giudizio) nè integra un obbligo di legge prescritto dalle indicate disposizioni, o da altre norme del codice di rito, tanto meno sanzionato a pena di nullità (del tutto isolato e non condiviso è il precedente Corte Cass. V sez. n. 3934/2014 non massimato dal CED di questa Corte – citato dai ricorrenti).

Le altre censure concernenti la nullità della notifica dell’atto di appello, reiterano la eccezione formulata nella comparsa di risposta in grado di appello, e non investono criticamente le statuizioni della sentenza della Corte territoriale che non ha ravvisato vizi di invalidità della notifica in quanto:

a) La omessa indicazione “nell’avviso di spedizione” della raccomandata AR della parte istante (Impresa G.) accanto al procuratore, costituiva una mera irregolarità di compilazione, non sanzionata dal L. n. 53 del 1994, art. 11: l’affermazione deve ritenersi corretta non soltanto alla stregua del precedente – erroneamente interpretato e richiamato, peraltro in senso controproducente, dagli stessi ricorrenti- che si riferisce alle prescrizioni di cui alla L. n. 53 del 1994, art. 3, comma 1, lett. b), secondo cui in caso di notificazione eseguita a mezzo posta da un avvocato, ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, la carenza sulla busta con cui è spedita la raccomandata, e nel rigo appositamente dedicato, di ulteriore e separato segno grafico di sottoscrizione, cioè di ripetizione manoscritta e olografa del nome e cognome ad opera del notificante, costituisce una mera irregolarità di compilazione, che non comporta la nullità della notifica comminata dall’art. 11 della citata legge, purchè le suddette indicazioni siano presenti in altra parte del medesimo piego (Corte Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13758 del 17/06/2014), quanto piuttosto alla stregua della giurisprudenza di questa Corte secondo cui la fase essenziale del procedimento notificatorio a mezzo posta va individuata nella attività svolta dall’agente postale, mentre la compilazione dell’avviso di ricevimento della raccomandata AR da parte dell’ufficiale giudiziario ex art. 149 c.p.c.ovvero di altro soggetto -come nella specie l’avvocato ex L. n. 53 del 1994 – che sia autorizzato ad avvalersi di tale mezzo di notificazione, è rivolto nell’interesse esclusivo del richiedente la notifica, in quanto destinato ad essere a quello restituito ai fini della prova dell’avvenuta esecuzione delle attività di spedizione e consegna del plico, con la conseguenza della mera “irregolarità” della mancanza di indicazione nell’avviso di ricevimento, come mittente cui deve essere restituita la cartolina, oltre che del procuratore anche della parte istante, trattandosi di mancanza che non può essere fatta valere dal destinatario, trattandosi di un adempimento che non è previsto nel suo interesse (Corte Cass. 5^ sez. 14.10.2009 n. 21762; id. 5^ sez. 26.2.2010 n. 4746). In ogni caso occorre rilevare che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, la disposizione della L. n. 53 del 1994, art. 11, deve interpretarsi nel senso che qualsiasi violazione delle prescrizioni (ivi compresa la mancanza dei presupposti soggettivi od oggettivi per l’esercizio del potere notificatorio) si traduce in vizio di nullità – e non di inesistenza – della notifica, come tale suscettibile di sanatoria, in conformità al generale principio del raggiungimento dello scopo dell’atto ex art. 156 c.p.c., comma 3, (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 1242 del 01/12/2000; id. Sez. 3, Sentenza n. 8592 del 22/06/2001; id. Sez. 5, Sentenza n. 15081 del 05/08/2004; id. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 5096 del 28/02/2013, in motivazione), con la conseguenza che, nella fattispecie in esame, eventuali vizi di invalidità del procedimento notificatorio risulterebbero, comunque, sanati ex art. 156 c.p.c., comma 3, con effetto “ex tunc”, dalla avvenuta costituzione in giudizio di tutti gli appellati, essendo irrilevante che la costituzione in grado di appello sia avvenuta oltre il termine di decadenza per la proposizione della impugnazione principale o al solo fine di contestare il vizio di nullità della notifica, essendo rimasto del tutto isolato il contrario precedente giurisprudenziale (Corte Cass. 1^ sez. 5.8.2011 n. 17023) richiamato dai ricorrenti, a fronte di una assolutamente prevalente e costante giurisprudenza di legittimità che estende l’efficacia sanante anche ai fini processuali del termine di decadenza della impugnazione (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 3075 del 03/03/2003, id. Sez. 1, Sentenza n. 17599 del 20/11/2003; id. Sez. 1, Sentenza n. 22486 del 29/11/2004; id. Sez. 1, Sentenza n. 9394 del 27/04/2011 : in tema di impugnazione del lodo arbitrale, nel regime anteriore al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, secondo cui la nullità della notifica della impugnazione costituisce “un vizio emendabile con effetto “ex tunc” -con esclusione del verificarsi di decadenza per l’eventuale sopraggiungere della scadenza del termine d’impugnazione – mediante la costituzione del convenuto”; id. Sez. 2, Sentenza n. 25350 del 02/12/2009 -con riferimento al termine perentorio per la introduzione del giudizio di merito a seguito della fase cautelare; id. Sez. U, Ordinanza n. 4553 del 25/02/2010 -in tema di notifica del regolamento preventivo di giurisdizione-; id. Sez. 2, Ordinanza n. 6470 del 21/03/2011-in relazione alla sanatoria della nullità della notifica dell’atto di appello, secondo cui “la costituzione del convenuto, ancorchè tardiva ed effettuata al fine dichiarato di far rilevare il vizio, preclude la declaratoria di nullità’, dal momento che la convalidazione della notifica da essa indotta opera “ex tunc”:Cass 1184/01; 1548/02; 10119/06″-; id. Sez. 3, Sentenza n. 5598 del 20/03/2015; id. Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24823 del 05/12/2016 -per cui la la nullità della notifica dell’atto di appello, è suscettibile di sanatoria “ex tunc” per raggiungimento dello scopo nel caso di costituzione dell’appellato, anche se effettuata al solo fine di eccepire la nullità; id. Sez. 5 -, Sentenza n. 4233 del 17/02/2017).

b) Quanto all’omesso invio della “raccomandata informativa” si osserva che, premesso che la norma applicabile al caso di specie è la L. n. 890 del 1982, art. 7, essendo stato l’atto consegnato al “portiere” od a “persona a servizio del destinatario” (nel domicilio eletto presso il difensore avv. Stefano Menicacci in Roma via Crescenzio n. 70), la disposizione del comma 6, che prescrive in caso di consegna dell’atto a persona diversa dal destinatario di dare a quest’ultimo avviso a mezzo di lettera raccomandata, è stata introdotta dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 2 quater, convertito in L. 28 febbraio 2008, n. 31, e trova applicazione alle notifiche eseguite a far tempo dal 28 febbraio 2008, data di entrata in vigore della legge di conversione, come espressamente previsto dall’art. 36, comma 2 quinquies, del medesimo decreto, rispetto al quale non possono ravvisarsi profili di illegittimità costituzionale, trattandosi di scelta legislativa non irragionevole in quanto avente ad oggetto situazioni temporalmente non sovrapponibili (cfr. Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 6345 del 13/03/2013). Ne segue che la censura è priva di fondamento in quanto l’atto di appello, come emerge dagli avvisi di ricevimento riprodotti in fotocopia all’interno del ricorso, risulta consegnato in data 4.2.2008, anteriormente alla entrata in vigore della modifica normativa disposta dal D.L. n. 248 del 2007.

Il secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 327 e 340 c.p.c.) è palesemente infondato.

Alla ordinanza istruttoria emessa dal Giudice di prime cure in data 17.12.2004 che, nella “premessa” del provvedimento, aveva rilevato la non fondatezza della eccezione -formulata dalla Impresa G. – di improponibilità della domanda nei confronti di soggetto sottoposto ad amministrazione straordinaria, non può, infatti, riconoscersi natura decisoria e dunque “natura sostanziale” di sentenza non definitiva ex art. 279 c.p.c., comma 2, n. 4), – norma applicabile anche al procedimento avanti il Tribunale in composizione monocratica, in virtù dell’espresso richiamo disposto dagli artt. 281 bis e 281 quater c.p.c., in quanto l’indagine sulla natura – e sul contenuto – del provvedimento del Giudice costituisce un “posterius” rispetto alla individuazione della situazione processuale nella quale il potere del Giudice (istruttorio – ordinatorio ovvero decisorio) viene esercitato, dovendo in ogni caso collocarsi l’esame della natura del provvedimento all’interno della sequenza legale delle fasi processuali preordinate allo svolgimento delle varie attività delle parti e del Giudice ed ai possibili sviluppi od esiti del giudizio cui tali attività danno luogo.

La giurisprudenza di legittimità (occupandosi in prevalenza della questione di competenza, ma i risultati cui si è approdati valgono indifferentemente per tutte le questioni pregiudiziali e preliminari), nella dichiarata esigenza espressione della funzione nomofilattica- di individuare delle linee guida chiare e precise, ha ritenuto imprescindibile ricollegare la riconoscibilità dell’esercizio della “potestas” decisoria del Giudice unico -il quale assomma in sè le funzioni sia di istruzione che di decisione- all’adempimento dell’obbligo, previsto dagli artt. 187 e 281 bis c.p.c., di invitare le parti -quando ritenga di emettere una decisione definitiva su questione pregiudiziale ovvero preliminare di merito idonea a definire il giudizio- a precisare le conclusioni, in tal modo scandendo la separazione fra la fase istruttoria e quella di decisione, non potendosi ritenere che una qualunque decisione assunta in tema di competenza o altre questioni pregiudiziali implichi per il giudice l’esaurimento della “potestas iudicandi” sul punto (cfr. Corte Cass. Sez. U, Ordinanza n. 11657 del 12/05/2008; id. Sez. 3, Ordinanza n. 18673 del 13/08/2010; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16051 del 26/06/2013; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24509 del 30/10/2013, secondo cui, ove nel procedimento davanti al giudice monocratico quest’ultimo esterni espressamente od implicitamente in un’ordinanza, senza aver provveduto agli adempimenti sopra indicati, un convincimento sulla competenza e dia provvedimenti sulla prosecuzione del giudizio, tale ordinanza non ha natura di decisione affermativa sulla competenza impugnabile ai sensi dell’art. 42 c.p.c., sicchè il ricorso per regolamento di competenza avverso detto atto deve ritenersi inammissibile; id. Sez. U, Ordinanza n. 20449 del 29/09/2014, che precisa, in motivazione, come il criterio “della prevalenza della sostanza sulla forma degli atti processuali” trovi applicazione nel caso di provvedimenti, pur non preceduti dalla remissione della causa in decisione e dalla precisazione delle conclusioni, con i quali il giudice declini la propria competenza, giacchè, in tal caso, definitivamente spogliandosi della questione (e, anzi, dell’intera causa) il giudice pone in essere un atto, che, in termini univoci, si rivela sostanzialmente decisorio; id. Sez. U, Ordinanza n. 4219 del 17/02/2017, secondo cui se il giudice ha statuito negativamente sull’eccezione di difetto di giurisdizione senza previamente invitare le parti a precisare le conclusioni, un tale provvedimento ha natura meramente ordinatoria e, pertanto, non preclude la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione).

Nella specie i ricorrenti hanno del tutto omesso di riferire nella esposizione della censura la descrizione della sequenza processuale a seguito della quale è stata emessa la ordinanza in questione, non assolvendo compiutamente al requisito di specificità del motivo che, per supportare l’allegazione secondo cui al provvedimento che rigettava la eccezione di improponibilità della domanda doveva riconoscersi natura di sentenza non definitiva affermativa della giurisdizione AGO, avrebbe richiesto anche la descrizione delle attività processuali compiute dal Giudice e dalle parti onde verificare se l’ordinanza fosse stata effettivamente preceduta dall’invito alle parti a precisare le proprie conclusioni.

Il terzo motivo (violazione L. n. 267 del 1942, artt. 24 e 52; L. n. 270 del 1999, art. 8) è infondato.

La Corte territoriale ha statuito che la domanda di condanna alla restituzione delle spese di lite era soggetta – giusta il rinvio operato dalla L. n. 270 del 1999, art. 18, alla L.Fall., art. 52, al divieto di azioni esecutive di condanna individuali, dovendo il relativo credito essere verificato dagli organi della procedura concorsuale speciale, dovendo partecipare gli S. al concorso dei creditori sul patrimonio del debitore dichiarato insolvente. Non ricorreva, peraltro, l’ipotesi prevista dalla L.Fall. art. 24, art. 52, che atteneva alle cd. azioni di massa, in quanto il diritto controverso non era insorto “a causa” della procedura concorsuale (sul punto non vi è divergenza tra la sentenza di appello e la tesi difensiva dei ricorrenti).

La censura non coglie la “ratio decidendi” laddove afferma che “già” la originaria controversia, che aveva dato luogo alla esecuzione della sentenza di primo grado (confermata da quella d’appello, che era stata cassata con rinvio: la causa è stata quindi definita con sentenza in grado di appello del Giudice del rinvio) ed al pagamento delle spese di lite da parte della D.I. in data 12.7.1999, avrebbe dovuto essere attratta alla procedura concorsuale, non considerando i ricorrenti che la ripetizione della somma versata a titolo di spese giudiziali aveva costituito oggetto di “un nuovo e distinto” giudizio introdotto dagli eredi della D.I., non essendo – quindi – neppure astrattamente ed in via di mera ipotesi configurabile una “perpetuatio jurisdictionis” della precedente ed autonoma causa – definita con sentenza in sede di rinvio- tale da radicare la competenza del Giudice fallimentare, non sussistendo, pertanto, alcuna preclusione nei confronti del Giudice ordinario successivamente adito per la restituzione delle spese di lite a rilevare la improponibilità della domanda di condanna nei confronti della Impresa G. in amministrazione straordinaria.

E’ appena il caso di osservare come il richiamo dei ricorrenti del principio di diritto secondo cui la domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di appello cassata, non costituisce domanda nuova, ha ad oggetto la proposizione della domanda avanti il giudice del rinvio investito della ripetizione o prosecuzione del giudizio pendente e non concerne, invece, la qualificazione della domanda, ai fini della verifica della proponibilità L.Fall., ex art. 52, proposta in un “altro e distinto” giudizio: in tali precisi termini è, peraltro, la sentenza di questa Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2963 del 14/04/1988 richiamata dagli stessi ricorrenti.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Non occorre disporre sulle spese di lite non avendo la intimata svolto difese.

PQM

 

rigetta il ricorso principale.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2017

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