Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17125 del 09/08/2011

Cassazione civile sez. II, 09/08/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 09/08/2011), n.17125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MARR s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso,

dagli Avvocati BOLDRINI Giovanni e Mario Piselli, elettivamente

domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, via P. Borsieri n.

20;

– ricorrente –

contro

S.G., titolare dello Studio Salami, rappresentato e

difeso per procura a margine del controricorso dagli Avvocati DAMIANI

Giacomo, Domenica Paola Valtancoli e Giovanni Di Gioia, elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’ultimo in Roma, Piazza Mazzini n.

27;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 1258 del

2007, depositata il 12 novembre 2007.

Udita, la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 14

aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentiti gli Avvocati Mario Piselli e Giovanni Di Gioia;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Lo Studio Salami – progettazione e finanziamenti, con citazione notificata il 29 aprile 1999, conveniva dinnanzi al Tribunale di Ravenna MARR s.p.a., chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 281.030.000 oltre IVA e CNG e di L. 2.190.000 per spese di opinamento, il tutto maggiorato di rivalutazione monetaria e interessi.

A fondamento della domanda, l’attore deduceva di essere stato incaricato da MARR s.p.a di predisporre una pratica di finanziamento volta a conseguire un contributo pari al 50% della spesa ammessa per la realizzazione di una centrale ortofrutticola in (OMISSIS) e di svolgere funzioni tecniche inerenti al progetto di costruzione della medesima centrale. Esponeva quindi che per ottenere il finanziamento era necessario avere la concessione edilizia e disporre di contratti di fornitura relativi a prodotti ortofrutticoli e che, nel 1995, l’accordo era stato rivisto quanto ai tempi, che erano stati concordati in senso più favorevole alla MARR. Quest’ultima, peraltro, non essendo stata rilasciata la concessione edilizia da parte del Comune di Rimini in tempo utile per l’ultimazione del lavori nei termini assegnati dal Ministero dell’Agricoltura, aveva rinunziato al contributo e non aveva pagato le prestazioni che egli aveva svolto.

Costituitosi il contraddittorio, la MARR rilevava che con l’accordo del 1995 le parti avevano convenuto di pagare i compensi solo se gli stabilimenti oggetto delle pratiche fossero stati realizzati e se essa convenuta avesse beneficiato dei finanziamenti; evenienza, questa, che con riferimento allo stabilimento di (OMISSIS) non si era verificata, sicchè nulla era dovuto all’attore.

L’adito Tribunale, rigettava la domanda e compensava le spese del giudizio. Secondo il Tribunale, nella nuova scrittura, accettata dall’attore il 26 gennaio 1995, le parti avevano convenuto che tutte le condizioni prima concordate si sarebbero dovute ritenere annullate, salvo l’entità del corrispettivo, confermato nella sua misura originaria, ma condizionato alla erogazione dei finanziamenti, nella specie non avvenuta.

Studio Salami proponeva impugnazione cui resisteva la MARR s.p.a..

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza depositata il 12 novembre 2007, accoglieva l’appello e condannava la MARR al pagamento, in favore dello Studio Salami della somma di Euro 146.270,92 e accessori, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al saldo, nonchè alla rifusione delle spese del doppio grado.

La Corte d’appello riteneva che le parti, con la scrittura di modifica dell’accordo iniziale del 1991, non avessero inteso subordinare il pagamento della prestazione dell’appellante alla effettiva erogazione del finanziamento, ma solo fissare un diverso tempo per l’adempimento della prestazione posta a carico della MARR, individuato in concomitanza (e in percentuale) all’erogazione dei finanziamenti.

Per la cassazione di questa sentenza MARR s.p.a. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo; ha resistito, con controricorso, l’intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente denuncia il vizio di insufficienza e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata su un punto decisivo per il giudizio, e segnatamente in ordine alla interpretazione degli accordi intercorsi tra le parti.

A prescindere dalla correttezza della qualificazione dell’accordo modificativo, nel senso che con esso le parti avrebbero stabilito un termine finale per l’adempimento, diverso da quello originariamente previsto, e non una condizione sospensiva, la Corte d’appello non avrebbe comunque spiegato perchè il detto termine finale sarebbe venuto a scadenza, essendo indiscusso che essa ricorrente non aveva beneficiato di alcun finanziamento. Ed ancora, la Corte d’appello avrebbe comunque errato nel ritenere che l’evento, il cui verificarsi avrebbe reso esigibile il pagamento, fosse certo nell’an, in quanto soggettivamente le parti erano convinte che il Comune avrebbe rilasciato la concessione edilizia, giacchè rispetto all’operato della P.A. può aversi una situazione di certezza solo nel momento in cui il provvedimento viene ad esistenza. La Corte d’appello non avrebbe poi valutato adeguatamente la circostanza che il documento recante le modifiche non era stato predisposto dalle parti e sottoscritto contestualmente, ma era stato redatto da MARR s.p.a. e accettato dallo Studio Salami, sicchè nell’opera di interpretazione dell’accordo, e segnatamente delle espressioni qualificanti il pagamento, la Corte territoriale avrebbe dovuto porsi dall’angolo visuale dell’estensore del documento e tenere presente l’utilità che questi intendeva perseguire, che nella specie consisteva chiaramente nel poter provvedere al pagamento di quanto dovuto a Studio Salami solo dopo la percezione del finanziamento e in percentuale di quanto percepito.

A conclusione del motivo, la ricorrente precisa che il fatto controverso “è costituito dall’interpretazione dell’art. 1) dell’accordo per corrispondenza inter partes del 20-26.1.1995, ovverosia determinare se, con tale pattuizione, le parti vollero condizionare il pagamento del peculiare compenso professionale alla effettiva erogazione del finanziamento a favore della committente ovvero vollero esclusivamente indicare un termine ultimo per l’adempimento di un diritto già sorto. E, dunque, sulla correttezza o meno dell’affermazione della Corte d’appello per cui (con) l’espressione negoziale il pagamento del corrispettivo … sarà effettuato esclusivamente in concomitanza ed in percentuale alla erogazione dei finanziamenti farebbe riferimento non ad un evento futuro ed incerto, ma (ad) un evento soggettivamente certo, in quanto al momento della stipulazione le parti erano certe del rilascio della licenza in quanto MARR aveva avuto assicurazioni dal Comune di Rimini che, anticipando i costi delle opere di urbanizzazione, il Comune avrebbe rilasciato la licenza edilizia”.

Il ricorso è infondato e va rigettato.

Occorre premettere che l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. n. 22536 del 2007; Cass. n. 10554 del 2010).

E’ noto, del resto, che il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi di motivazione della sentenza, impugnata a norma dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, deve contenere – in ossequio al disposto dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 4, che per ogni tipo di motivo pone il requisito della specificità sanzionandone il difetto – la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato, ovvero la specificazione d’illogicità, consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi. Ond’è che risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all’opinione che di essi abbia la parte e, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame. Diversamente, si risolverebbe il motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate e, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito; cui, per le medesime considerazioni, neppure può imputarsi d’aver omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo (Cass. n. 12052 del 2007).

Nel caso di specie, la Corte d’appello di Bologna ha dato compiutamente conto delle ragioni che la hanno indotta a rinvenire, nella scrittura del 1995, modificativa degli originari patti intervenuti tra le parti, la individuazione di un termine di adempimento piuttosto che di una condizione di efficacia del contratto. In particolare, la Corte d’appello ha individuato il contenuto dell’originario contratto del 1991, di conferimento dell’incarico, e del successivo accordo del 1995, modificativo delle clausole relative al pagamento del compenso dovuto dalla committente.

In tale opera di ricerca di quale fosse stata la volontà delle parti la Corte d’appello ha poi evidenziato che nella seconda scrittura furono eliminate tutte le modalità di pagamento originariamente previste, laddove venne confermata l’entità complessiva del corrispettivo e vennero ulteriormente previste la corresponsione di interessi moratori a far tempo dalla data di emissione del decreto e la possibilità di ottenere un acconto anteriormente alla maturazione dei termini in detta scrittura individuati. In relazione a tali clausole, la Corte d’appello ha quindi ritenuto che correttamente l’appellante avesse dedotto che la corresponsione di interessi da ritardato pagamento, dalla data di emissione del decreto a quella del pagamento del corrispettivo, era “concettualmente e giuridicamente incompatibile con la apposizione della condizione se e quando i finanziamenti fossero stati erogati”, giacchè diversamente opinando si finirebbe per “ammettere la decorrenza di interessi moratori a far tempo da una data anteriore al sorgere del credito (condizionato)”.

Ha ritenuto che altrettanto correttamente l’appellante avesse evidenziato come la previsione della corresponsione di un acconto prima della maturazione dei termini previsti fosse significativa del fatto che per le parti il pagamento “era solo ritardato, ma non condizionato al ricevimento del finanziamento in capo a Marr:

altrimenti i contraenti avrebbero ingiustificatamente attribuito un acconto su un credito non ancora sorto (e che poteva non nascere)”.

Ha quindi condiviso la valutazione dell’appellante di illogicità della pretesa della Marr di ancorare il pagamento ad un accadimento futuro ed incerto, atteso che alla data del secondo accordo la pratica di finanziamento aveva avuto esito positivo, dal momento che era stato ottenuto il previsto contributo europeo (evenienza, questa, che già avrebbe comportato, secondo la originaria previsione, il diritto dell’appellante ad ottenere il pagamento del 20% dei compensi pattuiti), e ha ritenuto che stabilire in tale momento che il pagamento sarebbe avvenuto “in concomitanza ed in percentuale all’erogazione dei finanziamenti”, non poteva comportare la introduzione di una nuova misura condizionante il pagamento ad un evento futuro ed incerto, anche perchè per l’appellante ciò avrebbe significato rinunciare al corrispettivo già maturato.

A sostegno della qualificazione della clausola introdotta nel 1995 come termine di adempimento e non già come condizione, la Corte d’appello ha poi rilevato che, soggettivamente, le parti erano certe del rilascio della concessione edilizia, precisando che tale dimensione di certezza soggettiva, utile ai fini della interpretazione della volontà delle parti, era stata confermata pacificamente dai testimoni escussi.

Così qualificata la clausola, la Corte d’appello ha quindi ritenuto applicabile la disciplina relativa al tempo dell’adempimento (inteso quale modalità di esecuzione di un’obbligazione certa e già sorta con la stipulazione del contratto) e, preso atto che la previsione dell’evento (erogazione del finanziamento) era stata prevista dalle parti come certa, l’evento doveva ritenersi maturato una volta definita – positivamente o negativamente – la procedura di erogazione dei finanziamenti che costituiva, appunto, l’avvenimento rispetto al quale era stato determinato, per relationem, il momento dell’adempimento.

In tal modo, la Corte d’appello ha fatto applicazione del principio, affermato da questa Corte, secondo cui “qualora i contraenti, contemplando un evento futuro (nella specie, approvazione di un progetto di costruzione da parte dell’autorità competente), abbiano ad esso correlato non l’efficacia del vincolo negoziale, ma soltanto il tempo dell’adempimento di una determinata prestazione (nella specie, pagamento del compenso al professionista autore del progetto), resta inclusa l’invocabilità dei principi inerenti alla condizione od al termine, quali elementi accidentali del negozio incidenti sulla sua efficacia, e rimane applicabile la disciplina sul tempo dell’adempimento, di cui all’art. 1183 c.c., e segg., con la conseguenza che il termine per l’adempimento medesimo deve ritenersi maturato sia con il verificarsi dell’evento, sia con la definitiva impossibilità del suo verificarsi (nella specie, diniego di detta approvazione), ove la volontà delle parti, alla stregua del loro indicato atteggiamento, vada intesa nel senso dell’equiparazione dell’una e dell’altra situazione” (Cass. n. 4339 del 1985; in senso conforme, Cass., n. 858 del 1997; Cass. n. 4853 del 2000; Cass. n. 22412 del 2004).

Tale essendo l’articolata motivazione della sentenza impugnata, appare evidente come le censure ad essa rivolte dalla ricorrente si sostanzino, in realtà, nella contrapposizione alla soluzione prescelta dalla Corte d’appello, nella interpretazione dei negozi intercorsi tra le parti, di quella dalla ricorrente ritenuta per sè preferibile e più rispondente al contenuto degli accordi di cui si è detto. In particolare, risulta evidente una simile impostazione del ricorso nella parte in cui la ricorrente censura l’interpretazione offerta dalla Corte territoriale circa la certezza soggettiva delle parti negoziali circa il buon esito della domanda di concessione. A tal fine, invero, la ricorrente contrappone alle argomentazioni della sentenza impugnata una diversa lettura delle risultanze istruttorie, e segnatamente delle deposizioni dei testi esaminati nel corso del giudizio di primo grado, e un argomento – quello secondo cui nei rapporti con la P.A. non si può avere alcuna certezza finchè il provvedimento non venga emesso dall’amministrazione competente – che, pur se rispondente al vero, non appare, per la sua astrattezza, idoneo ad inficiare la concreta valutazione data dal giudice del merito alle risultanze istruttorie sul punto.

Sotto altro profilo, appare opportuno rilevare che la ricorrente omette di considerare nella formulazione delle proprie censure il rilievo dalla Corte d’appello dato alla circostanza che sulla base della originaria pattuizione, Studio Salami aveva già maturato il diritto ad un significativo compenso, essendo intervenuto il decreto di concessione del contributo richiesto, ed omette di fornire una adeguata giustificazione ad un comportamento – quello di subordinare il pagamento ad un evento futuro ed incerto – che la Corte d’appello ha motivatamente ritenuto che sarebbe stato del tutto illogico.

Nè appare meritevole di condivisione l’argomento per cui, nella interpretazione dell’accordo del 1995, si sarebbe dovuto tenere conto del fatto che, essendo il documento stato predisposto dalla ricorrente, rilievo preminente doveva avere la volontà di quest’ultima. Invero, escluso che il documento del 1995 costituisse un negozio unilaterale, necessitando il testo predisposto dalla Marr dell’accettazione da parte dello Studio Salami, ed essendo detto atto destinato ad inserirsi in un contratto dalle medesime parti già sottoscritto, correttamente la Corte d’appello ha condotto la propria valutazione tenendo conto della volontà di entrambi i contraenti e dell’assetto complessivo dei contrapposti interessi, per come regolato nell’accordo modificativo. Del resto, la ricorrente neanche ha dedotto che l’iniziativa della modificazione delle modalità di pagamento fosse stata unilateralmente assunta e che non costituisse piuttosto il frutto di trattative intercorse con la controparte, della cui volontà il testo finale ha tenuto conto.

Il ricorso appare dunque inidoneo ad evidenziare lacune logiche o insufficienze della motivazione della sentenza impugnata, risolvendosi quindi in una sollecitazione ad una diversa valutazione delle circostanze di fatto già adeguatamente considerate e apprezzate dalla Corte d’appello.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2011

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