Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17124 del 17/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 17/08/2016, (ud. 04/05/2016, dep. 17/08/2016), n.17124

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25618/2014 proposto da:

F.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE ANGELICO 35, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO

D’AMATI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

CLAUDIA COSTANTINI, GIOVANNI NICOLA D’AMATI, NICOLETTA D’AMATI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CARIRI – CASSA DI RISPARMIO DI RIETI, P.I. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PO 24, presso lo studio dell’avvocato AURELIO GENTILI, che

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 24265/2013 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 28/10/2013 R.G.N. 6520/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato D’AMATI GIOVANNI NICOLA;

udito l’Avvocato GENTILI AURELIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 6151/2009, depositata il 24 marzo 2011, la Corte di appello di Roma, pronunciando in sede di rinvio, annullava il licenziamento in tronco intimato dalla Cassa di Risparmio di Rieti S.p.A. ad F.A., con conseguente reintegrazione del lavoratore; inoltre, condannava la Cassa ai risarcimento dei danno subito dallo stesso, peraltro liquidandolo in misura pari alle retribuzioni non percepite nel triennio successivo al licenziamento.

I ricorsi del F. e della Cassa di Risparmio di Rieti venivano respinti da questa Corte con la sentenza n. 24265/2013, depositata il 28 ottobre 2013.

Con detta sentenza, e per quanto di interesse, la Corte osservava come non potesse considerarsi incongrua la motivazione della sentenza impugnata laddove, avuto riguardo alle condizioni di mercato ed a quelle soggettive del lavoratore (in particolare, all’età dello stesso), la Corte del merito aveva ritenuto che, nell’arco di tempo di tre anni dall’intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro, il F. avrebbe potuto trovare altra occupazione, se si fosse diligentemente attivato in tal senso; osservava poi, nel rigettare la censura relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale richiesta (“Vero che il ricorrente dal 19/10/1990 a tutt’oggi è rimasto privo di occupazione”), come fosse al riguardo assorbente il rilievo che il ricorrente non aveva trascritto nel ricorso il testo del capitolo di prova, con ciò impedendo alla Corte di delibarne la decisività.

Nei confronti di detta sentenza ha proposto ricorso per revocazione il F., deducendo un duplice errore di fatto; la Cassa ha resistito con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Nel corso del giudizio è intervenuta Intesa Sanpaolo S.p.A., quale successore per incorporazione della Cassa di Risparmio di Rieti S.p.A., riproponendo le difese svolte.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente ha dedotto un duplice errore revocatorio in cui sarebbe incorsa la sentenza di questa Corte n. 24265/2013.

1.1. Il primo errore sarebbe rinvenibile in quella parte della motivazione della sentenza in cui la Corte osserva, con riferimento alla dedotta mancata ammissione della prova articolata dal lavoratore, che è assorbente la considerazione che il ricorrente non trascrivendo nel ricorso i capitoli di prova impedisce a questa Corte di delibarne la decisività (cfr. p. 7, primo capoverso).

Al riguardo, il F. rileva come il capitolo di prova in questione (“Vero che il ricorrente dal 19.10.1990 a tutt’oggi è rimasto privo di occupazione”), diversamente da quanto ritenuto in sentenza, fosse stato trascritto, una prima volta, nell’esposizione dei fatti e dello svolgimento del processo (p. 9) del ricorso per cassazione e, una seconda volta, nell’ambito dell’esposizione del primo motivo di ricorso (pp. 10-12), dove ne era stata anche illustrata la rilevanza ai fini del decidere.

1.2. Il secondo errore sarebbe individuabile, secondo il ricorrente, in quella parte della motivazione in cui la Corte osserva che sotto diverso profilo non risulta incongrua la motivazione della sentenza impugnata laddove, avuto riguardo alle condizioni di mercato ed a quelle soggettive del lavoratore (ed in particolare all’età del lavoratore), la Corte del merito ritiene che, nell’arco di tempo di tre anni dall’intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro, il F. avrebbe potuto trovare un’altra occupazione se si fosse diligentemente attivato in tal senso (cfr. pp. 6-7).

Al riguardo, il ricorrente si duole che questa Corte abbia ritenuto, così motivando, che solo gli elementi delle “condizioni di mercato” e della “età del lavoratore” fossero stati sottoposti all’attenzione del giudice del rinvio, senza avvedersi che nel ricorso, come anche nei precedenti gradi di giudizio, egli aveva evidenziato, quali elementi presuntivi in ordine all’impossibilità di rioccupazione, anche le modalità del recesso datoriale, l’atteggiamento assunto dalla Cassa ed il limitato contesto ambientale e geografico teatro della vicenda: elementi tutti che, se avuti presenti dalla Corte, l’avrebbero portata non già ad affermare la congruità motivazionale della sentenza del giudice del rinvio ma, all’opposto, a ritenerne la incongruità.

2. Il ricorso deve essere respinto.

2.1. Non pare dubbio, con riferimento al primo degli errori denunciati, che la Corte sia incorsa in un errore percettivo processuale, laddove ha ritenuto che il ricorrente non avesse trascritto nell’atto i capitoli di prova necessari a sostenere il suo assunto (e cioè di essersi attivato al fine di reperire una nuova occupazione), quando è invece provato che il capitolo, cui il ricorrente annette tale rilievo probatorio, è stato ripetutamente e integralmente riportato nel ricorso per cassazione, tanto in sede di esposizione sommaria dei fatti e dello svolgimento del processo come in sede di illustrazione del primo motivo di impugnazione.

2.1.1. La deduzione dell’errore in esame non si sottrae, tuttavia, ad un primo rilievo di inammissibilità, sotto il profilo che il ricorrente ha omesso di dimostrare la decisività dell’errore e cioè il fatto che, in assenza di esso, la decisione sarebbe stata diversa.

Si deve, infatti, osservare come non sia idonea al tal fine, poichè del tutto generica, l’affermazione del ricorrente che “se la Suprema Corte non fosse incorsa in tale errore, avrebbe dovuto senz’altro cassare la sentenza della Corte Distrettuale e rimettere alla medesima, in diversa composizione, l’assunzione del mezzo di prova non ammesso” (cfr. ricorso, p. 14).

Nè la “decisività” dell’errore può essere valutata “anche in relazione” all’altro errore di fatto, in cui questa Corte sarebbe incorsa (come suggerito ancora a p. 14 del ricorso), poichè, anche volendo superare la carenza argomentativa che accompagna tale “ponte” logico, resta la considerazione che un errore di fatto basato sulla ritenuta assenza di un capitolo di prova, al contrario regolarmente riproposto in sede di ricorso, non può esimersi, sul piano della valutazione di decisività, dall’analisi della circostanza che vi è articolata e della sua attitudine a determinare altra soluzione della controversia.

E su tale terreno non pare francamente dubbio che il capitolo così formulato: “Vero che il ricorrente dal 19.10.1990 a tutt’oggi è rimasto privo di occupazione” fosse tale, integrando la pura descrizione di uno stato di fatto (la prolungata inoccupazione), da lasciare completamente irrisolta la questione se egli si fosse realmente e diligentemente attivato per trovare altro lavoro, ben potendo la circostanza di fatto oggetto del capitolo discendere, con pari se non maggiore plausibilità, da un comportamento inerte.

2.1.2. In aggiunta alle considerazioni che precedono, peraltro assorbenti, è da rilevare come il rigetto della censura mossa dal ricorrente nei confronti della limitazione del risarcimento a tre annualità dell’ultima retribuzione, quale statuita dal giudice del rinvio, su fondi, nella sentenza impugnata, su altra e autonoma ragione decisoria.

Tale distinta ratio è configurabile nella parte della motivazione riportata sub 1.2 con riferimento al secondo errore revocatorio e in particolare è ravvisabile nelle parole se (il F.) si fosse diligentemente attivato in tal senso, esprimendosi, attraverso di esse, la valutazione, non suscettibile di ricorso ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., dell’acquisita carenza di prova in ordine alla circostanza della ricerca di una nuova occupazione da parte del ricorrente.

Si deve qui richiamare l’orientamento, secondo il quale “in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione per errore di fatto, nel caso in cui la declaratoria di inammissibilità si regga su due autonome rationes decidendi una sola delle quali revocabile perchè viziata da errore percettivo, la permanenza della seconda comporta il venir meno del requisito indispensabile della decisività dell’errore revocatorio, ossia dell’idoneità a travolgere la ragione giuridica sulla quale si regge la sentenza impugnata, che, ex art. 395 c.p.c., n. 4, è richiamato dall’art. 391-bis c.p.c., per la revocazione delle sentenze della Cassazione” (Cass. 25 marzo 2013 n. 7413).

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso, anche sotto tale distinto e concorrente profilo.

2.2. Il ricorso non può trovare accoglimento neppure con riferimento al secondo errore revocatorio.

Esso, infatti, si risolve non in un errore di percezione, ma esclusivamente, e per ipotesi, in un mero errore di giudizio, posto che la sentenza impugnata, alla quale era evidentemente precluso di compiere diretti accertamenti in fatto sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio, ha soltanto controllato che la motivazione della sentenza del giudice del rinvio fosse esente da vizi.

Peraltro la censura della motivazione della Corte sul piano del controllo della motivazione del giudice del merito si pone totalmente al di fuori dello schema della revocazione per errore di fatto.

Ed invero l’errore di fatto ricorribile per revocazione è solo quello di cui al n. 4 dell’art. 395 c.p.c., che, per giurisprudenza costante, deve consistere in una “svista” di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile, e tale da avere indotto il giudice a supporre l’esistenza di un fatto, la cui verità era invece esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile.

Ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, nè lo stesso è configurabile allorchè attenga a vizi motivazionali.

3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2016

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