Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17123 del 10/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 17123 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 2321-2011 proposto da:
ENTE CASA GENERALIZIA DELL’ISTITUTO DELLE FIGLIE DEI
SACRI CUORI DI GESU’ E MARIA 00227270683, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE 10,
presso lo studio dell’avvocato SCORDAMAGLIA VINCENZO,
2013
1178

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUNGI RODOLFO,
giusta delega in atti;
– ricorrente contro

MARTINELLI CARLA;

Data pubblicazione: 10/07/2013

- intimata –

avverso la sentenza n. 998/2010 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 28/09/2010 R.G.N. 54/2009;

ucalt

la

udienza

relazione

della

del 04/04/2013

causa svolta nella pubblica

dal ConsiglieLe Dott. GIULIO

udito l’Avvocato GIUNGI RODOLFO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO che ha concluso per il
rigetto del ricQzJQ,

MAI SANO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 28 settembre 2010 la Corte d’appello dell’Aquila ha
confermato la sentenza del Tribunale di Pescara del 13 novembre 2008 con
la quale è stata dichiarata la nullità del licenziamento intimato dalla Casa
Generalizia dell’Istituto delle figlie dei sacri cuori di Gesù e Maria (Istituto

statuizioni restitutorie e risarcitorie. Per quanto rileva in questa sede la
Corte territoriale ha motivato tale pronuncia ravvisando la colpa
dell’Istituto suddetto nell’avere dato rilievo all’accertamento della
situazione di inidoneità fisica della Martinelli ad opera dei competenti
organi pubblici, sebbene tale accertamento sia risultato smentito dalle
indagini successive a cui si è sottoposta la lavoratrice sia presso specialisti
privati che presso i presidi medici dell’INPS, che ha metto la domanda di
pensione di inabilità o di assegno di invalidità ritenendo che le infermità
riscontrate non fossero tali da determinare una riduzione della capacità
lavorativa in misura superiore ad un terzo. Ai fini della condanna al
pagamento delle somme a titolo risarcitorio, per quanto rileva in questa
sede, la corte aquilana ha ritenuto insussistente l’ipotesi di errore
inevitabile dell’Istituto ricorrente ai fini della richiesta riduzione del
risarcimento alla misura minima delle cinque mensilità di retribuzione.
L’Ente Casa Generalizia dell’Istituto delle figlie dei sacri cuori di Gesù e
Maria (Istituto Ravasco) propone ricorso per cassazione avverso detta
sentenza affidato a due motivi.
La Martinelli resta intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
AA,du, b_ts

Va preliminarmente rilevato che la ricorrente ha correttamente dcgtsitato
il ricorso per cassazione presso la cancelleria della Corte territoriale posto

Ravasco) a Martinelli Carla in data 31 agosto 2005, con le conseguenti

che la lavoratrice risulta domiciliata presso il proprio difensore in
– Montesilvano (PE).
Con il primo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art.
18, comma quarto, della legge n. 300 del 1970 e dell’art. 1218 cod. civ. in
relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si deduce che la

pronunciata nullità del licenziamento per cui è causa, non avrebbe
compiuto la necessaria indagine sulla sussistenza stessa e sulla rilevanza
dell’imputazione soggettiva, per colpa, del comportamento dell’Istituto
ricorrente in occasione dell’intimazione del licenziamento in questione,
ritenendo l’applicazione automatica del risarcimento previsto dal citato art.
18 della legge n. 300 del 1970 nella misura massima possibile in
conseguenza della dichiarazione dell’illegittimità del licenziamento. La
Corte d’appello avrebbe dovuto invece considerare le cause esterne che
hanno determinato il comportamento dell’Istituto.
Con il secondo motivo si assume insufficiente e contraddittoria
motivazione circa fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 cod. proc.
civ. con riferimento al generico richiamo operato dalla sentenza impugnata
a sostegno della determinazione della misura del risarcimento, alla parte
della motivazione riguardante l’illegittimità del licenziamento senza
considerare la misura della colpa che avrebbe dovuto indurre a determinare
la misura del risarcimento al minimo delle cinque mensilità di retribuzione.
I due motivi possono esaminarsi congiuntamente riguardando entrambi la
misura del risarcimento dovuto per l’illegittimo licenziamento.
La dichiarazione di invalidità del licenziamento a norma dell’art. 18 della
legge n. 300 del 1970 non comporta automaticamente la condanna del
datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura stabilita dal quarto
comma, con esclusione di ogni rilevanza dei profili del dolo o della colpa

corte territoriale, nel determinare le conseguenze risarcitorie della

nel comportamento del recedente, e cioè per una forma di responsabilità
oggettiva, atteso che l’irrilevanza degli elementi soggettivi è configurabile,
per effetto della rigidità al riguardo della formulazione normativa, solo
limitatamente alla misura minima delle cinque mensilità. La questione
relativa alla sussistenza della responsabilità risarcitoria deve ritenersi

danno conseguente ad inadempimento delle obbligazioni, non introducendo
l’art. 18 dello statuto dei lavoratori elementi distintivi. Ne consegue
l’applicabilità dell’art. 1218 cod. civ., secondo cui il debitore non è tenuto al
risarcimento del danno nel caso in cui fornisca la prova che
l’inadempimento consegue ad impossibilità della prestazione a lui non
imputabile. Nel caso in esame correttamente il giudice di appello con
valutazione in fatto, non censurabile in sede di legittimità, ha ritenuto
l’attuale ricorrente responsabile ex art. 18 della legge n. 300 del 1970 con
la condanna al pagamento delle mensilità medio tempore maturate. D’altro
canto l’ente datore di lavoro non può dirsi esente da
responsabilità ovvero non può invocare una responsabilità attenuata, in
quanto non ha fornito la dimostrazione ex art 1218 Cod. Civ. che
l’inadempimento fosse dovuto ad impossibilità della prestazione ad essa
non imputabile. Sotto quest’ultimo profilo va precisato che la ricorrente si è
servita della ASL di Pescara e quindi risponde del giudizio da questo
espresso, per avere omesso di valutare adeguatamente la risposta ottenuta,
tenendo conto delle mansioni che la lavoratrice era tornata ad espletare,
considerando le incongruenze tra le valutazioni espresse dall’INPS e dalla
ASL di Pescara, e potendo eventualmente ricorrere ad ulteriori
accertamenti sanitari. Tale considerazione è stata correttamente ed
esaurientemente svolta dal giudice dell’appello con motivazione compiuta
e logica non censurabile in questa sede di legittimità.
Nulla si dispone sulle spese soccombendo l’unica parte costituita.

3

invece regolata dalle norme del codice civile in tema di risarcimento del

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma il 4 aprile 2013.

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