Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17122 del 09/08/2011

Cassazione civile sez. II, 09/08/2011, (ud. 13/04/2011, dep. 09/08/2011), n.17122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.A.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 80, presso lo studio dell’avvocato

MALARA ANTONIO, che la rappresenta e difende, come da procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.E. (OMISSIS), S.V.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.

PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato POMPA VINCENZO, che li

rappresenta e difende, come da procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4025/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2011 dal Consigliere Dott. IPPOLISTO PARZIALE;

udito l’Avvocato MALARA Antonio, difensore della ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso;

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Il 25/2/1991 la signora T. prometteva di vendere a S.V. e G.E. “un terreno con fabbricato da realizzare” sito nel Comune di (OMISSIS). In detto contratto la T. si impegnava a modificare il progetto edificatorio già approvato, a propria cura e spese, in modo che tutta la estensione non compromessa venisse scorporata ed ultimata dalla venditrice T. in altra zona del terreno. Nell’atto era altresì previsto diritto di passaggio da finire in cemento a spese della venditrice.

Con successivo atto del 9/3/1991 veniva costituito diritto di superficie a favore dei coniugi S.. In data 8/4 e 29/4/1991 venivano concordate varianti ed aggiunte da apportare al fabbricato da realizzare.

In conseguenza della ritenuta inadempienza della T. i coniugi S. – G. la convenivano in giudizio per sentir dichiarare la validità di tutte le pattuizioni contenute nel compromesso del 25/2/1991 (costitutivo del diritto di superficie) e negli atti aggiuntivi dell’8/4 e del 24/9/199 con ogni conseguenza in ordine al rilascio in favore di essi attori del terreno e realizzando fabbricato e risarcimento dei danni.

La T. si costituiva chiedendo il rigetto della domanda ed in via riconvenzionale pronunciarsi rescissione per lesione del contratto o risoluzione dello stesso per inadempimento degli attori.

Il Tribunale di Rieti respingeva la domanda riconvenzionale ed accoglieva quella degli attori, condannando la convenuta al rilascio del terreno e del manufatto, nello stato di consistenza; a consentire agli attori l’esercizio del diritto di servitù di transito; al risarcimento dei danni, liquidati in L. 99.424.384. Autorizzava “la voltura della concessione edilizia n. 5/91 rilasciata dal Comune di Castelnuovo di Farfa”.

2. – La signora T. proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Roma, la quale rilevava l’infondatezza dell’unico motivo di gravame, secondo il quale la sentenza avrebbe erroneamente ravvisato nelle pattuizioni intercorse fra le parti l’obbligazione di essa venditrice di realizzare il fabbricato e le opere necessarie all’esercizio delle servitù di transito. Secondo le prospettazioni dell’appellante negli atti sottoscritti dalle parti sarebbe stato previsto che i relativi lavori dovevano essere effettuati dalla impresa del marito della T., D.I., con conseguente suo difetto di legittimazione. Secondo la Corte territoriale la tesi dell’appellante risultava infondata, posto che essa “contrasta invero col chiaro tenore delle numerose scritture intercorse fra le parti, oltrechè col comportamento e le allegazioni di esse, prima e durante il processo. Valga solo rilevare che non avrebbe avuto senso specificare caratteristiche tecniche e qualità dei materiali da impiegare nella costruzione se il progetto avesse dovuto realizzarsi a cura e spese degli attori acquirenti, nè avrebbe avuto senso la designazione nello stesso contratto di compravendita della ditta costruttrice nella persona del marito della venditrice e la fissazione dei termini di pagamento del prezzo in relazione allo stato di avanzamento dei lavori e di ultimazione di essi in 240 giorni lavorativi”.

3. – La ricorrente impugna tale decisione, articolando quattro motivi. Resistono con controricorso i coniugi S. – G.. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Vanno in primo logo esaminate le eccezioni di inammissibilità e improcedibilità avanzate dai resistenti. Tali eccezioni sono infondate. L’impugnazione è tempestiva perchè la notifica della sentenza impugnata, effettuata in data 27 ottobre 2004 al precedente difensore della T., avvocato M., deve ritenersi inesistente. Infatti, all’esito della procedura di correzione dell’errore materiale riguardante appunto l’individuazione dell’effettivo unico difensore della signora T. in appello, è risultato (con accertamento sul punto non messo in discussione dalle parti) che l’avvocato M. era stato sostituito già nel giudizio d’appello dal nuovo difensore (avvocato Aguzzi) con la nuova diversa domiciliazione eletta. Sicchè il precedente avvocato non aveva alcun titolo a ricevere la notificazione della sentenza effettuata ai fini di far decorrere il termine breve per l’impugnazione. Mancando qualsiasi collegamento tra difensore e odierna ricorrente la notifica effettuata deve ritenersi appunto inesistente. Al riguardo questa Corte ha avuto occasione di affermare (Cass. 2009 n. 3338) che La notifica della impugnazione eseguita presso il procuratore che sia stato revocato dal mandato e sostituito deve considerarsi inesistente – e come tale insuscettibile di sanatoria, con conseguente inammissibilità dell’impugnazione – una volta che nel giudizio la controparte abbia avuto conoscenza legale di tale sostituzione; in tal caso, infatti, la notifica effettuata al precedente difensore si compie presso persona ed in luogo non aventi alcun riferimento con il destinatario dell’atto, giacchè, una volta intervenuta la sostituzione del difensore revocato, si interrompe ogni rapporto tra la parte ed il procuratore cessato”. Tale orientamento è pienamente condiviso da questo Collegio.

Conseguentemente il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. non ha iniziato il suo decorso con tale notifica. Nè può ritenersi che tale termine sia iniziato a decorrere dal momento in cui è stata proposta dall’odierna ricorrente la procedura per la correzione di errore materiale, non potendosi a tale attività, compiuta per un fine specifico incompatibile con l’impugnazione, attribuirsi valore di equipollenza della conoscenza legale del provvedimento ai fini della impugnazione. Al riguardo questo Collegio condivide gli orientamenti già espressi al riguardo da Cass. 1996 n. 4945 e Cass. 2000 n. 8596 ed, seppure indirettamente, anche da Cass. 2009 n. 19668.

Nè infine sussiste la dedotta improcedibilità per il mancato deposito da parte della ricorrente della notifica della sentenza impugnata, effettuata al precedente difensore. L’affermata inesistenza della stessa esclude in radice qualsiasi onere della ricorrente al riguardo.

2. – Il ricorso, ammissibile e procedibile, è però infondato.

2.1 – Quanto al primo motivo, col quale si deduce “omessa pronuncia su più punti decisivi della controversia. Omessa pronuncia su motivi d’impugnazione in appello” occorre rilevare che lo stesso risulta inammissibile, per come formulato, per carenza di interesse. Infatti con tale motivo la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia con riguardo ai motivi d’impugnazione in appello relativi alla cessione del terreno, nonchè con riguardo alla disposta voltura della concessione edilizia relativa al terreno. La ricorrente non considera che il giudice in primo grado ha accolto la domanda nei limiti in cui essa era stata proposta, affermando esplicitamente nel dispositivo che il titolo vantato dagli odierni resistenti sul terreno in questione era esclusivamente fondato sul diritto di superficie. Conseguentemente le successive affermazioni relative al trasferimento del terreno e alla voltura relativa alla licenza edilizia devono essere interpretate con riferimento a tale iniziale pronuncia. Conseguentemente ancora, la Corte d’appello non ha fatto altro che limitarsi ad affrontare le questioni specificamente denunciate con l’atto d’appello (in particolare la questione della legittimazione), implicitamente ritenendo ininfluenti o rigettando le censure avanzate su tali ultime questioni, non essendovi alcunchè da affermare, posto che gli eventuali problemi in ordine alla interpretazione del decisum della sentenza di primo grado, sul punto non modificata dalla sentenza d’appello, potevano tranquillamente essere affrontate in sede esecutiva. Identiche considerazioni vanno fatte quanto alla pretesa omessa pronuncia circa la servitù e il mancato risarcimento del preteso danno, posto che sul punto implicitamente deve ritenersi che la Corte d’appello abbia confermato la pronuncia di primo grado. Nè, al riguardo, è comunque sufficiente, anche nel giudizio di appello, il mero richiamo alle domande di riconvenzionali effettuate in primo grado, senza una chiara indicazione dei motivi di impugnazione formulati al riguardo.

2.2 – Anche il secondo motivo di impugnazione è inammissibile e comunque infondato. Con tale motivo si deduce la “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. Mancata valutazione delle prove esistenti in favore della ricorrente”. La ricorrente lamenta la mancata adeguata valutazione da parte della Corte territoriale delle prove acquisite al giudizio, rilevando che in sede di appello aveva prospettato elementi decisivi che avrebbero consentito di interpretare diversamente le prove già acquisite in primo grado. Al riguardo richiama la comparsa conclusionale nella quale diffusamente sarebbero indicati i motivi per i quali vi sarebbe stata nel primo giudizio la “dolosa precostituzione di prove artificiose e strumentali, finalizzate a creare fittiziamente una situazione processualmente rilevante”. Nell’ulteriore descrizione del motivo, la ricorrente fa riferimento a irregolarità che si sarebbero verificate in ordine al giudizio possessorio instaurato nel corso del giudizio di merito, nonchè alla entità della condanna comminata alla ricorrente ed alla omessa individuazione dell’inadempimento dei signori S. – G. derivante dal mancato versamento di somme contrattualmente previste”. La ricorrente elenca tutte le ragioni che avrebbero potuto portare a una diversa valutazione delle prove.

Con riguardo alla parte della censura relativa alle irregolarità e nullità di atti relativi alla procedura possessoria espletata in corso di causa, occorre rilevarne l’inammissibilità per difetto di interesse, essendo tale procedura assorbita nell’ambito della decisione di merito. Quanto agli altri profili di valutazione delle prove circa l’entità della condanna comminata e la omessa valutazione dell’inadempimento da parte degli odierni resistenti occorre in primo luogo premettere i principi generali che questa Corte ha affermato in relazione alle denunce che riguardino violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Il sindacato in sede di legittimità per violazione dell’art. 115 c.p.c. è ammissibile solo se il giudice abbia: a) omesso di valutare, facendo uso del suo potere discrezionale di scelta e valutazione degli elementi probatori, quelle risultanze indicate dalla parte come decisive, salvo ad escluderne la rilevanza in concreto indicando le ragioni del suo convincimento; b) posto a base della decisione la propria scienza personale o fatti ai quali erroneamente attribuisca il carattere della notorietà, così dando ingresso a prove non fornite dalle parti e dalle stesse non vagliati, in violazione dei principi di disponibilità e del contraddittorio delle parti sulle prove.

Diverso è il caso in cui in cui si lamenti l’apprezzamento espresso dal giudice del merito in esito alla valutazione delle prove ritualmente acquisite, regolato dall’art. 116 c.p.c., comma 1. Come è noto, l’art. 116 c.p.c., comma 1, sancisce la fine del sistema fondato sulla predeterminazione legale dell’efficacia della prova, conservando solo specifiche ipotesi di fattispecie di prova legale.

Con la formula del “prudente appressamento” si allude alla ragionevole discrezionalità del giudice nella valutazione della prova, che va compiuta tramite l’impiego di massime d’esperienza. Di conseguenza, la doglianza con la quale si denunzi che il giudice abbia fatto un cattivo uso del suo “prudente appressamento” nella valutazione della prova si risolve in una doglianza non sulla violazione della norma de qua ma sulla motivazione della sentenza, che può trovare ingresso in sede di legittimità solo nei limiti entro i quali è ammissibile il sindacato da parte della cassazione sulle ragioni giustificatrici allegate dal giudice a supporto dell’adottata decisione.

A tal fine va osservato che è devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, pertanto, lo sono anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite dell’adeguata e congrua giustificazione del criterio adottato. Conseguentemente, ai fini d’una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettategli dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi, onde pervenire alle assunte conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata. Pertanto, vizi motivazionali in tema di valutazione delle risultanze istruttorie non possono essere utilmente dedotti ove la censura si limiti alla contestazione d’una valutazione delle prove effettuata in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè, proprio a norma dell’art. 116 c.p.c., comma 1, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito l’individuare le fonti del proprio convincimento, il valutare all’uopo le prove, il controllarne l’attendibilità e la concludenza e lo scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti.

La Corte territoriale non è incorsa in alcuno dei vizi denunziabili sotto il profilo di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c..

Parte ricorrente in definitiva col suo motivo prospetta una diversa ricostruzione della vicenda, giungendo a conclusioni a lei favorevoli, ma non denuncia vizi scrutinabili in questa sede.

2.3 – Anche il terzo motivo di ricorso è infondato. Con esso viene denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., mancata corrispondenza fra chiesto e pronunciato. Violazione del principio della parità processuale tra le parti. Al riguardo la ricorrente lamenta di non essere stata posta in grado di svolgere effettivamente la propria difesa in seno all’intero procedimento nei due gradi del giudizio.

Quanto al primo grado la ricorrente non illustra specificamente il motivo, riportandolo invece per il grado d’appello interamente alla pretesa mancata valutazione delle difese approntate dal nuovo difensore con la comparsa conclusionale, tale conclusione viene raggiunta dalla ricorrente sulla base della omessa indicazione dello stesso nuovo difensore nella intestazione della sentenza (aspetto questo che ha dato luogo alla richiesta di correzione materiale accolta poi dalla Corte territoriale). Si tratta di un’argomentazione di per sè insufficiente a far ritenere che le difese svolte non siano state esaminate, mancando al riguardo qualsiasi indicazione nel merito delle stesse e con riferimento alle motivazione adottata dalla Corte.

2.4 – Risulta infine inammissibile, ed è comunque infondato, l’ultimo motivo di ricorso con il quale la ricorrente deduce violazione dell’art. 113 c.p.c. in assenza di fondamenti in diritto della pronuncia impugnata. Ritiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato nella sua decisione, non avendo considerato che il diritto trasferito riguardava esclusivamente il diritto di superficie e non altro. Secondo la ricorrente la Corte territoriale avrebbe riprodotto in maniera del tutto acritica la decisione del giudice di primo grado¯ senza dar conto della individuazione giuridica e normativa del tipo di rapporto esistente tra le parti. Al riguardo occorre rilevare che la ricorrente ripropone, sotto altra prospettiva, le stesse censure già avanzate con il primo motivo, alla base delle quali è l’affermazione secondo la quale non si sarebbe tenuto conto dell’avvenuto trasferimento del solo diritto di superficie. Al riguardo valgono quindi le considerazioni già svolte con riferimento al primo motivo, ulteriormente osservandosi che la Corte territoriale, confermando la sentenza di primo grado sul punto, non aveva necessità di riproporre specificamente le conclusioni cui quella decisione era già pervenuta.

3. – Le spese seguono la soccombenza.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 2.500,00 Euro per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione civile del 13 aprile 2011 e del 5 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2011

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