Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17120 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. I, 21/07/2010, (ud. 23/06/2010, dep. 21/07/2010), n.17120

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.M.M., costituito per se medesimo;

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che per legge lo

rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

il decreto n. 4458/2008 cron. Della Corte d’appello di Perugia,

depositato l’11 agosto 2008;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aniello Nappi;

Udite le conclusioni del P.M., Dr. GOLIA Aurelio, che ha chiesto

dichiararsi inammissibili entrambi i ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato la Corte d’appello di Perugia ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 4.000,00 in favore di A.M.M., che aveva proposto domanda di equa riparazione per la durata irragionevole di una procedura fallimentare nel cui passivo aveva chiesto tardivamente di essere insinuato nel 1993, senza ancora ottenere alcuna decisione alla data del 13 dicembre 2006.

Hanno ritenuto i giudici del merito che, considerata l’esigenza di alcuni giudizi per il recupero di attività, alla durata ragionevole di tre anni della procedura fallimentare deve aggiungersi quella di sei anni dei giudizi promossi dal curatore. Sicchè è di soli quattro anni la durata irragionevole della procedura.

Ricorre per cassazione A.M.M. e propone sei motivi d’impugnazione, cui resiste con controricorso il Ministero della Giustizia, proponendo altresì ricorso incidentale affidato a sei motivi.

Dei ricorsi proposi avverso la stessa sentenza va disposta la riunione a norma dell’art. 335 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1- Con il primo motivo il ricorrente principale lamenta che non sia stato computato il tempo intercorso tra la dichiarazione del fallimento, in data (OMISSIS), e la presentazione della sua domanda di ammissione al passivo nel 1993. Aggiunge che erroneamente i giudici del merito hanno cumulato il termine di ragionevole durata dei procedimenti incidentali a quello fallimentare.

Con il secondo motivo il ricorrente abbia determinato l’indennizzo nella misura minima, senza tenere conto di altri parametri di valutazione, quale la posta in gioco, e abbia liquidato il danno con esclusivo riferimento alla durata eccedente il tempo ritenuto ragionevole.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta che non si sia tenuto conto della effettiva complessità del caso.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta che i giudici del merito abbiano omesso di pronunciarsi sulla sua domanda di risarcimento del danno patrimoniale e non abbiano incluso nel computo anche i venti mesi di durata del giudizio di equa riparazione.

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta che le spese del giudizio siano state compensate in parte, solo perchè gli è stata riconosciuta una somma inferiore a quella richiesta.

Con il sesto motivo il ricorrente lamenta che nella liquidazione delle spese siano state violate le tariffe professionali.

1.2- Il ricorso è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa corte “in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata di una procedura fallimentare, la durata del procedimento di insinuazione tardiva va determinata avendo riguardo al tempo intercorso tra la proposizione dell’istanza L. Fall., ex art. 101, con cui il creditore diventa parte della procedura, ed il provvedimento di ammissione del credito (nella specie, emesso dal giudice delegato), non potendosi cumulare con tale periodo quello precedente di svolgimento della procedura concorsuale, al quale il creditore è rimasto estraneo” (Cass., sez. 1^, 2 aprile 2010, n. 8169, m. 612400). Inoltre con riferimento alla procedura fallimentare “deve escludersi che la valutazione del termine di ragionevole durata vada effettuata con esclusivo riferimento al tempo impegnato nella distribuzione dell’attivo ai creditori, senza tener conto di quello oggettivamente trascorso nella definizione dei procedimenti incidentali o, comunque, connessi, avviati dal curatore per il recupero di attività alla massa. In quanto, le lunghe e complesse fasi contenziose, dirette a tale recupero ben possono trovare adeguata considerazione, da parte del giudice, nell’ambito della valutazione della complessità del caso, di cui all’art. 2, comma 2, della Legge citata, ferma restando, tuttavia, la necessità di estendere il sindacato anche alla durata di dette cause, avuto riguardo alla loro obiettiva difficoltà ed alla mole dei necessari incombenti; così come, per converso, rimangono addebitabili allo Stato apparato – e dunque valutabili per l’irragionevolezza dei relativi tempi – errori, inerzie o ritardi della stessa curatela nel promuovere o nel proseguire le azioni in questione” (Cass., sez. 1^, 10 novembre 2006, n. 24040, m. 594619).

Nel caso in esame i giudici del merito hanno considerato l’abituale triennio quale termine proprio di durata ragionevole della procedura fallimentare; e vi hanno aggiunto i sei anni complessivi di durata dei tre gradi di un ordinario giudizio di cognizione, senza distinzione tra i diversi giudizi incidentali effettivamente promossi dal curatore. Sicchè, escluso che possa considerarsi anche la durata dell’autonomo giudizio di equa riparazione, risulta incensurabile la plausibile determinazione della durata ragionevole del processo e per differenza la durata cui riferire il calcolo dell’indennità spettante all’attore.

Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, “la questione di costituzionalità della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lett. a), secondo cui, ai fini della liquidazione dell’indennizzo per la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, non deve aversi riguardo ad ogni anno di durata del processo stesso ma solo al periodo eccedente il termine ragionevole, è manifestamente infondata, non essendo ravvi-sabile alcuna violazione dell’art. 117 Cost., e, in particolare, della norma interposta di cui all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848), sia perchè la contraria interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo (nelle sentenze del 10 novembre 2004) sui criteri da utilizzare per determinare l’ammontare del risarcimento è stata verosimilmente elaborata in applicazione di norme della Convenzione diverse dal citato art. 6, sia perchè il suddetto criterio adottato dal legislatore italiano, che è vincolante per il giudice nazionale, non tocca la complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e, dunque, non autorizza dubbi sulla sua compatibilità con gli impegni internazionale assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2)” (Cass., sez. 1^, 22 gennaio 2008, n. 1354, m. 601254, Cass., sez. 1^, 6 maggio 2009, n. 10415, m. 608003).

Corretta è anche la determinazione dell’indennizzo in Euro 4.000,00 dal momento che la giurisprudenza ha “individuato nell’importo compreso tra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 la base di calcolo dell’indennizzo per ciascun anno in relazione al danno non patrimoniale, da quantificare poi in concreto avendo riguardo alla natura e alle caratteristiche di ciascuna controversia” (Cass., sez. 1^, 26 gennaio 2006, n. 1630, m. 585927).

Inammissibile poi è la censura relativa alla mancata liquidazione di un danno patrimoniale di cui non si indicano neppure gli estremi.

Adeguatamente giustificata è anche la compensazione parziale delle spese, potendo il giudice tener conto della sensibile riduzione della somma richiesta con la domanda introduttiva del giudizio (Cass., sez. 1^, 23 giugno 2000, n. 8532, m. 537937).

Manca di specificità infine la censura relativa alla dedotta violazione delle tariffe professionali, liquidate per la metà in Euro settecento.

Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, “la parte, la quale intenda impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, dei diritti di procuratore e degli onorar di avvocato, per pretesa violazione dei minimi tariffari, ha l’onere di specificare analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il ricorso che contenga il semplice riferimento a prestazioni che sarebbero state liquidate in eccesso rispetto alla tariffa massima” (Cass., sez. 1^, 7 agosto 2009, n. 18086, m. 609456).

2.1- Con il primo motivo del ricorso incidentale il Ministero della Giustizia lamenta che non siano stati acquisiti gli atti dei procedimenti incidentali da valutare ai fini della determinazione della ragionevole durata della procedura concorsuale.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che non sia stata adeguatamente valutata la complessità dei giudizi incidentali.

Con il terzo motivo lamenta che sia stato computato un termine unico per la durata di tutti i giudizi incidentali.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta che i giudici del merito non abbiano tenuto conto degli scarsi risultati dell’attività professionale svolta dallo stesso avv. A.M.M. in favore della curatela tra il 17 dicembre 1993 e il 14 giugno 1997.

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta che le spese di lite non siano state compensate integralmente, considerata la differenza tra quanto richiesto (Euro 13.000,00) dall’attore e quanto riconosciutogli (Euro 4.000,00).

Con il sesto motivo il ricorrente lamenta che sia eccessiva l’entità delle spese liquidate in Euro 1.400,00 essendo di Euro 1.194,00 il massimo liquidabile.

2.2- I primi quattro motivi del ricorso sono inammissibili, perchè propongono censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata con riferimento a una plausibile ricostruzione del rapporto tra la procedura concorsuale e i giudizi incidentali.

Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, “l’accertamento della sussistenza dei presupposti della domanda di equa riparazione – ovvero, la complessità del caso, il comportamento delle parti e la condotta dell’autorità – così come la misura del segmento, all’interno del complessivo arco temporale del processo, riferibile all’apparato giudiziario, in relazione al quale deve essere emesso il giudizio di ragionevolezza della relativa durata, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, appartiene alla sovranità del giudice di merito e può essere sindacato in sede di legittimità solo per vizi attinenti alla motivazione” (Cass., sez. 1^, 19 novembre 2009, n. 24399, m. 610295).

Il quinto motivo è manifestamente infondato, posto che la compensazione solo parziale delle spese si giustifica con l’innegabile considerazione che l’esercizio dell’azione fu per sempre necessaria per ottenere il riconoscimento di un credito anche inferiore a quello richiesto.

Quanto alla censura relativa alla liquidazione delle spese, come sì è detto il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente le voci della tariffa che ritiene applicabili. Mentre nel caso in esame si è proposta solo la distinzione tra diritti e onorari, senza che sia possibile verificare l’esattezza dei rilievi mossi alla decisione impugnata.

3. La parziale reciproca soccombenza delle parti giustifica la compensazione integrale delle spese di questo grado del giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

 

 

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