Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17119 del 13/08/2020

Cassazione civile sez. II, 13/08/2020, (ud. 21/02/2020, dep. 13/08/2020), n.17119

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19321-2019 proposto da:

P.L., elettivamente domiciliato in Civitanova Marche, via

fermi n. 3, presso lo studio dell’avv.to GIUSEPPE LUFRANO che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE ANCONA;

– intimata –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 10/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/02/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

1. Il Tribunale di Ancona, con decreto pubblicato il 10 maggio 2019, respingeva il ricorso proposto da P.L., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il Tribunale, per quel che qui interessa, confermava la valutazione della commissione competente. Il Tribunale, in primo luogo, riteneva che le dichiarazioni rese dal richiedente non fossero credibili, in particolare quanto all’uccisione del padre a distanza di soli due giorni dalla richiesta di riscatto, tenuto conto che i rapitori avrebbero detto al richiedente di chiamarli appena avesse avuto a disposizione la somma richiesta per il riscatto, e poi inspiegabilmente avrebbero impedito ogni comunicazione impedendogli di contattarli, inoltre lo stesso richiedente aveva prima riferito che i rapitori gli avevano detto di chiamarli non appena avesse trovato i soldi, pena l’uccisione del padre, e poi in audizione aveva affermato che solo se avesse avuto nell’immediatezza disponibilità del denaro i rapinatori avrebbero reso noto il posto in cui lo stesso doveva essere portato.

Il richiedente aveva riferito che avrebbe lasciato il paese su suggerimento dello zio, preoccupato che i pastori F. potessero considerarlo responsabile della morte di uno di loro e che, dopo la sua fuga, lo zio si sarebbe recato in un’altra stazione di polizia per denunciare la scomparsa del fratello, dal momento che nella prima stazione di polizia, presso la quale il richiedente aveva segnalato il rapimento del padre, i poliziotti si erano limitati a dirgli che occorreva attendere notizia dai rapitori. Infine, il richiedente aveva riferito che, dopo il ritrovamento del corpo del padre, gli abitanti del villaggio, in preda alla rabbia, si erano messi alla ricerca di pastori F. con l’intenzione di ucciderli così come avevano fatto con il padre per poi dichiarare che trovatone uno si erano limitati a picchiarlo, colpendolo con un coltello al petto, senza volerne provocare la morte, per poi lasciarlo nel bosco pensando che fosse solo svenuto.

Anche le notizie circa il (paese di origine smentivano quanto dichiarato dal richiedente e le sue dichiarazioni risultavano incoerenti internamente e contraddittorie su punti principali della storia personale.

Peraltro, le informazioni acquisite in merito al paese di origine smentivano quanto dichiarato dal ricorrente. In particolare, il Tribunale evidenziava la prassi diffusissima di dichiarazioni fraudolente e l’incapacità delle autorità nigeriane di contrastarla oltre all’incongruenza dei documenti prodotti.

Il Tribunale richiamava varie fonti internazionali al fine di evidenziare la facilità con la quale in Nigeria si formava falsa documentazione. Tale diffusa tendenza, unitamente agli aspetti di inattendibilità intrinseca emersi già nel corso dell’audizione, induceva a considerare non autentica la documentazione versata in atti dal richiedente.

Il Tribunale si soffermava anche sulla situazione generale del aese di origine del richiedente che aveva dichiarato di provenire da un villaggio nello stato di EDO nel sud della Nigeria.

Dalle fonti internazionali emergeva che nel sud della Nigeria non sussistevano conflittualità tali da giustificare la concessione della protezione sussidiaria non essendo presente una violenza indiscriminata diffusa sul territorio.

Difettavano, inoltre, i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto la generica gravità della situazione politico economica del paese di origine del richiedente, al pari della mancanza dell’esercizio delle libertà democratiche non erano di per sè sufficienti ad integrare i presupposti per il riconoscimento di tale status, essendo necessario che dalla situazione individuale e dalle circostanze personali si potesse desumere, in considerazione delle condizioni del paese di origine, la sussistenza di una persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o professione di un’opinione politica.

Nella specie, il richiedente non aveva allegato nessuna di tali circostanze. In ogni caso il timore persecutorio dallo stesso rappresentato non assumeva tutti e quattro i connotati (soggettivo, causale, ambientale, e di personalizzazione del rischio) e, dunque, i fatti riferiti non erano riconducibili alle previsioni di cui alla convenzione di Ginevra e di cui agli D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8.

Quanto alla richiesta di riconoscimento della protezione sussidiaria, il Tribunale evidenziava che non veniva in rilievo nessuno dei profili di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non emergendo circostanze tali da far ritenere che il ricorrente potesse essere sottoposto a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti nel paese di origine, nè che le temute ripercussioni integrassero i presupposti di un danno grave in relazione alle possibili conseguenze del rientro in patria, tenuto conto che le istituzioni dello Stato di provenienza erano comunque in grado di assicurare protezione.

Mancava anche il presupposto della minaccia grave alla vita alla persona di cui al cit. art. 14, lett. c) non essendo l’area di provenienza del richiedente in una situazione tale da determinare un rischio per la vita con la sola presenza fisica sul territorio.

Il Tribunale, infine, rigettava anche la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per gravi motivi di carattere umanitario sia per le condizioni riferite riguardo il paese di provenienza dove non veniva in rilievo una condizione di elevata vulnerabilità all’esito del rimpatrio, sia per l’inesistenza di problematiche soggettive del tipo di quelle tipizzate dal D.Lgs. cit., art. 19, comma 2.

Inoltre, non vi erano condizioni individuali di elevata vulnerabilità tenuto conto della non attendibilità di quanto narrato. Per la valutazione prognostica dell’elevata vulnerabilità per effetto dello sradicamento del richiedente dal contesto socio-economico nazionale si evidenziava che in atti vi era solo un attestato di lavoro del tutto insufficiente per concedere il permesso richiesto. Il giudizio prognostico di elevata vulnerabilità non poteva che essere negativo.

3. P.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per avere la corte di merito erroneamente valutato la narrazione del ricorrente, ritenendola non credibile e omettendo di valutare i rischi che egli correrebbe in caso di rientro forzoso in Nigeria.

La censura verte sulle lacune motivazionali in relazione alla ritenuta non veridicità delle dichiarazioni del richiedente, minimizzando il rischio cui egli sarebbe esposto in caso di rientro forzato

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per aver negato la protezione sussidiaria, omettendo di indagare sulle condizioni di pericolo esistente in Nigeria.

Il Tribunale sarebbe incorso in un evidente violazione dei principi relativi alla protezione internazionale dello straniero, avendo escluso l’applicabilità dell’art. 14, lett. c), semplicemente sulla base della mancanza di un pericolo per l’incolumità senza considerare la condizione del paese di origine del richiedente nel quale sussiste una violenza diffusa ed indiscriminata. Dunque, nella specie opererebbe il divieto di respingimento di un soggetto la cui vita potrebbe essere in serio pericolo in caso di rientro nello Stato di provenienza.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non aver ritenuto sussistenti le condizioni di vulnerabilità del ricorrente in caso di rientro forzoso in patria.

Mancherebbero le ragioni del rigetto della domanda relativa alla protezione umanitaria, in particolare la correlazione tra la condizione personale del richiedente e la situazione oggettiva del paese di origine.

4. Il ricorso è inammissibile.

Deve evidenziarsi, infatti, che il ricorso è stato presentato in virtù di una procura speciale, rilasciata su foglio separato e materialmente congiunta all’atto, priva dell’indicazione della data in cui la stessa è stata conferita.

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, introdotto dal D.L. n. 13 del 2017 ed applicabile al caso di specie, prevede tuttavia che “la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima”.

La mancanza sia dell’indicazione della data di rilascio della procura speciale, sia della correlata certificazione impedisce di verificare l’avvenuto conferimento della stessa in epoca successiva alla comunicazione del decreto impugnato.

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso presentato in virtù di una simile procura.

Il rilievo ha carattere assorbente e rende superfluo l’esame, nel merito, del motivo di ricorso presentato.

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più SPAD;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2020

 

 

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