Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17117 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. I, 21/07/2010, (ud. 10/06/2010, dep. 21/07/2010), n.17117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.A., nella qualità di titolare della ditta Antonella

Prada Cravatte (p.i. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso l’Avvocato SASSANI BRUNO, che la

rappresenta e difende unitamente agli Avvocati FRANZOSI MARIO,

SANTONOCITO FEDERICA, JANDOLI VINCENZO, giusta procura a margine del

ricorso (REVOCA MANDATO);

– ricorrente –

contro

PRADA S.A., già Prefel S.A., PRADA S.P.A. (P.I. (OMISSIS)), già

I.P.I. Italia S.p.a., entrambe in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE G. MAZZINI 6,

presso l’avvocato SCRIVO PASQUALE, che le rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FLORIDIA GIORGIO, giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2004/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2010 dal Consigliere Dott. RAGONESI Vittorio;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluse per l’inammissibilità, in subordine

rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel luglio ’99 le società Prefel s.a. (ora Prada s.a.) ed I.P.I. s.p.a., titolari delle registrazioni internazionali e della commercializzazione e tutela in Italia del marchio Prada, convenivano dinanzi il Tribunale di Monza P.A., titolare della ditta individuale “Antonella Prada Cravatte”, denunciando la contraffazione del propri marchi ad opera della convenuta, che aveva dapprima messo in commercio una linea di cravatte dal marchio “A. Prada” e poi depositato, nel marzo ’98, due domande di brevetto in Italia per il segno “AP Antonella Prada” e per le classi (OMISSIS) ed in seguito anche una domanda di brevetto internazionale.

Le attrici chiedevano dunque di accertare la nullità, per carenza di novità, del successivo marchio della convenuta, la contraffazione del proprio, non giustificata dall’uso del patronimico, e la conseguente concorrenza sleale confusoria; di disporre dunque la necessaria inibitoria, con le conseguenti pronunce accessorie di distruzione del materiale e pubblicazione della sentenza; di condannare infine la convenuta al risarcimento del danno da quantificarsi anche mediante c.t.u..

P.A. si costituiva, sottolineando in particolare di utilizzare il proprio nome nel settore della moda sin dal ’74, come consentitole L. M., art. 1 bis, lett. a, ed aggiungendo, per un verso, che la diffusione del cognome P. privava un tal segno di qualsiasi capacità distintiva e, per altro verso, che l’aggiunta del nome A. costituiva sufficiente differenza.

Il Tribunale di Monza,preliminarmente respinta l’eccezione di nullità del giudizio per la tardiva partecipazione del P.M., rilevava l’anteriorità del valido marchio Prada del ’77, non anticipato da anteriorità distruttive ed a sua volta dunque anteriore alla registrazione di P.A. del ’98, e evidenziava la loro evidente confondibilità, il “cuore” essendo rappresentato dall’identico cognome. Precisava, poi, i limiti legali all’uso del patronimico in opposizione ad un marchio altrui e respingeva l’ulteriore eccezione della convenuta circa la decadenza per non uso del marchio Prada. Ritenuta così la nullità del marchio Antonella Prada, costituente contraffazione dell’avversaria anteriorità, ed accertata la concorrenza sleale, il primo Giudice ordinava l’inibitoria richiesta, con le sue conseguenze cautelari e sanzionatorie; respingeva però la domanda risarcitoria, per come formulata, non risultando dimostrata alcuna diminuzione delle vendite da parte del gruppo Prada per effetto dell’illegittima condotta avversaria.

Proponeva appello la soccombente, con plurime censure, con cui in particolare contestava la sentenza di primo grado: a) perchè fondata su un marchio Prada, quello del ’77, neppur validamente azionato ma solo tardivamente introdotto in causa con inammissibile e non accettata domanda nuova; marchio comunque nullo perchè non nuovo e comunque decaduto per mancato pagamento delle tasse al decennio e già al quinquennio per non uso quanto alla classe (OMISSIS); b) per aver comunque negato tutela ad un marchio patronimico, peraltro adeguatamente, e per più elementi, differenziato, e quindi non confondibile con quello di controparte; c) per non aver poi preso in esame il preuso fin dal primi anni ’80 del marchio di fatto di Antonella Prada, tale almeno da legittimare la sua prosecuzione nel limiti precedenti.

L’appellante chiedeva dunque di respingere tutte le domande delle attrici e di dichiarar legittimo l’uso del propri segni ed eventualmente validi i marchi richiesti.

Si costituivano le società del gruppo Prada chiedendo il rigetto del gravame e proponendo appello incidentale per censurare il rigetto della domanda risarcitoria, sul rilievo che non sempre il pregiudizio derivante dalla contraffazione induce una diminuzione del fatturato avversario, potendo anche solo limitarne la crescita.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza 2004/04, respingeva l’appello principale ed accoglieva per quanto di ragione quello incidentale; per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava P.A. al risarcimento in favore delle controparti per la somma complessiva di Euro 50.000,00, oltre ad interessi di legge ed alla rifusione delle intere spese processuali confermava nel resto la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Monza.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione P.A. sulla base di cinque motivi cui resistono con controricorso Prada s.a. e Prada spa. E’ pervenuta in cancelleria in data 4.6.10 una produzione documentale da parte di P.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che, solo con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, le società del gruppo Prada hanno fatto valere, in aggiunta a quelli già riportati nell’atto di citazione, l’ulteriore marchio italiano (OMISSIS) depositato fin dal 1977, il che costituirebbe una inammissibile “mutatio libelli”.

Con il secondo motivo deduce che la sentenza impugnata è erronea nella parte in cui ha applicato la L. Marchi, art. 42 nella sua nuova versione entrata in vigore il 1 gennaio 1993 e non già nel vecchio testo applicabile al caso di specie che prevedeva la decadenza per non uso triennale anzichè quinquennale.

Con il terzo motivo assume la ricorrente che la Corte d’Appello, con evidente errore dell’iter logico, avrebbe dato per scontato che il marchio n. (OMISSIS) registrato per le classi (OMISSIS) era stato validamente ceduto dalla f. F.lli Prada alla Prada S.r.l.

unitamente al ramo azienda, in conformità al disposto del vecchio testo della Legge Marchi, art. 15.

Con il quarto motivo lamenta che la Corte d’Appello avrebbe omesso di considerare che la sig.ra P.A. aveva iniziato ad usare il marchio “Prada ” per contraddistinguere cravatte benchè solo come marchio di fatto all’inizio degli anni ’80 e che, per effetto di tale uso il diritto all’uso esclusivo del marchio in questione si sarebbe consolidato in capo alla stessa ricorrente e che, in ogni caso, essa avrebbe acquistato quanto meno un diritto di preuso locale sicchè avrebbe diritto di continuare nei limiti della diffusione locale.

Con il quinto motivo si duole che la Corte d’Appello abbia liquidato una somma a titolo di risarcimento del danno in via equitativa così violando l’art. 115 c.p.c. che impone al giudice di porre a fondamento della propria decisione le prove fornite dalle parti.

Il primo motivo è infondato.

Anche a volere ritenere che la Prefel s.a (ora Prada s.a.) non avesse fatto alcun riferimento al marchio (OMISSIS), relativo, tra l’altro, alla classe (OMISSIS), nel proprio atto di citazione ove,comunque, è fatta menzione del predetto marchio, è pacifico in causa che quest’ultimo venne espressamente fatto valere,con memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5 in replica alla comparsa di costituzione avversaria, ove la Prefel ha espressamente dedotto che il proprio marchio (OMISSIS) era, comunque, anteriore all’asserito preuso dedotto dalla attuale ricorrente.

Quest’ultima sostiene che l’avere fatto valere il marchio di cui sopra costituiva una inammissibile “mutatio libelli”.

L’assunto è erroneo.

E’ appena il caso di ricordare che la costante giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che si ha “mutatio libelli” quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un “petitum” diverso e più ampio oppure una “causa petendi” fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo;

si ha, invece, semplice “emendatio” quando si incida sulla “causa petendi”, in modo che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul “petitum”, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere. (da ultimo Cass 17457/09; Cass 21017/07).

Alla luce di questa giurisprudenza, non è dubbio che l’avere fatto valere con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5 il marchio (OMISSIS) costituisce una semplice “emendatio libelli” tempestivamente proposta dal momento che è nel corso della udienza di trattazione che le parti, ai sensi dell’ultima parte del comma quinto del citato articolo, possono precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate. Nel caso di specie, l’azione fatta valere dalla Prada s.a era quella di contraffazione dei propri marchi (ne erano stati elencati 11 nell’atto di citazione) da parte della convenuta.

E’ di tutta evidenza che l’aggiunta del marchio (OMISSIS)costituisce una semplice specificazione della domanda già proposta con la citazione, ove era già contenuto un riferimento al marchio (OMISSIS) con cui l’attrice ha meglio puntualizzato la domanda di contraffazione delle proprie privative chiarendo che a quelle già citate se ne doveva aggiungere un’ altra. Ciò non ha certamente comportato una domanda nuova poichè l’azione era da intendersi complessivamente proposta a tutela del marchio Prada per come lo stesso era stato brevettato nei diversi marchi.

Quanto al secondo motivo, la Corte d’appello ha rilevato che la decadenza del marchio (OMISSIS) sotto il profilo del non uso era stata tardivamente dedotta in sede di conclusionale ed altrettanto doveva dirsi per quanto concerneva il profilo del mancato pagamento della rata decennale, essendo stata proposta detta eccezione solo in grado di appello.

Tale “ratio decidendi” che comporta l’inammissibilità della eccezione sollevata nella fase di merito non è stata oggetto di specifica censura onde il motivo deve ritenersi inammissibile per carenza d’interesse.

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per quanto concerne il terzo motivo di ricorso relativo alla invalidità del trasferimento del marchio separato dall’azienda, avendo il giudice di seconde cure rilevato che l’eccezione era stata tardivamente proposta in sede di conclusionale e non avendo,anche in questo caso, la ricorrente censurato con il motivo in esame tale decisiva ratio decidendi.

Sul punto, comunque, la Corte d’appello ha rilevato che nell’atto di cessione del marchio si da atto che allo stesso si accompagnava la cessione dell’avviamento e dei sistemi di produzione e creazione relativi per cui a detta cessione era collegata anche quella dell’azienda. Anche tale ratio non risulta specificatamente censurata e ^comunque, la doglianza propone una diversa interpretazione degli elementi acquisiti in giudizio onde investendo il merito della decisione, sarebbe in ogni caso inammissibile.

Il quarto motivo è infondato.

La ricorrente lamenta il mancato riconoscimento dell’uso di fatto del proprio marchio a far data dal 1980, ma se,come in precedenza rilevato, il marchio delle società resistenti non può considerarsi decaduto, è evidente che – come correttamente rilevato dalla Corte d’appello – lo stesso, essendo stato registrato nel 1977 in data anteriore a quella del dedotto preuso, impedisce a quest’ultimo di esplicare alcun effetto restando quindi questo privo di tutela e dovendosi, anzi, considerare “contra legem”.

Anche l’ultimo motivo è infondato.

Occorre premettere che la Legge Marchi, art 66 applicabile “ratione temporis” espressamente prevede che la sentenza “che provvede sul risarcimento dei danni” può farne, ad istanza di parte, la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano.

Invero,nel caso di specie il danno è stato ritenuto sussistere in ragione di un mancato utile netto causato da mancate vendite per effetto dell’attività contraffattoria della attuale ricorrente.

E’ di tutta evidenza che in siffatte ipotesi una stima effettiva concreta del danno è impossibile a determinarsi in modo preciso non essendo dato sapere l’esatto ammontare delle mancate vendite in conseguenza dell’attività contraffattoria, potendo la loro diminuzione o il mancato incremento essere determinato anche da svariati altri fattori (calo di domanda da parte del mercato, riduzione della rete di distribuzione della società produttrice, aumento della concorrenza da parte di altre imprese etc).

Del tutto correttamente pertanto la Corte territoriale ha fatto ricorso ad una valutazione equitativa del danno che, partendo dal numero delle cravatte vendute da P.A., ha computato il danno in relazione al minor numero di cravatte vendute dal gruppo Prada tenendo adeguatamente conto sia del minor prezzo delle cravatte della ricorrente e sia dal fatto che solo una quota molto marginale dei clienti della ricorrente avrebbero acquistato una cravatta prodotta dalle società resistenti in ragione del prezzo molto più elevato di quest’ultima.

Il ricorso va pertanto respinto.

Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 7500,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

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