Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17117 del 13/08/2020

Cassazione civile sez. II, 13/08/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 13/08/2020), n.17117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21319/2019 proposto da:

D.B., rappresentato e difeso dall’avv. Scordamaglia

Giovanbattista;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso

l’avvocatura generale dello stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

e contro

PROCURA DELLA REPUBBLICA DI CATANZARO;

– intimata –

avverso la sentenza N. 581/2019 della Corte di Appello di CATANZARO,

depositata il 20.03.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06.02.2020 dal Consigliere Dr. GIANNACCARI Rossana.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

D.B. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro del 20.3.2019, che ha confermato l’ordinanza del Tribunale circondariale di rigetto dell’opposizione avverso il diniego da parte della Commissione Territoriale di Crotone della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

il ricorrente, cittadino del Bangladeh, aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese a seguito dell’uccisione del padre, attivista del BNP;

la Corte d’appello ha ritenuto che le dichiarazioni del richiedente asilo fossero intrinsecamente inattendibili ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); ha rigettato la richiesta di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) e la richiesta di protezione umanitaria;

il ricorso per cassazione è basato su cinque motivi;

il Ministero degli Interni resiste con controricorso;

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Che:

con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in quanto la corte di merito non avrebbe esaminato i documenti prodotti in giudizio pervenendo ad una motivazione generica e stereotipata;

il motivo è inammissibile;

in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione, previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad esplicitare le ragioni della decisione (Cassazione civile sez. VI, 25/09/2018, n. 22598; Cass. Sez. 07/04/2014 n. 8053);

il vizio di nullità è configurabile quando la sentenza è inidonea a raggiungere lo scopo, ovvero di spiegare le ragioni del decidere; la “mancanza della motivazione” agli effetti del requisito della sentenza di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, si sostanzia, nel caso di specie, in quanto le argomentazioni sono svolte in modo talmente contraddittorio e con passaggi logici talmente incongrui da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum.

nella specie, invece, la motivazione della sentenza impugnata consente di seguire l’iter logico giuridico della decisione, basato sull’assenza di credibilità del ricorrente, nè il sindacato di legittimità può investire la valutazione delle singole risultanze istruttorie o dei singoli mezzi di prova, salvo che non si alleghi la decisività del mezzo e non, come nel caso in esame, la rivalutazione delle prove;

con il secondo motivo di ricorso, deducendo la violazione e falsa

applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si censura la valutazione della corte di merito in ordine alla credibilità del ricorrente, che avrebbe fornito una ricostruzione puntuale relativa all’appartenenza del padre al BNP, corredando il racconto con la produzione del certificato di iscrizione al partito;

con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 8 e art. 14, comma 1, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la corte di merito avrebbe erroneamente rigettato la richiesta della protezione sussidiaria senza tener conto delle informazioni relative al contesto socio-politico del Bangladesh, come risultante dalle fonti internazionali, con particolare riferimento ai numerosi scontri avvenuti in seguito al successo elettorale dell’Awami League ed all’instabilità politica del Paese;

i motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati;

uno dei criteri contemplati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 per la valutazione della credibilità del ricorrente è costituito dalla coerenza e plausibilità delle dichiarazioni;.

– secondo il principio costantemente affermato da questa Corte, infatti, in materia di protezione internazionale, il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. (Cassazione civile sez. I, 07/08/2019, n. 21142).

– nell’applicare i summenzionati parametri, la Corte d’appello ha ritenuto incoerente ed inattendibile la ricostruzione sostenuta da parte ricorrente in ragione del carattere generico ed implausibile delle informazioni rese, con particolare riferimento ai luoghi, alle persone, ai tempi ed alle dinamiche degli eventi narrati ma anche in relazione alle modalità di conoscenza di un fatto grave come l’uccisione dell’intero nucleo familiare; non sussiste, pertanto, alcun vizio nella “procedimentalizzazione” dell’attività valutativa delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale, avvenuta in conformità con il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; quanto, poi, alla censura concernente l’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria di cui si sarebbe reso responsabile l’organo di merito, in violazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’eventuale esito negativo della valutazione di credibilità, coerenza intrinseca e attendibilità della versione resa dal richiedente la protezione internazionale non rende operante l’attivazione del dovere di cooperazione istruttoria facente capo all’organo giudicante (Cassazione civile sez. I, 30/08/2019, n. 21889; Cassazione civile sez. I, 22/02/2019, n. 5354);

– la corte di merito ha altresì escluso, facendo riferimento alle informazioni sul Bangladesh la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c;

– con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in quanto la corte di merito non avrebbe ravvisato la sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie nonostante il rischio per la propria incolumità in caso di rientro e l’inserimento nel contesto sociale e lavorativo del nostro Paese, attestato dallo svolgimento di attività lavorativa dall’aprile all’ottobre 2018;

il motivo non è fondato;

– il rilascio del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, – applicabile ratione temporis, in conformità a quanto disposto da Cass., Sez. Un. 29459 del 13/11/2019- rappresenta una misura atipica e residuale, volta a tutelare situazioni che, seppur non integranti i presupposti per il riconoscimento delle forme tipiche di tutela, si caratterizzino ugualmente per la condizione di vulnerabilità in cui versa il richiedente la protezione internazionale;

– l’accertamento della summenzionata condizione di vulnerabilità avviene, in ossequio al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/05/2019 n. 13088; Cass. civ., sez. I, n. 4455 23/02/2018, Rv. 647298 – 01), alla stregua di una duplice valutazione, che tenga conto, da un lato, degli standards di tutela e rispetto dei diritti umani fondamentali nel Paese d’origine del richiedente e, dall’altro, del percorso di integrazione sociale da quest’ultimo intrapreso nel Paese di destinazione;

– le Sezioni Unite hanno consolidato l’indirizzo espresso dalle Sezioni Semplici, secondo cui occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto nel nostro Paese, isolatamente ed astrattamente considerato (Cassazione civile sez. un., 13/11/2019, n. 29459).

La corte distrettuale, nel rigettare la domanda volta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha escluso la sussistenza di entrambe le condizioni menzionate, svolgendo l’esame comparativo secondo i criteri previsti da questa Corte nella consolidata giurisprudenza, anche con riferimento all’efficienza del sistema sanitario del paese di origine, di talchè ha escluso la deprivazione dei diritti fondamentali in caso di rientronazionale (ecx multis Cass. 4455/2018);

il ricorso va pertanto rigettato;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo;

– la condanna al pagamento delle spese del giudizio in favore di un’amministrazione dello Stato deve essere limitata, riguardo alle spese vive, al rimborso delle somme prenotate a debito (Cassazione civile sez. 2, 11/09/2018, n. 22014; Cass. Civ., n. 5859 del 2002).

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello cit. art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2020

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