Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17116 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. I, 21/07/2010, (ud. 08/06/2010, dep. 21/07/2010), n.17116

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Fallimento della Q. & S. di Poli Antonio & C. s.a.s. e

di P.

A. in persona del curatore, elettivamente domiciliato in Roma,

Via XX Settembre 3, presso l’avv. SASSANI Bruno, che con l’avv. Mario

Andreucci lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Q. & S. di Bronzini Cristina e C. s.a.s. (già di Poli

Antonio) e

B.C. in proprio, elettivamente domiciliati in Roma,

Via S. Tommaso d’Aquino 7 presso l’avv. Luca Giovarruscio,

rappresentati e difesi dall’Avv. CRISCUOLI Adolfo, giusta delega in

atti;

– controricorrenti –

P.A. quale socio accomandatario della Q. & S.

s.a.s.,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Salaria 242 presso l’avv.

Antonio De Paolis, rappresentato e difeso dall’avv. Graziano Maffei,

giusto delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1241/2008 dei

26.8.2005.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza

dell’8.6.2010 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto

del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 26.8.2008 la Corte di Appello di Firenze revocava il fallimento della Q. & S. di Poli Antonio & C. s.a.s. e di P. A. in proprio, ritenendo fondato il rilievo dei tre reclamanti (Q. & S. di Bronzini Cristina e C. s.a.s., B.C., e P.A.), secondo cui il solo debito scaduto e non pagato emerso dall’istruttoria prefallimentare sarebbe stato quello della Fog s.r.l. dell’importo di Euro 17.954,00 inferiore quindi a quello di Euro 30.000,00 previsto dalla L. Fall., art. 15, u.c., quale presupposto della fallibilità.

Avverso la decisione il fallimento proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi poi ulteriormente illustrati da memoria, cui resistevano la Q. & S. ed il P. con controricorso, con il quale eccepivano fra l’altro l’inammissibilità del ricorso per difettosa formulazione dei quesiti.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica dell’8.6.2010.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i motivi di impugnazione il ricorrente ha rispettivamente denunciato: 1) violazione della L. Fall., art. 15, comma 9, art. 2697 c.c., comma 2, per non aver la Corte considerato che l’onere della prova in ordine all’esistenza di una consistenza debitoria inferiore a Euro 30.000,00 sarebbe posto a carico del debitore, che nella specie non l’avrebbe assolto;

2) violazione della L. Fall., art. 15, comma 9, per il fatto che la Corte avrebbe a torto ritenuto che, per effetto del carattere officioso dell’istruttoria fallimentare, il tribunale avrebbe dovuto svolgere attività istruttoria “ex officio” per accertare l’eventuale superamento del limite di fallibilità.

Va innanzitutto disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, poichè i due quesiti formulati in calce ai motivi di impugnazione, dedotti sotto il profilo della violazione di legge (pp. 4 e 5 del ricorso), risultano sufficientemente specifici.

Con il primo infatti il fallimento, che aveva lamentato l’intervenuta revoca della relativa declaratoria, ha chiesto a questa Corte di stabilire se l’onere della prova in ordine all’assenza di una esposizione debitoria di Euro 30.000,00 fosse o meno da individuare in capo al fallendo, mentre con il secondo ha chiesto di conoscere se, anche in assenza di specifiche richieste istruttorie, il tribunale non avesse comunque il compito di svolgere indagini di ufficio, al fine di accertare la sussistenza o meno del detto requisito.

In entrambi i casi si tratta di interrogativi in linea con il contenuto dei motivi, che rendono ammissibile il ricorso.

Tuttavia, pur essendo ammissibile, lo stesso è infondato.

Al riguardo va invero considerato che i due motivi di impugnazione devono essere esaminati congiuntamente perchè connessi, essendo entrambi finalizzati a rimuovere le affermazioni secondo cui: a) il debito della Q & S. sarebbe stato inferiore a Euro 30.000,00 importo normativamente stabilito quale soglia oggettiva di fallibilità dell’imprenditore; b) l’onere della relativa dimostrazione non sarebbe individuabile in capo al debitore fallendo; c) vi sarebbe stato obbligo da parte del tribunale di espletare ex officio attività istruttoria, al fine di verificare il superamento o meno del limite di fallibilità di Euro 30.000,00.

Le censure, pur risultando astrattamente pertinenti, non risultano peraltro in linea con la “ratio” della decisione adottata.

La Corte di Appello ha infatti rilevato “che nella specie gli unici debiti scaduti e non pagati che sono emersi dall’istruttoria prefallimentari erano quelli di cui all’unico ricorso fallimentare della Fog s.r.l., ammontanti all’importo globale di Euro 17.954,00”.

Sulla base dunque dei dati emersi prima di accedere alla dichiarazione di fallimento l’esposizione debitoria della Q & S risultava contenuta nei limiti indicati e tale circostanza, per effetto del disposto di cui alla L. Fall., art. 15, u.c., avrebbe comunque precluso la possibilità di pervenire ad una dichiarazione di fallimento.

Il dato dunque, relativo alla ripartizione dell’onere della prova circa la quantificazione dell’esposizione debitoria del fallendo ai fini di verificarne la fallibilità, risulta nel concreto superato dall’accertamento compiuto dal giudice del merito, secondo cui il solo debito riscontrato era quello prospettato con il ricorso, dell’importo di Euro 17.954,00.

Nè, d’altra parte, la Corte territoriale ha addebitato al giudice di primo grado di aver omesso indagini utili ad accertare il superamento o meno del tetto di Euro 30.000,00 stabilito ai sensi di legge, essendosi limitata a precisare al riguardo, unitamente al dato della rilevazione del mancato espletamento di attività istruttoria, che non erano state riscontrate “emergenze processuali tali da far ritenere integrata la condizione citata”, rilievo che assorbe ogni eventuale ulteriore considerazione.

Infine, come ultima notazione, non sembra inutile evidenziare come non solo la Corte di Appello non abbia individuato un obbligo di espletamento di attività istruttoria a carico del giudice delegato per l’istruttoria prefallimentare, ma l’esistenza di un tale obbligo è da escludere anche alla luce del richiamato dalla L. Fall., art. 15, u.c., che si limita a consentire al giudicante di affermare il mancato superamento del limite minimo di esposizione debitoria idoneo a legittimare la declaratoria di fallimento anche al di fuori di esplicite indicazioni delle parti, sempre però che il dato sia rilevabile dagli atti ritualmente acquisiti nel corso dell’espletata istruttoria.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio, liquidate in Euro 1.400,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

 

 

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