Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17115 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. I, 16/06/2021, (ud. 23/04/2021, dep. 16/06/2021), n.17115

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11172/2019 proposto da:

B.W., rappresentato e difeso dall’avv. ROBERTO RICCIARDI, e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

01/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/04/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con il decreto impugnato il Tribunale di Bologna rigettava il ricorso proposto da B.W. avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che aveva respinto l’istanza di protezione, internazionale ed umanitaria, dallo stesso avanzata.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione B.W., affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta il vizio della motivazione, l’omesso esame di fatti decisivi e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ed del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, perchè il Tribunale non avrebbe considerato in modo adeguato e completo la storia personale riferita dal richiedente.

La censura è inammissibile.

Il Tribunale ha ritenuto la storia non credibile, evidenziandone da un lato la genericità, e dall’altro lato una serie di contraddizioni, sull’età del richiedente, sul proprio credo religioso (inizialmente il richiedente si era dichiarato musulmano, e successivamente aveva invece affermato di essere cristiano), sulla mancata conoscenza dei riti e sacramenti cristiani: circostanza, quest’ultima, ritenuta dal giudice di merito particolarmente rivelatoria della non credibilità del raccolto, posto che il richiedente aveva dichiarato di aver seguito il cristianesimo sin da bambino, poichè si trattava della religione materna (cfr. pag. 3 del decreto impugnato). La censura in esame non attinge in modo specifico nessuna di dette contraddizioni, e si risolve pertanto in una mera istanza di revisione del giudizio di fatto svolto dal giudice di merito, estranea alla finalità ed alla natura del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., art. 3 della Direttiva 2011/95/UE e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, perchè il giudice di merito avrebbe erroneamente denegato la sussistenza dei requisiti per la concessione della protezione umanitaria, senza considerare il grave rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali esistente in Burkina Faso, Paese di origine del richiedente, nè apprezzare l’integrazione socio-lavorativa conseguita dallo stesso in Italia.

La censura è inammissibile.

Il decreto impugnato svolge il giudizio comparativo tra le condizioni di vita del richiedente, rispettivamente in Italia e nel suo Paese di origine, ed all’esito esclude la sussistenza di alcuna condizione di vulnerabilità, affermando che “… in mancanza di specifici indicatori di necessità di protezione, da un punto di vista soggettivo o oggettivo, non ravvisabili nella fattispecie in esame,… la circostanza che il ricorrente stia svolgendo attività lavorativa – pur certamente meritevole – non può, da sola, rappresentare fattore ostativo al rimpatrio” (cfr. pag. 6 del decreto). Tale passaggio della motivazione non viene specificamente attinto dalla censura in esame, poichè il ricorrente non indica nessun elemento concreto che il giudice di merito non avrebbe considerato, o avrebbe scorrettamente apprezzato, nell’ambito del giudizio comparativo di cui anzidetto. Anche questa doglianza, quindi, si risolve nella semplice richiesta di un riesame del giudizio di fatto, non consentita in sede di legittimità.

Con il terzo motivo, infine, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale avrebbe apprezzato in modo erroneo il contesto africano, finendo per adottare una linea interpretativa, ed una motivazione, sostanzialmente discriminatoria ai danni dei soggetti più deboli.

La censura è inammissibile, innanzitutto perchè – come le precedenti – essa invoca un riesame del merito della controversia, ed in secondo luogo perchè essa, in ragione della estrema genericità degli argomenti spesi dal ricorrente, che peraltro neppure si confrontano con la motivazione del provvedimento impugnato, si risolve in un “non-motivo”. In proposito, va ribadito che “Il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4″ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17330 del 31/08/2015, Rv. 636872; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 22478 del 24/09/2018, Rv. 650919).

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

 

 

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