Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17114 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. I, 16/06/2021, (ud. 23/04/2021, dep. 16/06/2021), n.17114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10367/2019 proposto da:

N.M., rappresentata e difesa dall’avv. STEFANIA SANTILLI

e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il

21/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/04/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con il decreto impugnato il Tribunale di Brescia rigettava il ricorso proposto da N.M. avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che aveva respinto l’istanza di protezione, internazionale ed umanitaria, dallo stesso avanzata.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione N.M., affidandosi a due motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ed del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto non credibile il suo racconto personale, che era caratterizzato, secondo il ricorrente, da coerenza interna ed esterna.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente aveva riferito di essere fuggito dal Senegal, suo Paese di origine, perchè ingiustamente accusato di essere complice di un furto di pannelli solari, verificatosi ai danni di una struttura della quale egli era custode. Dalla lettura del decreto impugnato emerge che il Tribunale ha ritenuto la storia, oltre che non credibile, anche non idonea ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, e questa seconda ratio non è in alcun modo attinta dalla censura in esame. Sul punto, va ribadito il principio secondo cui quando la decisione di merito si fonda su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi, ovvero la mancata contestazione di essa, rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882; Cass. Sez. U., Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158).

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 ed del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il giudice di merito avrebbe erroneamente escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), senza svolgere alcun approfondimento sulle condizioni del sistema giudiziario e carcerario del Senegal. Ed inoltre, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente escluso la sussistenza, in Senegal, di un contesto di violenza generalizzata idoneo a consentire il riconoscimento della protezione sussidiaria ex lett. c) del già richiamato art. 14.

La censura, nelle due distinte articolazioni, è inammissibile.

La valutazione di non credibilità e non idoneità del racconto personale, espressa dal giudice di merito, implica il rigetto tanto dell’istanza di riconoscimento dello status di rifugiati, quanto di quella di concessione della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b). Quanto invece alla protezione sussidiaria prevista dalla lett. c) di detta disposizione, va considerato che il Tribunale – come lo stesso ricorrente riconosce: cfr. pag. 17 del ricorso – ha indicato le C.O.I. consultate per l’apprezzamento del contesto interno esistente in Senegal, dando atto delle specifiche informazioni da esse tratte (pag. 2 del decreto). Sul punto, occorre ribadire che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,4,7,14,16 e 17, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10 e 32, artt. 10 e 111 Cost., artt. 112,132 e 156 c.p.c., nonchè l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente escluso il riconoscimento della protezione umanitaria, senza valutare nè il requisito oggettivo, rappresentato dalla situazione esistente nel Paese di origine del richiedente, nè quello soggettivo, rappresentato dal percorso di integrazione scolastica e lavorativa conseguito in Italia.

La censura è inammissibile.

Il giudice di merito ha svolto la valutazione comparativa tra le condizioni di vita del ricorrente, rispettivamente in Italia ed in patria, affermando che l’Nel paese di origine il medesimo aveva un lavoro ed ivi si trovano ancora i propri famigliari. Al contrario, in Italia il ricorrente non ha alcuna struttura di supporto al di là del centro di accoglienza” (cfr. ultima pagina del decreto impugnato). Tale passaggio della motivazione non è adeguatamente attinto dal ricorso, nel quale il ricorrente non indica alcun elemento che il Tribunale avrebbe omesso di considerare, o avrebbe considerato in modo non adeguato o non completo.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

 

 

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