Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17114 del 09/08/2011

Cassazione civile sez. VI, 09/08/2011, (ud. 10/06/2011, dep. 09/08/2011), n.17114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 16160/2010 proposto da:

G.S. (OMISSIS), P.M.T.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA AURELIA 424, presso lo studio

dell’avvocato CIAFFI Vincenzo, che li rappresenta e difende giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

D.S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

GIUSEPPE MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato PACIFICO

MASSIMILIANO, rappresentato e difeso dall’avvocato BASTIANELLI Paola

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

D.S.C., D.R.A.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 4841/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

13/10/09, depositata il 09/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’avvocato Bastianelli Paola, difensore del controricorrente

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

è presente il P.G. in persona del Dott. UMBERTO APICE che condivide

la relazione.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che avverso la decisione indicata in epigrafe G.S. e P.M.T. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Ha resistito D.S.F..

Nominato, ai sensi dell’art. 377 cod. proc. civ., il Consigliere relatore ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., ritenendo che il ricorso fosse da rigettare per manifesta infondatezza.

Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni conformi a quelle di cui alla relazione.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

Nella relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., si legge quanto segue:

“1. D.S.F., D.S.M.C. e D.R. A. convenivano in giudizio dinanzi al tribunale di Tivoli G.S. e P.M.T. per sentire dichiarare la cessazione delle molestie arrecate dai convenuti e consistite nell’avere apposto su un parapetto della loro abitazione dei vasi che impedivano la completa apertura da parte degli attori di una finestra che consentiva l’affaccio.

I convenuti resistevano, deducendo che la collocazione dei vasi era avvenuta ancor prima dell’ampliamento della veduta e di quando era stata munita di persiana; in via riconvenzionale, chiedevano la rimozione della finestra ovvero l’ordine di limitare l’apertura a 90^.

Il tribunale rigettava le domande con sentenza che era parzialmente riformata in sede di gravame, nel senso che era accolta la domanda proposta dagli attori sul rilievo che – accertato dal Giudice di primo grado che gli istanti avevano ampliato la finestra per un periodo sufficiente al maturare dell’usucapione – i medesimi avevano altresì provato di avere esercitato la veduta per tutta l’ampiezza possibile assicurata dall’attuale collocazione.

Hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi G. S. e P.M.T.. Hanno resistito gli intimati.

2. Il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio ai sensi degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., essendo manifestamente infondato.

Il primo motivo lamenta che la sentenza non aveva applicato i principi in materia di onere della prova, laddove gli attori avrebbero dovuto dimostrare di avere usucapito il diritto di servitù di apertura dell’anta a 180^, che era il fatto costitutivo della domanda: le deposizioni testimoniali escusse non avevano fornito tale prova ma la Corte, privilegiando due delle deposizioni escusse risultate contraddittorie, era incorsa nel travisamento della prova ed era incorsa nella violazione dei principi in materia di prova presuntiva.

Il secondo motivo censura la sentenza circa i criteri adottati per stabilire l’attendibilità o meno dei testi escussi, mentre il riferimento alla collocazione della persiana aveva avuto a oggetto una mera ipotesi priva di logicità e non poteva dunque essere utilizzato per confermare le due deposizioni considerate dai Giudici e smentite da altre cinque; l’incertezza del fatto avrebbe dovuto portare al rigetto della domanda.

I motivi – che, essendo strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente – vanno disattesi.

Innanzitutto, la denunciata violazione dei principi in materia di ripartizione dell’onere della prova è insussistente, avendo la sentenza ritenuto che gli attori avevano dimostrato di avere acquisito per usucapione il diritto di aprire la finestra per tutta la sua potenziale ampiezza sin dal momento della sua installazione – quest’ultima avvenuta trent’anni prima: a tale convincimento, peraltro, sono pervenuti in considerazione della stessa collocazione della persiana sul rilievo che ove fossero stati presenti i vasi e quindi impossibile l’apertura maggiore di quella esistente, la finestra non sarebbe stata ivi collocata o comunque si sarebbero verificati contrasti fra le parti; d’altra parte, secondo quanto riferito dal teste M.F. sarebbe bastato togliere un vaso per aprire completamente la finestra sicchè, in considerazione dei rapporti di buon vicinato in passato evidentemente intercorsi, la finestra era stata aperta per tutta al sua estensione.

Orbene i motivi, pur denunciando violazione di legge e vizi di motivazione, sollecitano da parte della Corte un inammissibile riesame del merito, invocando una diversa valutazione del materiale probatorio acquisito. Ed invero, le critiche formulate dai ricorrenti non sono idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell’iter logico giuridico seguito dalla sentenza: le censure lamentate, in realtà, non denunciano un vizio logico della motivazione ma si concretano in argomentazioni volte a dimostrare – attraverso la disamina e la discussione delle prove raccolte – l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai giudici laddove, in contrasto con quanto emerso dalle prove, era stata ritenuta l’esistenza di un possesso utile ad usucapionem dell’apertura a 180 della finestra. Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi del citato art. 360, n. 5, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto). In caso contrario, infatti, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. 67394/2010).

Va ancora ricordato che sono riservate al giudice del merito la interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento: è insindacabile in sede di legittimità il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. 1554/2004)”.

Vanno condivise le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione, che il Collegio condivide. Qui occorre soltanto sottolinearsi che la sentenza, nel dare rilevanza decisiva alla collocazione della finestra, ha verificato, con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, che gli appellanti avevano modificato la finestra, con la collocazione della persiana che si apre a 180^, almeno trenta anni prima dell’inizio del presente giudizio: alla stregua di tale accertamento non era onere degli attori dimostrare l’effettivo utilizzo della persiana, posto che – costituendo la persiana un mezzo attraverso il quale si esercita la veduta – la realizzazione di opere effettuate dal proprietario in modo da creare un illegittimo peso sul fondo del vicino determina di per sè il presupposto per il sorgere di una servitù a carico del medesimo, essendo evidentemente onere dei convenuti fornire la prova degli atti internarti vi dell’altrui possesso.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore del resistente costituito delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2011

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