Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17112 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. I, 21/07/2010, (ud. 20/05/2010, dep. 21/07/2010), n.17112

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4906/2005 proposto da:

G.L. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA RE DI ROMA 21, presso l’avvocato FIUMARA

ANGELO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDRENELLI Adriano,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CAPITALIA SERVICE J.V. S.R.L. (C.F. (OMISSIS)), nella qualità di

mandataria di CAPITALIA S.P.A. (già BANCA DI ROMA S.P.A.) dalla

fusione per incorporazione del Banco di Roma spa nel Banco di Santo

Spirito Spa – quest’ultimo già conferitario della Cassa di Risparmio

di Roma, quest’ultima a sua volta mandataria di TREVI FINANCE 3

S.P.A., in persona dei legali rappresentanti pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 19, presso

l’avvocato VIOLO Giuseppe, che la rappresenta e difende, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 147/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/01/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

20/05/2010 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato A. FIUMARA, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 26 gennaio 2001 la sig.ra D.D., quale procuratrice generale di G.L., ha impugnato innanzi alla Corte d’appello di Roma la sentenza del Tribunale di Roma n. 26945 del 15.12.99 che ha rigettato l’opposizione proposta dal G. avverso il decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto nei suoi confronti dalla Banca di Roma, nell’importo di L. 134.671.573, pari al saldo debitore maturato su c/c bancario a lui intestato. Ha dedotto nei motivi d’appello la nullità dell’ingiunzione per violazione della L. n. 106 del 1996, e l’inesigibilità del credito oggetto dell’avversa pretesa.

La Corte territoriale con sentenza depositata il 13 gennaio 2004 ha respinto l’appello.

Avverso questa decisione D.D. nella riferita qualità ha proposto ricorso per cassazione in base a cinque motivi f resistiti con controricorso da Capitalia Service J.V. quale mandataria di Capitalia S.p.a. incorporante del Banco di Roma s.p.a..

La ricorrenteha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 101 e 112 c.p.c., deduce erroneità dell’impugnata decisione per aver escluso la rilevabilità d’ufficio ed in qualsiasi stato e grado del processo della nullità della clausola relativa al tasso degli interessi, applicato in misura superiore a quello legale.

Col secondo motivo denuncia violazione della L. n. 108 del 1996, e si duole della ritenuta irretroattività della norma in questione, che pone limiti al tasso degli interessi applicabili ai contratti di finanziamento.

Col terzo motivo denuncia violazione dell’art. 1283 c.c., ed omessa pronuncia sulla legittimità dell’anatocismo, rappresentata nel primo motivo d’appello.

Col quarto motivo deduce violazione dell’art. 1175 c.c., per aver la Corte territoriale escluso che la banca avesse violato il dovere di correttezza e buona fede, in quanto il credito azionato in monitorio era inesigibile, sia perchè non vi era stata preventiva richiesta di rientro nel termine di legge di 15 gg., sia perchè l’esposizione debitoria del G. era contenuta entro il limite del fido concessogli.

Col quinto motivo si duole del governo delle spese processuali.

La controricorrente deduce in linea preliminare ed in duplice profilo l’inammissibilità del ricorso, e nel merito la sua infondatezza.

La preliminare eccezione fondata su asserita tardività del ricorso è priva di fondamento.

Lo scrutinio a tal riguardo va condotto con riferimento alla data del 25 febbraio 2005, in cui il ricorso risulta consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica, che deve intendersi perfezionata per il notificante al momento anzidetto e non certo a quella in cui essa venne eseguita. L’eventuale tardività del perfezionamento della notifica, non potendo essere addebitata a responsabilità del notificante – da ultimo Cass., S.U. n. 7607/2010 sul solco della sentenza n. 477 del 2002 della Corte Costituzionale, non rileva ai fini del rispetto del termine d’impugnazione che, alla data sopra indicata, non si era consumato in quanto, tenendo conto della data del 13 gennaio 2004 di deposito della sentenza impugnata, a mente dell’art. 327 c.p.c., avrebbe avuto scadenza il successivo 28 febbraio.

Ancora in linea preliminare, è privo di rilievo il riferimento da parte della controricorrente ad asserita transazione intervenuta con controparte. La sua rilevanza, ai fini della dichiarazione di cessazione della materia del contendere, postula l’univoco superamento di ogni possibile motivo di contrasto, espressamente dichiarato con manifestazione della volontà del ricorrente di non voler proseguire il processo – cfr. Cass. n. 6697/2005. In alternativa il menzionato accordo si sarebbe dovuto tradurre in atto di rinuncia al ricorso. Nessuna di queste ipotesi ricorre nel caso di specie. La ricorrente peraltro nega l’intervenuta transazione, e rileva di aver solo saldato il dovuto al limitato fine di evitare la procedura esecutiva.

Il primo ed il secondo motivo, logicamente connessi sull’assunto dell’applicabilità della normativa sopravvenuta in materia di tassi d’interesse sui mutui, e perciò meritevoli d’esame congiunto, sono infondati. La ricorrente muove la sua critica sul presupposto che le norme in materia di usura contenute nella L. n. 108 del 1996, e quindi quelle del D.L. n. 394 del 2000 convertito in L. n. 24 del 2001, d’interpretazione autentica della precedente si applicherebbero nel caso di specie, perchè a quella data il rapporto controverso era ancora in corso, essendosi esaurito solo nel 1998, alla data della richiesta dell’ingiunzione opposta. Riferisce che la misura del saggio degli interessi è stata:

del 20% dal marzo 1996 al marzo 1997;

del 17% nel. secondo e terzo trimestre e del 19% del quarto trimestre del marzo 1997;

dell’11,750% nel primo trimestre 1998.

La soglia legale, ben inferiore, precisamente indicata, è stata perciò palesemente superata.

Tale tesi difensiva non è corretta. Contrasta, e senza coltivare alcun convincente argomento di smentita, esegesi ormai consolidata secondo cui le norme che prevedono la nullità dei patti che fissano gli interessi con rinvio agli usi ovvero in misura tale da superare la soglia antiusura prevista dalle norme introdotte con L. n. 154 del 1992 e con L. n. 108 del 1996 non retroagiscono sui contratti già conclusi alla data della loro entrata in vigore. Le clausole di questi contratti non sono pertanto colpite da invalidità per violazione di norme imperative, come tale riievabile d’ufficio ed in ogni stato e grado, ma possono al più essere dichiarate inefficaci ex nunc, e su espressa eccezione della parte interessata.

Tali considerazioni palesano l’assenza di pregio delle censure, ancor più incontestabile alla luce del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito in L. n. 24 del 2001 secondo cui ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c., comma 2 si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla, legge nel momento in cui essi “sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

La disposizione, che ha superato il vaglio di costituzionalità – Corte Cost. n. 4380/2003, – ha dunque fissato la valutazione della natura usuraria degli interessi, in relazione a tutti i rapporti di finanziamento e non solo per i mutui, al momento della convenzione e non a quello della dazione, consolidando per l’effetto lo scrutinio sulla validità della clausola che ne prevede il tasso alla data in cui essa è stata pattuita. Cristallizzandosi l’operatività della norma in questo preciso contesto temporale, la sanzione prevista non può essere applicata ai rapporti ancora in corso, tanto meno nei casi in cui penda controversia sulla misura degli interessi, in cui neppure è ipotizzabile un rapporto ancora in atto, ma sono solo rimaste in capo alle parti o ad una di esse ragioni di credito. In tali ipotesi deve trovare applicazione l’ordinaria disciplina sulla successione delle leggi nel tempo.

L’orientamento di questa Corte, superata una prima interpretazione favorevole alla tesi della ricorrente – Cass. n. 5286/2000, è ormai unanime in tal senso – Cass. n. 4380/2003, n. 15497/2005, n. 2140/2006, n. 15621/2007, n. 27009/2008.

La statuizione impugnata si colloca in tale solco. Ha infatti dichiarato inammissibile l’eccezione di nullità del tasso degli interessi, extralegali ed anatocistici, applicati al debito maturato sul conto corrente, perchè sollevata per la prima volta in sede di gravame, e peraltro riferita a rapporto sorto in data anteriore all’entrata in vigore della L. n. 24 del 2001, d’interpretazione autentica della L. n. 108 del 1996, in materia d’usura. In quanto sorretta da motivazione sufficiente e logica, è perciò immune dal vizio denunciato.

Il terzo motivo è invece fondato.

“La nullità della clausola anatocistica che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi passivi, inserita nel contratto di conto corrente bancario da cui deriva il credito azionato in giudizio, è rilevabile d’ufficio dal giudice anche in grado d’appello, rimanendo irrilevante, a tal fine, l’assenza di una deduzione o di una tempestiva deduzione del profilo d’invalidità ad opera dell’interessato, la quale rappresenta una mera difesa, inidonea a condizionare, in senso positivo o negativo, l’esercizio del potere di rilievo officioso della nullità del contratto (art. 1421 cod. civ.)”.

Il principio esprime consolidato orientamento di questa Corte (sul solco delle Sezioni Unite n. 21095/2004, Cass. nn. 19882/2005, 21080/2005, 4853/2007, 21141/2007), che si condivide ed al quale s’intende dare continuità. La conclusione è che l’art. 1283 cod. civ., il quale, in mancanza di usi contrari, fissa il divieto di interessi sugli interessi scaduti, salvo che per il periodo posteriore alla domanda giudiziale od in forza di accordo successivo alla scadenza (sempre che dovuti da almeno sei mesi), si riferisce agli usi normativi in senso stretto. Sono negoziali le clausole del contratto bancario in discussione, ancorchè esso sia anteriore alla citata giurisprudenza, e perciò sono affette da nullità per contrasto con norma imperativa, non ostandovi il disposto del D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, art. 25, comma 3, modificativo del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 120) che conserva in via transitoria la validità e l’efficacia dei patti anteriori fino alla deliberazione del CICR, dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza 17 ottobre 2000 n. 425.

La nullità, in quanto rilevabile d’ufficio, poteva essere dedotta dall’odierna ricorrente anche nel giudizio di gravame essendo in contestazione il titolo posto dalla banca a sostegno della richiesta degli interessi de quibus. La Corte d’appello, a fronte della contestazione del G., avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la nullità del patto di anatocismo, traendone le debite conseguenze sulla quantificazione del complessivo credito della Banca.

Il quarto motivo è inammissibile.

La Corte territoriale ha ritenuto il comportamento della banca improntato a correttezza avendo rilevato che ben prima dell’ingiunzione aveva diffidato il ricorrente al rientro dall’esposizione debitoria, come da comprovata richiesta con raccomandata 21.7.97.

La decisione non è contestata con censure specifiche ed esaminabili in questa sede, nè muove alcuna effettiva critica avverso questa ratio decidendi. Esprime in sostanza un mero argomento difensivo, che non mira a sollecitarne lo scrutinio di legittimità in alcuno degli aspetti consentiti.

Il quinto motivo, che riguarda il governo delle spese del giudizio di merito, resta assorbito.

Tutto ciò premesso, con accoglimento del terzo motivo del ricorso e la reiezione delle altre censure, si deve cassare la sentenza impugnata e disporre la prosecuzione della causa in sede di rinvio, per il riesame sull’entità del credito della Banca che tenga conto della nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi.

Il giudice di rinvio, che si designa in altra Sezione della medesima Corte d’appello, provvederà anche in ordine alla pronuncia sulle spese di questa fase processuale.

PQM

La Corte:

accoglie il terzo motivo del ricorso, rigetta il primo, il secondo ed il quarto e dichiara assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 20 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

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