Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17111 del 13/08/2020
Cassazione civile sez. II, 13/08/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 13/08/2020), n.17111
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19681-2019 proposto da:
T.A., rappresentato e P.A. ed elettivamente
domiciliato a Roma, via Giuseppe Ferrari 2, presso lo studio
dell’Avvocato MARCO PALANDRI, per procura speciale del 14/6/2019 in
calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi 12, domicilia per legge;
– resistente –
nonchè contro
PUBBLICO MINISTERO PRESSO IL TRIBUNALE DI VENEZIA;
– intimato –
avverso il DECRETO n. 4245/2019 del TRIBUNALE DI VENEZIA, depositato
il 16/5/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 4/2/2020 dal Consigliere Dr. GIUSEPPE DONGIACOMO.
Fatto
FATTI DI CAUSA
T.A., nato in Pakistan il 16/6/1967, ha impugnato il provvedimento con il quale la commissione territoriale ha respinto la sua domanda di protezione internazionale.
Il tribunale di Venezia, con decreto del 16/5/2019, ha rigettato il ricorso.
T.A., con ricorso notificato il 15/6/2019, ha chiesto, per due motivi, la cassazione del decreto.
Il ministero dell’interno ha depositato atto di costituzione in giudizio.
Il pubblico ministero presso il tribunale di Venezia è rimasto intimato.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione per l’erronea applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e la violazione per la mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 ed in subordine del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6,, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal richiedente fossero, su numerose circostanze, non plausibile e non coerenti.
1.2. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, il tribunale non ha considerato che, in realtà, il racconto del ricorrente non presenta, ai fini previsti dall’art. 3, comma 5, lett. c), alcuna contraddizione ed alcuna incoerenza, apparendo, piuttosto, per i profili indicati, coerente e verosimile e, quindi, attendibile.
1.3. Il decreto del tribunale, quindi, ha concluso il ricorrente, è viziato per non aver applicato il D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8, lì dove prevedono il diritto al riconoscimento dello status di rifugiato in capo a coloro che, come il ricorrente, subiscano o possano subire atti di persecuzione che rappresentino una violazione grave dei diritti umani fondamentali in ragione del loro orientamento sessuale, ed, in subordine, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6,, per aver rigettato, per gli stessi motivi, la domanda di protezione umanitaria.
2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione sotto il profilo dell’omessa applicazione dell’art. 24 Cost. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, al fine di valutare la dedotta omosessualità, ha omesso di prendere in considerazione la sua ammissione all’Associazione Lesbo Gay “(OMISSIS)” di (OMISSIS), così come ha omesso di prendere in considerazione il fatto che, a conferma indiretta della sua omosessualità, il richiedente è celibe, a differenza della gran parte dei suoi connazionali che, alla sua stessa età, sono sposati e con figli.
2.2. Il tribunale, infatti, ha osservato il ricorrente, ha ritenuto che le sue dichiarazioni non sono sufficienti a provare la sua omosessualità per cui era utile e rilevante ammettere la prova sulle ragioni della sua ammissione all’associazione gay.
2.3. Risultano, quindi, violate le norme previste dall’art. 24 Cost. e art. 115 c.p.c. che, rispettivamente, sanciscono il diritto alla tutela giurisdizionale ed alla prova.
3. Il primo motivo è infondato con assorbimento del secondo. In tema di protezione internazionale, infatti, l’accertamento del giudice del merito deve avere, anzitutto, ad oggetto la credibilità soggettiva del richiedente, che ha l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ex D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (cfr. Cass. n. 27503 del 2018). Nel caso di specie, il giudice di merito, condividendo le perplessità della commissione sulla credibilità dei fatti che lo stesso ha narrato e alle ragioni che l’avrebbero indotto a lasciare il suo Paese, ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal richiedente in ordine al proprio orientamento sessuale fossero vaghe e contraddittorie e che il suo racconto era risultato, pertanto, inattendibile. Ed è noto che la valutazione d’inattendibilità costituisca un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se non per l’omesso esame di fatti decisivi, nella specie neppure dedotti con la necessaria specificità, risolvendosi la censura nella mera ed inammissibile richiesta di un diverso apprezzamento delle circostanze fattuali già valutate dal tribunale.
4. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.
5. Nulla per le spese di lite, non avendo il ministero resistente svolto alcuna attività difensiva.
6. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte così provvede: rigetta il ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 4 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2020