Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1711 del 23/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/01/2019, (ud. 10/10/2018, dep. 23/01/2019), n.1711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16870-2017 proposto da:

G.F., S.I., LA RISALVI SRL, R.I. S. DI

S.I. E G.F. SNC, in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

CAVOUR 58, presso lo studio dell’avvocato NADIA PATRIZI, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO FEDERICO DE

MARCO;

– ricorrenti –

contro

E.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TIBULLO 10,

presso lo studio dell’avvocato DONATELLA BOTTONI, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5194/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/10/2018 dal Consigliere Dott. SPENA FRANCESCA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza del 3 novembre – 24 dicembre 2016 numero 5194 la Corte d’Appello di Roma riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Frosinone, che aveva accolto parzialmente la domanda proposta da E.L. nei confronti delle società LA RISALVI srl e R.I. S. snc – nonchè di S.I. e G.F. in proprio – per il pagamento di differenze di retribuzione maturate in relazione al rapporto di lavoro subordinato intercorso con le due società, senza soluzione di continuità, dal 6.2.1995 al 20.12.2004; per l’effetto condannava le originarie parti convenute al pagamento anche dei crediti che il giudice del primo grado aveva ritenuto prescritti;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che i conteggi della lavoratrice erano stati formulati sulla base del livello contrattuale riconosciuto dagli originari resistenti (5^ livello CCNL COMMERCIO) e che la questione verteva sull’orario di lavoro. Dalla prova testimoniale espletata nel giudizio di primo grado risultava che la lavoratrice rispettava il normale orario di apertura dei negozi sia nella mattina che nel pomeriggio: i testi D.C. e D.G. apparivano maggiormente attendibili per avere conoscenza diretta dei fatti di causa e perchè, secondo un criterio di normalità, l’orario spezzato dedotto dai resistenti (due ore al mattino e due al pomeriggio, intervallate da cinque ore) appariva quanto meno inusuale. La prova testimoniale aveva confermato che la ricorrente svolgeva molteplici mansioni (sistemazione della merce negli scaffali, pulizie, talvolta servizio ai clienti), come tali idonee ad impegnarla durante l’intero arco di apertura del negozio.

In punto di prescrizione, l’eccezione opposta dalle parti convenute aveva per presupposto la interruzione del rapporto di lavoro nel novembre del 1997; ritenuta dal giudice la continuità dell’intero rapporto ed essendosi formato il giudicato interno sul punto – perchè non impugnato – l’eccezione doveva essere disattesa.

che avverso la sentenza hanno proposto ricorso le società LA RISALVI srl e R.I. S. snc nonchè S.I. e G.F. in proprio, articolato in tre motivi, cui ha opposto difese E.L. con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai seni dell’art. 380 bis c.p.c.;

che le parti ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che le parti ricorrenti hanno dedotto:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa, erronea insufficiente e contraddittoria disamina circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 2099 e 2107 c.c.. Con il motivo si contesta la valutazione delle prove effettuata dal giudice dell’appello in punto di orario di lavoro ed, in particolare, la maggiore affidabilità attribuita ai testi introdotti dalla lavoratrice. Si assume la erroneità dei criteri di giudizio esposti, in quanto il criterio di normalità della articolazione dell’orario giornaliero non teneva conto delle mansioni di mera pulizia svolte dalla E. ed il criterio della conoscenza diretta era riferibile anche agli altri testi; si evidenziano le ragioni di inattendibilità dei testi della lavoratrice;

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa, erronea, insufficiente e contraddittoria disamina circa un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di controversia tra le parti, consistente nella circostanza che le mansioni svolte dalla E. fossero unicamente quelle di pulizia. Si contesta la valutazione degli elementi di prova effettuata in sentenza;

– con il terzo motivo, proposto in via subordinata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.c., in ordine alla eccepita prescrizione dei crediti di lavoro. Le parti ricorrenti hanno assunto che la Corte territoriale nell’affermare la assenza di interruzione del rapporto di lavoro, non aveva tenuto conto della documentazione contabile prodotta e che la accertata cesura temporale determinava la prescrizione dei crediti relativi al primo periodo di lavoro (6/2/1995 – 27/11/1997);

che, in via preliminare, deve darsi atto che le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza del 24 settembre 2018 nr. 22438, hanno superato l’orientamento in precedenza espresso da questa sezione sesta nell’arresto del 22 dicembre 2017 nr. 30918, nel quale si era ritenuta la improcedibilità del ricorso nativo digitale ove la copia analogica depositata presso questa Corte non fosse attestata conforme all’originale telematico dal difensore, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter.

Nella richiamata pronunzia le Sezioni Unite hanno affermato che i principi immanenti al giusto processo comportano, per quanto rileva con riferimento alla fattispecie di causa, la applicazione del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23, comma 2, sicchè il ricorso è procedibile ove il controricorrente non disconosca la conformità della copia analogica del ricorso che è stata depositata dalla parte ricorrente all’originale telematico che gli è stato notificato;

Nella fattispecie di causa la controricorrente non ha sollevato alcuna questione circa la conformità del ricorso depositato a quello originale notificatogli sicchè deve essere disattesa la proposta di improcedibilità formulata in via principale dal relatore;

che, venendo all’esame delle censure, ritiene il collegio si debba dichiarare la inammissibilità del ricorso;

che, invero:

– quanto al primo ed al secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto si prestano a valutazioni analoghe, la inammissibilità consegue al rilievo della inerenza delle ragioni di impugnazione alla valutazione dei mezzi istruttori compiuta nella sentenza impugnata ai fini della ricostruzione del fatto storico (rispettivamente, quanto al primo motivo, in merito all’orario di lavoro, quanto al secondo motivo, in ordine alle mansioni svolte dalla lavoratrice). Trattasi del tipico accertamento di merito, censurabile in questa sede di legittimità esclusivamente con la deduzione di un vizio di motivazione (e non con la allegazione di un errore di diritto, che viene in rilievo in relazione al momento successivo di giudizio consistente nella individuazione ed interpretazione della norma applicabile al fatto). La parte ricorrente non ha specificamente allegato alcun fatto storico, risultante dagli atti, oggetto di discussione ed avente rilievo decisivo, non esaminato dal giudice dell’appello ma ha contestato il giudizio da questi espresso in ordine alla attendibilità dei testi, in tal modo chiedendo a questa Corte un non consentito riesame del merito;

– quanto al terzo motivo, la inammissibilità della censura consegue al rilievo che essa non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. Il giudice dell’appello ha affermato essersi formato il giudicato interno sul punto della continuità del rapporto di lavoro, con conseguente rigetto della eccezione di prescrizione, che presupponeva la sua interruzione nel novembre 1997. A tale statuizione le parti ricorrenti oppongono la affermazione della cesura temporale del rapporto di lavoro, secondo quanto emergente dai mezzi di prova, sicchè resta non censurata la affermazione della definitività del contrario accertamento compiuto dal giudice del primo grado per la formazione del giudicato interno;

che, per quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., in conformità alla proposta sul punto espressa dal relatore;

che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

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