Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17105 del 26/06/2019

Cassazione civile sez. I, 26/06/2019, (ud. 20/03/2019, dep. 26/06/2019), n.17105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRICOMI Laura – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16489/2015 proposto da:

P.S.C., in proprio, quale liquidatore e legale

rappresentante pro tempore della Società (OMISSIS) Spa in

liquidazione, elettivamente domiciliato in Roma, Via Oslavia 39-f,

presso lo studio dell’avvocato Cartoni Emanuele, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Pietrosanti Luca Maria

Pietrosanti, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.p.a. in Liquidazione, in persona dei curatori

fallimentari D.S.F. e S.W., elettivamente

domiciliata in Roma, Via A. Bertoloni 44/46, presso lo studio

dell’avvocato Ravidà Fabrizio, che lo rappresenta e difende, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

B.F., F.S., M.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3312/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/03/2019 dal consigliere Dott. Paola VELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Roma ha rigettato il reclamo L. Fall., ex art. 18 proposto da P.S.C., in proprio e quale legale rappresentante della (OMISSIS) S.p.a. in Liquidazione, avverso la sentenza dichiarativa di fallimento di detta società da parte del Tribunale di Latina, su istanza di B.F., F.S., M.L. e C.G. per crediti di lavoro (t.f.r., indennità sostitutiva di ferie, permessi, r.o.l.).

2. In particolare, la Corte territoriale ha confermato: i) il rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Latina, sia pure con integrazione della relativa motivazione; ii) la legittimazione attiva dei creditori istanti, anche per infondatezza dell’eccezione di compensazione; iii) la sussistenza dello stato di insolvenza della società, non escluso nemmeno dalla postergazione dei crediti da rimborso dei finanziamenti erogati dai soci.

3. Avverso detta sentenza P.S.C. e la (OMISSIS) S.p.a. in Liquidazione hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e corredato da memoria, con allegata documentazione (sentenza T.A.R. Lazio del 08/11/2018) inammissibile ai sensi dell’art. 372 c.p.c.; la sola curatela intimata ha resistito con controricorso, anch’esso corredato da memoria, però inammissibile perchè tardiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Nel primo motivo – rubricato “Violazione di legge in relazione alla L. Fall., art. 9 e art. 2727 c.c. e art. 2728 c.c. e segg.. Vizio di motivazione anche per omessa considerazione di fatti decisive e controversi. Violazione di norme sulla competenza” – si contesta l’affermazione della Corte territoriale per cui “in presenza di contraddittorietà e non univocità della prova, la presunzione di fittizietà del trasferimento di sede deve prevalere”, si deduce che “il convincimento presuntivamente formatosi, proprio alla luce dei plurimi elementi di segno opposto acquisiti al processo, è in contrasto anche con le norme regolanti le presunzioni semplici” e si lamenta che “la motivazione non tiene affatto in considerazione gli elementi decisivi e controversi trattati dalle parti, disquisendo in ordine alle circostanze emerse sul luogo di effettivo svolgimento delle attività direzionali e sul valore delle presunzioni legali”.

5. Con il secondo motivo – rubricato testualmente “Violazione di legge in relazione alla L. Fall., artt. 6 e 15; artt. 24 e 25 Cost.; art. 2697 c.c. e art. 474 c.p.c., nonchè all’art. 505 c.p.c. e art. 1241 c.c. e segg. ed ancora art. 2113 c.c. e art. 411 c.p.c.. Vizio di motivazione anche per omessa considerazione di fatti e prove decisivi e controversi” – si sostiene che la sentenza impugnata sarebbe “censurabile in quanto: i) manca il titolo esecutivo; ii) in ogni caso manca la prova certa della pretesa creditoria fatta valere; iii) in via subordinata vi è prova, quantomeno equiparabile a quella avversa in termini di certezza, dell’estinzione o comunque della copertura; iv) il rinvio della disputa alla sede giurisdizionale propria era nella fattispecie quanto mai opportuno”.

6. Con il terzo motivo – rubricato testualmente “Violazione di legge in relazione alla L. Fall., art. 5 ed all’art. 2467 c.c.anche in relazione all’art. 115 c.p.c. Violazione di legge in relazione all’art. 2426 c.c., art. 66 D.R.P. ed alla L. n. 917 del 1966. Difetto di motivazione anche per omessa considerazione di un fatto controverso e decisivo” – si contesta l’accertamento dello stato di insolvenza basato sulle seguenti affermazioni: “che “l’esito positivo del contenzioso appare improbabile”, così da doversi svalutare interamente un credito iscritto in bilancio, e pur non contestato nella sua esistenza negoziale; che “la mera postergazione… non fa venir meno l’obbligo di pagamento, pur in presenza di liquidazione e di crisi dell’impresa; che “i presupposti della postergazione ai sensi dell’art. 2467 c.c…. non sono provati”, pur in presenza di deduzione non contestata ed anzi confermata dalla documentazione in atti e dalla stessa procedura”.

7. Tutti i motivi presentano profili di inammissibilità e infondatezza.

8. In primo luogo, la congerie di argomentazioni svolte promiscuamente in ciascun motivo, mediante la denunzia contestuale di violazione di plurime norme di diritto processuale e sostanziale (talvolta nemmeno esattamente indicate) e di vizi motivazionali, viola apertamente i canoni di specificità e tassatività prescritti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), per il giudizio di cassazione, ponendosi altresì in contrasto con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Cass. 5339/2019, 11222/2018, 2954/2018, 27458/2017, 23265/2017, 16657/2017, 4934/2017, 3554/2017, 21016/2016, 19133/2016, 3248/2012, 19443/2011).

8.1. Inoltre, le censure motivazionali non rispettano l’attuale paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – come riformulato ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis – il quale contempla l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, onerando il ricorrente di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8503/2014; conf., ex plurimis, Cass. 29/10/2018 n. 27415). Al riguardo è stato precisato che l’omesso esame di prove non è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) laddove il relativo fatto storico sia stato comunque preso in considerazione (Cass. 5339/2019).

8.2. I motivi veicolano comunque censure attinenti al merito della causa, con particolare riguardo all’attività valutativa svolta dal giudice rispetto alle fonti probatorie, trascurando il consolidato orientamento di questa Corte per cui la contestazione di un cattivo esercizio, da parte del giudice di merito, del potere di apprezzamento delle prove (che non siano legali) non dà luogo a vizio denunciabile con il ricorso per cassazione – salvo che ridondi in nullità per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, ovvero dell’art. 115 c.p.c. -(cfr. Cass. 1229/2019, 23153/2018, 9356/2017, 11892/2016), sia perchè la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione (come detto censurabile solo nei limiti ritagliati dal nuovo art. 360 c.p.c., n. 5), qui non rispettati), sia perchè con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto precluso in sede di legittimità (ex plurimis, Cass. 11863/2018, 29404/2017, 16056/2016); non è quindi sindacabile in questa sede l’errore di valutazione che investa l’apprezzamento dell’efficacia dimostrativa della fonte di prova rispetto al fatto che si intende provare (Cass. 27033/2018, 9356/2017), in quanto i motivi di ricorso non possono risolversi nella sollecitazione di una rilettura degli atti, quasi si trattasse di un terzo grado di giudizio di merito (Cass. 4834/2019).

9. In ogni caso, con specifico riguardo al primo motivo, la sentenza impugnata risulta in linea con i principi affermati da questa Corte in base ai quali: i) ai sensi della L. Fall., art. 9 la competenza a dichiarare il fallimento spetta al tribunale del luogo in cui, alla data di presentazione dell’istanza, si trova la sede principale dell’impresa, ossia il luogo in cui si svolge l’attività di direzione, organizzazione e coordinamento dei fattori produttivi (Cass. 19343/2016), ovvero l’attività liquidatoria, ove la società di cui si chiede il fallimento sia stata posta in liquidazione (Cass. 18535/2004); ii) tale luogo coincide normalmente con la sede legale dell’impresa, salvo che non emergano prove univoche tali da far ritenere che la sede legale sia solo fittizia e quella effettiva si trovi altrove (Cass. 19343/2016, 6886/2012); iii) la presunzione di coincidenza della sede principale con la sede legale può essere vinta dalla prova del carattere meramente fittizio o formale della sede legale (Cass. Sez. U, 15872/2013; Cass. 23719/2014); iv) restano comunque irrilevanti i trasferimenti della sede legale non accompagnati dal reale trasferimento del centro propulsore dell’impresa o contestuali alla effettiva cessazione dell’attività dell’impresa stessa (Cass. 1489/2005, 5386/2005); v) l’accertamento, ad opera del giudice di merito, di indici probatori idonei a vincere la presunzione turis tantum di corrispondenza tra sede legale e sede effettiva integra una valutazione in fatto non sindacabile in sede di legittimità (Cass. 7470/2017 e 27686/2018, in materia di trasferimento della sede all’estero); vi) la società fallenda non è gravata dall’onere di dimostrare che il centro effettivo dei propri interessi coincida con l’ubicazione della propria sede legale, ma il giudice può desumere anche dal contegno delle parti nel processo – ex art. 116 c.p.c., applicabile anche al procedimento prefallimentare – argomenti di prova idonei a vincere la presunzione di corrispondenza tra sede effettiva e sede legale (Cass. Sez. U, 5945/2013; Cass. 6655/2018).

9.1. Nella specie la corte d’appello ha accertato, all’esito di un’ampia ed articolata comparazione delle contrapposte prove allegate dalle parti, la fittizietà del trasferimento della sede legale da (OMISSIS) (in quanto operato nel 2008, “in corrispondenza con il verificarsi della crisi dell’impresa”) e tale apprezzamento di merito, conforme a quello del giudice di prime cure, è insindacabile innanzi al giudice di legittimità.

10. La sentenza impugnata resiste anche alle censure veicolate dal secondo motivo, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte per cui: i) la L. Fall., art. 6, nello stabilire che il fallimento è dichiarato (fra l’altro) su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, nè l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (Cass. Sez. U, 1521/2013; Cass. 11421/2014); ii) lo stato d’insolvenza L. Fall., ex art. 5 non presuppone il definitivo accertamento del credito in sede giudiziale nè l’esecutività del titolo (Cass. 576/2015); iii) l’accertamento in sede prefallimentare non si fonda sull’esistenza del credito, ma sulla sussistenza dei presupposti del fallimento, tant’è che se il creditore istante vuole divenire creditore ammesso deve presentare domanda di ammissione al passivo, sicchè la domanda di fallimento integra un’azione a contenuto meramente processuale, rispetto al quale l’accertamento del credito si pone come incidentale ai fini della legittimazione al ricorso (Cass. 23420/2016).

10.1. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha giustamente escluso la necessità di un titolo esecutivo ed ha svolto un accertamento incidentale sull’esistenza dei crediti di lavoro vantati dai creditori istanti, ivi compresa l’irrilevanza dell’invocata compensazione con le anticipazioni effettuate dal datore di lavoro sui futuri emolumenti, ad integrazione del trattamento di CIGS (da recuperare sulla quota variabile del salario entro un massimo del 30% e di Lire 250.000/mese, come da accordi sindacali trascritti a pag. 26 del ricorso, dove non si menziona alcuna deroga all’art. 1246 c.c., stante l’impignorabilità dello stipendio oltre il limite di 1/5); nè rileva la deduzione, contenuta a pag. 26 del ricorso, per cui i contratti di finanziamento sarebbero stati prodotti, contrariamente a quanto si legge a pag. 7 della sentenza, stante la natura revocatoria di un simile vizio; in ogni caso, una volta fornita la prova sul quantum, l’eventuale effetto estintivo della compensazione non escluderebbe l’originaria titolarità del credito e, quindi, la qualità di creditore istante ai fini della legittimazione L. Fall., ex art. 6.

11. Anche con riguardo al terzo motivo, è consolidato l’orientamento di questa Corte per cui “il convincimento espresso dal giudice di merito circa la sussistenza dello stato di insolvenza costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, ove sorretto da motivazione esauriente e giuridicamente corretta” (Cass. 23437/2017, 7252/2014), sicchè sono insindacabili in questa sede le valutazioni effettuate dalla Corte d’appello sulla comparazione tra attivo e passivo della società in liquidazione, ivi compresi i debiti da rimborso dei finanziamenti dei soci, riguardo ai quali il giudice di secondo grado ha rilevato la mancanza di prova circa i presupposti della postergazione ex art. 2467 c.c. (a pag. 9 sentenza); peraltro, il credito da finanziamento, quand’anche postergato, rimane comunque un credito (diverso dal diritto alla restituzione dei conferimenti in conto capitale) e come tale è valutabile nell’esposizione debitoria della società ai fini dell’accertamento dello stato di insolvenza.

12. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese; stante la sua notifica successivamente al 30/02/2013, va dato atto, senza margini di discrezionalità, della sussistenza dei presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 6028/2018, 31206/2017).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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