Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17104 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 16/06/2021, (ud. 20/05/2021, dep. 16/06/2021), n.17104

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31362-2020 proposto da:

D.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38,

presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, PREFETTURA della PROVINCIA di VITERBO;

– intimati –

avverso il decreto n. 1414/2019 R.G. del GIUDICE DI PACE di VITERBO

depositato il 24/6/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 20/5/2021 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI

ALBERTO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In data 16 maggio 2019 veniva notificato a D.O., cittadino del Mali, un decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Viterbo a motivo del suo trattenimento sul territorio nazionale senza giustificato motivo, pur a seguito di un precedente decreto di espulsione del Prefetto di Taranto e del correlato ordine del Questore della stessa città di lasciare il territorio dello Stato.

2. Il Giudice di pace di Viterbo, nel rigettare il ricorso proposto avverso questo decreto di espulsione, rilevava che nessuno era comparso all’udienza del 17 giugno 2020, intendendo siffatto atteggiamento processuale quale volontà implicita di rinunciare al ricorso.

Disattendeva l’eccezione riferita al principio di non refoulement, giacchè i giudici di merito che avevano preso in esame la domanda di protezione internazionale avevano già esaminato la questione, escludendo che per lo straniero sussistessero rischi di subire trattamenti proibiti dalle convenzioni internazionali in caso di rimpatrio.

Rigettava, infine, l’eccezione di mancata traduzione del decreto di espulsione nella lingua madre dello straniero, non solo perchè il provvedimento prefettizio era stato tradotto in francese, lingua ufficiale del Mali, ma anche perchè la presentazione del ricorso costituiva la prova certa della materiale ed effettiva conoscenza del contenuto dell’atto.

3. Per la cassazione dell’ordinanza di rigetto del ricorso, depositata in data 24 giugno 2020, ha proposto ricorso D.O. prospettando due motivi di doglianza.

Gli intimati Ministero dell’Interno e Prefettura di Viterbo non hanno svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 13 e 13-bis, e dell’art. 127 c.p.c., in quanto il Giudice di pace ha erroneamente valutato il comportamento processuale del richiedente, intendendo la sua mancata comparizione in udienza come rinuncia e omettendo così di pronunciarsi nel merito dell’impugnativa proposta.

5. Il motivo è infondato.

E’ ben vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte, una volta proposto il ricorso in opposizione al provvedimento di espulsione, l’eventuale assenza della parte opponente all’udienza fissata per la sua comparizione non implica alcuna rinuncia alla domanda, di modo che il giudice, una volta verificata la ritualità degli atti finalizzati a consentire la comparizione, deve comunque pronunciarsi sul merito dell’impugnativa proposta (cfr. Cass. 18190/2020, Cass. 27392/2006; negli stessi termini, relativamente ai giudizi aventi ad oggetto il ricorso avverso il diniego di protezione internazionale, Cass. 6061/2019, Cass. 23915/2011, Cass. 18043/2010, Cass. 24168/2010).

Non era dunque possibile intendere la mancata comparizione in udienza quale volontà implicita di rinunciare al ricorso al fine di evitare una pronuncia sul merito dell’impugnativa proposta.

Il che, tuttavia, corrisponde a quanto statuito dal Giudice di pace, che non ha affatto dichiarato, neppure parzialmente, l’estinzione del giudizio per rinuncia, ma ha espressamente disatteso (cfr. pag. 1, quinto capoverso) la doglianza che faceva riferimento alla proposizione di una domanda reiterata di protezione internazionale, al pari delle ulteriori due eccezioni sollevate, ed ha respinto, nel suo complesso, il ricorso presentato (come è indicato nel dispositivo).

Statuizioni, queste, che possono trovare una spiegazione soltanto ritenendo che il giudicante (laddove ha sostenuto che “detto atteggiamento processuale deve intendersi, pertanto, quale volontà implicita di rinunciare al ricorso, probabilmente a causa di un pronunciamento di rigetto dell’istanza reiterata da parte della Commissione per il riconoscimento della protezione internazionale”) abbia inteso interpretare il contegno processuale dell’opponente, al di là dell’impropria terminologia utilizzata, come una rinuncia a dimostrare la fondatezza della doglianza tramite la produzione del pronunciamento della commissione territoriale (a cui il ricorrente era onerato al fine di avvalorare le proprie difese e in funzione della quale era stati disposta una pluralità di rinvii).

6. Il secondo motivo di ricorso assume l’illegittimità della comunicazione del decreto di espulsione in ragione della sua traduzione soltanto in lingua veicolare.

7. Il motivo è inammissibile.

Il Giudice di Pace, dopo aver rilevato che il decreto di espulsione era stato tradotto in francese, lingua ufficiale del Mali, ha rilevato che “la stessa presentazione del ricorso avverso il provvedimento prefettizio costituisce prova certa della materiale ed effettiva conoscenza da parte dello straniero del contenuto dell’atto notificatogli, con conseguente esplicazione di tutte quelle facoltà difensive che il nostro ordinamento mette a disposizione in casi del genere e che la norma in commento (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7) mira a tutelare”.

Si tratta di un apprezzamento di fatto in merito alla conoscenza della lingua veicolare utilizzata, censurabile in sede di legittimità nei ristretti limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, norma solo formalmente evocata nel ricorso senza alcuna esplicita allegazione che vi siano stati un omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e discusso tra le parti, una mancanza assoluta di motivazione, una motivazione apparente ovvero una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

Occorre, dunque, ribadire il principio secondo cui la nullità del decreto di espulsione – ravvisabile, in linea di principio, per l’omessa traduzione nella lingua conosciuta dall’interessato o in quella veicolare – non sussiste quando lo straniero conosca la lingua italiana o quella in cui il decreto è stato tradotto, circostanza accertabile anche in via presuntiva e costituente accertamento di fatto censurabile nei ristretti limiti dell’attuale disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. 31224/2018, Cass. 25414/2018, Cass. 17851/2018 e Cass. 11887/2018).

8. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere respinto.

La mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

Il procedimento è esente dal versamento del contributo unificato, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18, comma 8, di modo che non trova applicazione il disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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