Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17101 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 16/06/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 16/06/2021), n.17101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27286-2019 proposto da:

ATAC SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 15, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO POPOLINI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI

113, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO GIUSEPPE D’AGOSTINO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROSA ALBA GRASSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 97/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata l’11/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 27/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO

LUCIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte di appello di Roma confermava la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto da F.C. e dichiarato il diritto di costui, dipendente di Atac s.p.a., ad essere inquadrato dal maggio 2009 come Capo Unità tecnica, con riferimento alle qualifiche del CCNL autoferrotranvieri, e dal dicembre 2010 come Capo Unità Organizzativa Amministrativa/Tecnica, con condanna di ATAC s.p.a. al pagamento delle relative differenze economiche;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione ATAC s.p.a. sulla base di tre motivi;

F.C. resiste con controricorso;

entrambe le parti hanno prodotto memorie;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di Consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., osservando che la sentenza impugnata si riferisce al profilo professionale di Capo Tecnico, parametro retributivo 205 CCNL Autoferrotranvieri, ancorchè, poi, inspiegabilmente confermi la statuizione che aveva riconosciuto al lavoratore il diverso profilo superiore professionale di “Capo Unità Organizzativa Amministrativa Tecnica”, parametro retributivo 230, del medesimo CCNL, così determinando un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili;

con il secondo motivo deduce violazione del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, allegato A, artt. 3 e 18, e degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione agli art. 2 e 3 del CCNL 27/11/2000, poichè la Corte d’appello non si era attenuta al principio di diritto secondo cui il procedimento logico e giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore si articola in tre fasi successive (accertamento del fatto, individuazione delle qualifiche, raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale indicati nella seconda), risultando completamente omessa la comparazione tra la declaratoria relativa al profilo assegnato e quella del profilo attribuito dalla Corte territoriale;

con il terzo motivo deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, allegato A, art. 18, e dell’art. 2729 c.c., poichè la Corte ha fatto riferimento al principio enunciato da Cass. 9344/2012, non applicabile nel caso in esame per carenza dei presupposti che la decisione richiamata pone a fondamento del riconoscimento dell’inquadramento superiore, primo tra tutti il protrarsi dell’assegnazione di fatto per molti anni;

il primo motivo è infondato perchè la Corte territoriale motiva con riguardo a entrambe le qualifiche superiori attribuite con la sentenza di primo grado al dipendente in periodi diversi (dal mese di maggio 2009 la prima e dal mese di dicembre 2010 la seconda), quella di Capo tecnico e quella di Capo Unità Organizzativa Amministrativa/tecnica, corrispondenti rispettivamente al parametro 205 e al parametro 230 previsti dalla contrattazione collettiva, sicchè la doglianza si fonda sull’equivoco attinente a un mero errore materiale (l’indicazione nel corpo della sentenza, con riferimento al parametro retributivo di inquadramento, del numero 210 in luogo del numero 230), errore che resta irrilevante nel complesso motivazionale, anche perchè con la conferma del dispositivo di primo grado, che fa correttamente riferimento al parametro 230, non residua alcuna ambiguità nella motivazione;

va richiamato in proposito il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. n. 22598 del 25/09/2018) secondo cui l’obbligo motivazionale è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile, rilevando che nel caso in esame l’iter motivazionale della sentenza risulta nel complesso logico e comprensibile;

anche il secondo motivo è privo di fondamento perchè il confronto che si assume omesso risulta effettuato, pur se non risultano trascritte le declaratorie dei parametri contrattuali, ravvisandosi, previa emenda dell’errore materiale richiamato, la comparazione tra la declaratoria relativa al profilo assegnato e le declaratorie dei profili attribuiti dalla Corte territoriale, tutte espressamente richiamate anche se non riportate nel testo integrale;

il terzo motivo è inammissibile, giacchè è censurata esclusivamente la valutazione di merito operata dalla Corte d’appello circa la sussistenza dei presupposti di fatto ai fini dell’automatico inquadramento nel superiore livello, ravvisati in sentenza nella prolungata copertura provvisoria in presenza di effettiva vacanza e nella presenza di ordini scritti degli organi superiori dell’azienda circa lo svolgimento delle mansioni di superiore livello, sicchè il motivo, ancorchè proposto sub specie violazione di legge, tende nella sostanza a una rivalutazione dei fatti posti a fondamento della decisione (Cass. n. 8758 del 04/04/2017, SU 34476 del 27/12/2019);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va complessivamente rigettato e le spese sono liquidate secondo soccombenza;

in considerazione della statuizione, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte de(k ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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