Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1710 del 26/01/2021

Cassazione civile sez. III, 26/01/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 26/01/2021), n.1710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32573-2019 proposto da:

A.C.J., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MARCO UGO MELANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 760/2019 della CORTE D’APPELLO DI TORINO,

depositata il 06/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

A.C.J., cittadino della (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere ucciso o comunque di subire violenze e ritorsioni per ragioni di carattere religioso;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento A.C.J. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Torino, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza in data 28/5/2018;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino con sentenza in data 6/5/2019;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) dell’assenza di attendibilità del relativo racconto di vita, ivi compresa la circostanza della stessa provenienza del richiedente dalla regione dallo stesso indicata; 2) della conseguente impossibilità di rinvenire i presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale connesse allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; 3) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da A.C.J. con ricorso fondato su tre motivi;

il Ministero dell’Interno, non costituito in termini mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto inattendibile il proprio racconto di vita, in violazione dei criteri legalmente imposti ai fini del riscontro di credibilità del richiedente la protezione internazionale, senza procedere alla rinnovazione dell’ascolto dell’interessato e omettendo di assolvere ai doveri di cooperazione istruttoria imposti dalla legge con riguardo all’accertamento della situazione reale del paese di provenienza;

con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso, nonchè per vizio di motivazione, per avere la corte territoriale trascurato di considerare la situazione del paese di origine del ricorrente ai fini del riconoscimento della protezione invocata;

col terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere la corte territoriale erroneamente escluso il ricorso di una situazione di effettiva vulnerabilità del richiedente, in considerazione della relativa situazione in relazione al paese di provenienza e della conseguente comparazione della stessa con il livello di integrazione raggiunto in Italia dall’interessato;

i primi due motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono infondati;

osserva al riguardo il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. n. 251 del 2307, art. 3, comma 5);

detta valutazione di credibilità deve ritenersi altresì censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettvamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01);

nel caso di specie, fermo l’oggettivo rilievo della congruità logica del discorso giustificativo articolato nel provvedimento impugnato, varrà considerare come il ricorrente abbia propriamente omesso di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte della corte territoriale, delle occorrenze di fatto asseritamente dalla stessa trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia;

varrà peraltro sottolineare, con riguardo alla censura concernente la mancata rinnovazione dell’audizione dell’interessato in sede giudiziale, come, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (qui condiviso e ribadito al fine di assicurarne continuità), nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (Sez. 6 – 1, Ordinanza 14600 del 29/05/2019, Rv. 654301 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3003 del 07/02/2018, Rv. 647297 – 01);

nel caso di specie, la corte territoriale, dopo aver dato atto dell’avvenuta audizione del ricorrente dinanzi alla Commissione territoriale, ha ritenuto superfluo procedere a una rinnovata audizione dello stesso, in forza delle ragioni specificamente indicate in motivazione, non risultando, peraltro, che il ricorrente abbia individuato in termini inequivoci, ai fini della verifica della decisività della censura, le eventuali argomentazioni che, sottoposte all’attenzione del giudicante, avrebbero verosimilmente inciso in termini apprezzabili sui contenuti della decisione;

osserva conseguentemente il Collegio come, attraverso le odierne censure, il ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in coerenza ai tratti di un’operazione critica come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità, dovendo in ogni caso ritenersi che la motivazione dettata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia (non solo esistente, bensì anche) articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo giudice a quo dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili al racconto dell’odierno ricorrente e del grado della relativa attendibilità in conformità ai parametri di valutazione legalmente stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;

l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;

ciò posto, varrà considerare come, rispetto al rivendicato riconoscimento dello status di rifugiato o dell’attribuzione della protezione sussidiaria (in relazione a ciascuna delle forme previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14), assuma valore dirimente la circostanza, sottolineata dalla corte territoriale, della sostanziale inattendibilità del racconto di vita dell’odierno ricorrente, ciò che esclude in radice la stessa configurabilità dei presupposti per il riconoscimento delle ridette forme di protezione, attesa la decisiva incidenza, a tali fini, della positiva dimostrazione (nella specie mancata) del concreto riscontro delle circostanze concernenti le vicende strettamente individuali del richiedente, ivi compresa l’effettiva individuazione dei territori di relativa provenienza, con la conseguente materiale impossibilità di procedere a una verifica (pur doverosa su impulso di ufficio) delle oggettive condizioni di sicurezza del paese di origine dell’interessato, ai fini del riscontro dei presupposti per l’attribuzione della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);

il terzo motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come, in relazione ai temi introdotti, con la censura in esame, la corte d’appello abbia dettato un’ampia motivazione, suscettibile d’essere apprezzata, in sede critica, tanto con riferimento alle questioni devolute con l’atto d’appello, quanto, eventualmente, in relazione alle circostanze sopravvenute, legittimamente introdotte in fase di gravame;

nel caso di specie, la struttura illustrativa dell’odierna censura si caratterizza (pur dopo avere assunto la motivazione della sentenza a pag. 21), da un lato, per la deduzione di argomentazioni meramente generali e astratte sulle ragioni della protezione umanitaria, e, dall’altro, per l’evocazione (cfr. pag. 24) di situazioni di insicurezza e instabilità non meglio specificate e, soprattutto, del tutto carenti sotto il profilo dell’assolvimento degli oneri di allegazione e produzione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6;

quanto al contestato omesso esame denunciato a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, mentre varrà rilevare l’avvenuta espressa considerazione, da parte del giudice a quo, delle circostanze sul punto invocate dal ricorrente, dev’essere rimarcata l’assoluta e insuperabile genericità di quanto dedotto con riferimento alla circostanza che si assume allegata alla pag. 25 dell’appello, con la conseguente impossibilità, per questa Corte, di cogliere lo spessore effettivo dei relativi contenuti critici, e l’inevitabile qualificazione di inammissibilità della censura;

sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;

non vi è luogo per l’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità, avuto riguardo alla mancata tempestiva costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;

dev’essere, viceversa, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2021

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