Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17099 del 11/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 11/07/2017, (ud. 20/04/2017, dep.11/07/2017),  n. 17099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7376/2012 proposto da:

L.P.S. C.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEGLI SCIPIONI 267, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO

CARNEVALI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

EDOARDO CESARI, PIETRO ARCANGELI, GIOVANNI VEZZOLI, ELISABETTA

STEFANIA PIROMALLI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 115/2011 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 26/03/2011 R.G.N. 481/2010;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

1. che la Corte di Appello di Brescia con la sentenza n. 115 in data 26.3.2011, decidendo in sede di rinvio ai sensi degli artt. 392 c.p.c. e segg., affermata la giurisdizione del giudice ordinario, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo, ha riconosciuto il diritto di L.P.S., dipendente dell’Agenzia delle Entrate, alla ricostruzione della posizione giuridico-economica per il periodo 11.2.1993 28.3.1995 ed ha rigettato la domanda volta al pagamento delle differenze retributive maturate durante il periodo di sospensione obbligatoria dal servizio;

2. che avverso tale sentenza il L.P.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, illustrato da successiva memoria, al quale ha resistito con tempestivo controricorso l’Agenzia delle Entrate;

3. che il P.G. in data 13.3.2017 ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

4. che con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del T.U. n. 3 del 1957, art. 97, comma 1, (recepito dall’art. 27, comma 7, del CCNL comparto Ministeri 16.5.1995), sostenendo che tale norma, nel prevedere la restituzione degli assegni non percepiti, si riferisce a tutti i casi di sospensione, senza alcuna distinzione tra quelli facoltativi e quelli obbligatori e assume che la Corte territoriale avrebbe errato nell’attribuire valenza sanzionatoria all’istituto della “restitutio in integrum” stipendiale (ossia la differenza tra quanto percepito a titolo di assegno alimentare durante la sospensione e quanto dovuto a titolo di retribuzione) deducendo che esso mira solo a tutelare il lavoratore a fronte di una situazione che lo stesso ha subito senza sua colpa;

5. che il Collegio ritiene che il ricorso deve essere rigettato perchè la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui “Lo stato di custodia cautelare in carcere, con conseguente assoluta impossibilità di rendere la prestazione lavorativa, costituisce una autonoma causa di esclusione del diritto alla retribuzione per il periodo di detenzione, che si sovrappone alla sospensione cautelare disposta dal datore di lavoro per cui opera il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 97, comma 1 e, in assenza di una specifica disciplina più favorevole, consegue dal principio generale secondo cui, quando il prestatore non adempia all’obbligazione principale della prestazione lavorativa non per colpa del datore di lavoro, a questi non può essere fatto carico dell’adempimento dell’obbligazione retributiva, come per ogni caso di assenza ingiustificata (o non validamente giustificata) dal lavoro. In detta ipotesi, infatti, la perdita della retribuzione si riconnette ad un provvedimento di sospensione cautelare obbligatoria, necessitato dallo stato restrittivo della libertà personale del dipendente, e non, invece, ad un comportamento volontario ed unilateralmente assunto dal datore di lavoro pubblico, come nell’ipotesi di sospensione facoltativa in pendenza del procedimento penale od anche solo disciplinare” (Cass. 20321/2016, pronunziata in fattispecie sovrapponibile a quella in esame, e Cass. 24047/2015, 11391/2014, 15941/2013, 18528/2011, 19169/2006, 3209/2008, 10087/1990);

6. che a dette conclusioni questa Corte è pervenuta osservando che siffatta conseguenza deriva dal principio generale secondo cui, quando il prestatore non adempia all’obbligazione principale della prestazione lavorativa non per colpa del datore di lavoro, a questi non può essere fatto carico dell’adempimento dell’obbligazione di corresponsione della retribuzione, così come per ogni caso di assenza ingiustificata (o non validamente giustificata) dal lavoro;

7. che il motivo di ricorso non prospetta argomenti che inducano a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento del principio sopra richiamato da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise dal Collegio e perchè la memoria depositata dal difensore della ricorrente non ha aggiunto argomenti nuovi rispetto a quelli già esaminati da questa Corte nelle richiamate decisioni ma ha sollevato questione di illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 97, comma 1, con riferimento agli artt. 3 e 97 c.p.c..

8. che le questioni di illegittimità costituzionale sono manifestamente infondate perchè, quanto all’art. 3 Cost., la condotta posta in essere dalla P.A. datrice di lavoro che abbia adottato un provvedimento di sospensione cautelare obbligatoria, necessitato dallo stato restrittivo della libertà personale del dipendente, non è parificabile, quanto alle conseguenze sulle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro, a quella della medesima P.A che abbia volontariamente ed unilateralmente disposto la sospensione facoltativa in pendenza del procedimento penale e/o disciplinare e perchè, quanto all’art. 97 Cost., l’opzione interpretativa del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 97, comma 1, fornita nelle richiamate pronunce di questa Corte non apre spazio a condotte arbitrarie e parziali della P.A. datrice di lavoro, la cui azione è, come detto, necessitata, nè, tampoco, incide sul buon funzionamento della azione pubblica, che rimane estranea alla vicenda della mancata “restitutio in integrum” della posizione economica del dipendente obbligatoriamente sospeso dal servizio;

9. che sulla scorta dei principi sopra richiamati il ricorso va rigettato.

10. che le spese di lite seguono il criterio della soccombenza.

PQM

 

La Corte:

Rigetta il ricorso.

Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2017

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