Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17099 del 10/07/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 17099 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: DI VIRGILIO ROSA MARIA

nn.3,4 e 5

SENTENZA

c.p.c.Insussistenza.

sul ricorso 8285-2011 proposto da:
RUFFO DELLA FLORESTA MATRICARDI

ANDREA

(C.F.

R.G.N.

8285/2011

FRRNDR6OPH5010), RUFFO DELLA FLORESTA MATRICARDI Cr°n•
PAOLO

(C.F.

RFFPLA54T24H501D),

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA M. PRESTINARI 15, presso

Rep.
Ud. 28/05/2013

l’avvocato CALVIERI VALTER, che li rappresenta e PU
2013
929

difende unitamente all’avvocato SIRACUSANO NICOLA,
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti contro

Data pubblicazione: 10/07/2013

MOLLICA

DOMENICO

(C.F.

MLLDNC55D17G669W),

elettivamente domiciliato in ROMA (OSTIA), VIA CARLO
DEL GRECO 59, presso l’avvocato LA MOTTA DORA,
rappresentato e difeso dall’avvocato TOMMASINI
RAFFAELE, giusta procura a margine del

– controricorrente

avverso la sentenza n. 154/2010 della CORTE
D’APPELLO di MESSINA, depositata il 09/03/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/05/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
MARIA DI VIRGILIO;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato CALVIERI V. che
si riporta agli scritti;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

controricorso;

2

Svolgimento del processo
Con

scrittura privata d l 21/2/1993, Andrea Ruffo

Matricardi e Maria Letizia promettevano il trasferimento
in permuta di una quota dei propri immobili a Domenico
Mollica, in vista della costruzione di un complesso

turistico a carattere residenziale; il Mollica si
impegnava, in corrispettivo della cessione, a realizzare e
cedere ai Ruffo una porzione degli erigendi fabbricati
corrispondente alla restante quota.
Insorta controversia, il Mollica instaurava giudizio
arbitrale sulla base della clausola compromissoria
contenuta nella scrittura, chiedendo la risoluzione del
contratto e la restituzione della somma versata come
caparra, pari a lire 300.000.000.
I Ruffo eccepivano l’inammissibilità della domanda e nel
merito l’infondatezza, e chiedevano a loro volta la
risoluzione del contratto.
Con lodo pronunciato il 7 giugno 2000, veniva dichiarata
l’inammissibilità della domanda di risoluzione, per omessa
specificazione della causa petendi nell’atto di accesso, a
valere quale domanda giudiziale, nonché della domanda di
nullità, per novità della stessa, tardivamente proposta,
ed alla stregua della portata della clausola
compromissoria, espressamente limitata alla
interpretazione ed esecuzione del contratto.
Il lodo veniva impugnato dal Mollica.
3

La Corte d’appello, con pronuncia non definitiva del 4/212/2/2002, ha dichiarato la nullità parziale del lodo, in
relazione alla declaratoria di inammissibilità della
domanda di inefficacia del preliminare di permuta del 21
febbraio 1993, disponendo per il prosieguo come da

separata ordinanza.
Nello specifico, la Corte ha rilevato:
l) che a seguito delle modifiche integrative degli
artt.669 octies c.p.c., 2943, 2945, 2652, 2653, 2690 e
2691 c.c.,dettate dalla 1.25 del 1994, è stato delineato
un paradigma dell’atto introduttivo articolato nei tre
elementi(intento di promuovere il procedimento,
formulazione della domanda, designazione dell’arbitro);
2) che tale modello individua la domanda ” qualificata”,
al fine della produzione degli effetti di cui alle norme
indicate, per cui, ove priva di tali elementi, la domanda
è inidonea a produrre detti effetti ( ovvero, ad impedire
la caducazione del provvedimento cautelare, a determinare
l’ interruzione della prescrizione, e ad attivare la
trascrizione), ma conserva il suo valore al fine di dare
avvio al giudizio arbitrale, spettando agli Arbitri
fissare termini e modalità per l’integrazione della

domanda;
3) che nel caso, gli Arbitri avevano fissato termine sino
al 15 settembre 1999 per la presentazione di memorie e
documenti, ed il Mollica entro il termine aveva depositato
4

memoria,nella quale aveva illustrato le ragioni a base
della richiesta di restituzione della caparra, individuate
nella “nullità e/o inefficacia della scrittura privata”,
conseguenti alla mancata approvazione del progetto
regolarmente presentato al Comune ed alla irrealizzabilità

del programma edilizio previsto nel preliminare;
4)che pertanto le circostanze dedotte dal Mollica erano
idonee a sorreggere la domanda di inefficacia del
contratto,in relazione alla clausola sub 8), con la quale
si era convenuto che:” in caso di mancata approvazione del
progetto nei limiti sopra indicati, la presente scrittura
diverrà a tutti gli effetti inefficace, senza colpa per
alcuna delle parti e dalla predetta efficacia sorgerà il
solo obbligo di restituzione della caparra già versata e
dei competenti interessi di legge.”;
5) che il Collegio arbitrale si era sottratto alla
doverosa pronuncia nel merito sul punto, con ciò
configurandosi il vizio di nullità del lodo ex art. 829
n.4 c.p.c.
La Corte del merito ha infine respinto il secondo motivo
di impugnazione, relativo alla declaratoria di
inammissibilità della domanda di nullità del preliminare.
Con la sentenza definitiva dell’8/2-9/3/2010, resa nei
confronti di Ruffo Matricardi Paolo ed Andrea, in proprio
e quali eredi di Ruffo Maria Letizia, la Corte messinese
ha dichiarato l’inefficacia del preliminare del 21/2/93, e
5

condannato i Ruffo Matricardi a restituire al Mollica la
caparra, pari ad euro 154.937,06, oltre interessi dal
22/9/98 al saldo, ed ha regolato le spese tra le parti.
La Corte, richiamate le domande delle parti, da un lato,
di inefficacia del preliminare da parte del Mollica, ex
e da parte dei Ruffo,

di

art.8 della scrittura,

risoluzione di diritto per inosservanza dei termini
essenziali e, in subordine, di recesso dal preliminare per
inadempimento della controparte, ha ritenuto realizzata la
previsione di cui a detta clausola del preliminare, da cui
l’inapplicabilità dei termini essenziali per la stipula
del definitivo, per il pagamento del saldo della caparra e
per la consegna degli immobili promessi in permuta, atteso
che dalla C.T.U. risultava:
1)

che il progetto di variante e di ampliamento del piano

di lottizzazione presentato dal Mollica al Comune era
conforme al programma costruttivo previsto dalle parti
nella citata scrittura, era idoneo sotto il profilo
tecnico

ed

urbanistico,

rimanendo

l’approvazione

subordinata ad un ritocco delle previsioni volumetriche, e
che era possibile una tempestiva rielaborazione del piano,
escludendosi la superficie di mq.6675, mantenendo al piano
le caratteristiche e la volumetria previste nella
scrittura;
2) che il progetto di intervento edilizio non era stato
approvato in quanto, pur presentato, non era stata neppure
6

avviata l’istruttoria tecnica per la preliminare verifica,
né mai sottoposto all’esame della Commissione Edilizia né
del Consiglio Comunale.
Per altro aspetto, continua la Corte del merito, non era
imputabile a negligenza del Mollica, in difetto assoluto

di elementi a conferma da parte dei Ruffo, il mancato
esame da parte del Comune del progetto edilizio, di grande
rilevanza, “richiedente anche un consenso, per così dire,
“politico” dell’Amministrazione comunale, indipendente
dalla volontà e diligenza del Mollica”.
Avverso le pronunce non definitiva e definitiva ricorrono
Paolo ed Andrea Ruffo della Floresta Matricardi, sulla
base di quattro motivi(il quinto, relativo alle spese, non
è autonomo e non costituisce una censura).
Si difende con controricorso il Mollica.
Ambedue le parti hanno depositato le memorie ex art.378
c.p.c.
Motivi della decisione
1.1.- Col primo mezzo, i Ruffo denunciano che la Corte del
merito, una volta affermato che con l’atto di accesso agli
Arbitri va proposta la domanda, avrebbe dovuto rigettare
l’impugnazione del lodo, mentre ha concluso per
l’accoglimento, affermando che la formulazione della
domanda nell’atto di accesso non è prevista a pena di
nullità, argomento non dedotto dalla difesa, così violando
gli artt.828 e 829 c.p.c.
7

Secondo i ricorrenti, inoltre, il Giudice messinese non ha
tratto le debite conclusioni dalla premessa dell’inizio
del procedimento arbitrale con l’atto d’accesso, che deve
pertanto necessariamente contenere la domanda, come si
evince dall’art.669 octies c.p.c., nel rispetto dei

principi generali del contraddittorio e del diritto di
difesa, pur avendo deciso le parti di non adottare le
norme del codice di rito, da cui la violazione degli
artt.24 Cost., 99 e 101 c.p.c.
Il Mollica inoltre si era limitato alla generica denuncia
della violazione dell’art.829 c.p.c., ed all’ omissione
della indicazione dello specifico vizio ha supplito
impropriamente la Corte d’appello; il Mollica aveva
denunciato la violazione degli artt.99 e 163 c.p.c. e 112
c.p.c, deducendo che gli Arbitri dovevano attenersi alle
regole di diritto, mentre la Corte ha affermato il
principio opposto, da cui sarebbe dovuto conseguire il
rigetto della domanda, accolta invece dagli Arbitri, in
violazione degli artt.828 e 829 c.p.c., rilevando
d’ufficio il motivo di nullità.
Secondo i ricorrenti,i1 Giudice del merito è pervenuto a
conclusione contraddittoria, in quanto dal rilievo che non
erano state richiamate le norme processuali, avrebbe
dovuto coerentemente concludere per la reiezione del
motivo dedotto.

8

La Corte del merito ha ritenuto che l’atto di accesso non
poteva ritenersi sanzionato da nullità e che era stato
raggiunto lo scopo, senza provocare sul punto il
contraddittorio; ove a ciò fosse stato debitamente
ottemperato, la parte avrebbe rilevato che l’atto

di

accesso privo della domanda deve ritenersi non nullo, ma
inesistente, e comunque inidoneo al raggiungimento dello
scopo.
1.2.- Col secondo motivo, i ricorrenti, in relazione alla
sentenza definitiva, deducono che, vista la domanda
proposta, di recesso dal preliminare, oltre che di
risoluzione dello stesso, sarebbe stato necessario
verificare il corretto adempimento degli obblighi da parte
del Mollica, ex art.1385, 2 ° comma c.c., e di tale prova
questi era onerato, quale debitore della prestazione,
anche nella ricorrenza del fatto del terzo, ed alla
stregua dei generali principi di correttezza e buona fede,
espressione del dovere di solidarietà sociale, ex art.2
Cost.
Non dovevano i Ruffo dimostrare la negligenza del Mollica,
ma questi provare la diligenza spiegata perché la
progettazione potesse superare l’indagine preventiva in
ordine alla regolarità amministrativa, per poi passare
alla successiva istruttoria tecnica.
La Corte messinese inoltre ha fatto riferimento ad una
ragione non dedotta dalla parte, senza provocare il
9

contraddittorio, ed i Ruffo avrebbero a riguardo dedotto
che, una volta adottato lo strumento di pianificazione del
territorio, il P.R.G., la stessa Amministrazione avrebbe
dovuto rispettarne le prescrizioni.
Infine, deducono i ricorrenti che la sentenza definitiva,
ritenere

che

l’omessa

istruttoria preliminare

nel

integrasse la previsione contrattuale, ha alterato la
ratio decidendi della non definitiva, che aveva devoluto

al C.T.U. l’esame della possibilità di un progetto
alternativo, suscettibile di esecuzione, pur sempre
rispondente alle previsioni progettuali; e sul punto, v’è
anche vizio di motivazione.
1.3.- Col terzo mezzo, i ricorrenti, in relazione alla
reiezione della propria domanda di risoluzione del
contratto, denunciano di avere dedotto nel giudizio
arbitrale il mancato rispetto del termine essenziale solo
in relazione al pagamento della seconda rata della
caparra, di cui all’art.7 della scrittura, non
condizionato all’approvazione del progetto, e sul punto
v’è anche vizio di motivazione, non avendo la Corte
territoriale spiegato, una volta ammesso che il progetto
poteva essere ripresentato, che cosa ostasse alla
ripresentazione del progetto emendato.
1.4.- Col quarto motivo, i ricorrenti, in relazione
all’art.8

della

scrittura,

denunciano

la

mancata

considerazione della interpretazione del richiamo nella
10

clausola

ai

“limiti

sopra

indicati”

;

contraddittoriamente, la Corte territoriale ha fatto
proprie le conclusioni del C.T.U., che ha concluso per la
ripresentazione del progetto, e nel contempo ha ritenuto
che si era perfezionata la condizione di inefficacia; la

motivazione è anche insufficiente, non avendo spiegato che
cosa impediva la ripresentazione del progetto con
correttivi indicati dal C.T.U.
2.1.- Il primo motivo, in tutte le sue articolazioni, deve
ritenersi infondato.
Va in prima battuta rilevato, che, come osservato nella
pronuncia 19025/2003, nel solco delle precedenti 5457/03 e
10922/02, l’indubbia natura negoziale dell’atto di nomina
non esclude che esso (contenendo l’intenzione di
promuovere il procedimento arbitrale e la domanda) produca
anche gli effetti della

vocatio in ius;

ed infatti, nel

quadro normativo formatosi con la 1. 5 gennaio 1994, n. 25
– in particolare, per effetto dell’aggiunta, con l’art. 1
1. cit., dell’ultimo comma all’art. 669 – octies c.p.c.
(dettato per regolare i rapporti della domanda di accesso
agli arbitri coi provvedimenti cautelari); della
sostituzione, con l’art. 25 1. cit., del quarto comma
dell’art. 2943 c.c. e l’aggiunta del quarto comma all’art.
2945 c.c. in tema di prescrizione; nonché
dell’introduzione, con l’art. 26 1. cit., dell’ultimo
capoverso agli arrt. 2652, 2653, 2690 e 2691 c.c., con .-/–)
11

cui, ai fini della trascrivibilità, la domanda di
arbitrato è stata equiparata a quella giudiziaria – la
notifica della domanda di arbitrato segna l’inizio, a
tutti gli effetti, del procedimento arbitrale.
Tale principio non è stato disatteso dalla Corte

messinese, che ha distinto la domanda cd. “qualificata”,
ovvero contenente i tre elementi (intenzione di promuovere
il procedimento, formulazione della domanda comprendente
parti,

causa petendi

e

petitum,

e designazione

dell’arbitro), come tale idonea a determinare l’inizio del
procedimento arbitrale ed a produrre gli effetti propri di
salvare l’efficacia del provvedimento cautelare
causam,

ante

di interrompere la prescrizione e di determinare

la trascrivibilità dell’atto, dall’atto di accesso privo
di uno o più di detti contenuti propri, ma comunque idoneo
ad avviare il procedimento, basandosi sul carattere
settoriale delle modifiche apportate dalla 1.25/1994, che
non hanno toccato l’art.810 c.p.c., e sul principio della
libertà delle forme, di cui all’art.816,2 ° comma c. .c. (
su tale principio,sempre con riferimento alle modifiche
apportate dalla 1.25/1994 e prima della riforma di cui al
d.lgs.40/06, inapplicabile

ratione temporis

nel caso di

cui qui si tratta, vedi le pronunce 5274/07 e 3917/2011).
La Corte territoriale ha sul punto precisato che,
dovendosi ritenere l’atto di accesso quale atto
processuale, proprio in quanto inteso ad avviare il
12

procedimento arbitrale, l’eventuale mancanza di taluno
degli elementi costitutivi avrebbe dovuto essere
sanzionato con la nullità, ex art.156 c.p.c., nullità
peraltro non specificamente prevista; ha anche aggiunto
che, nel caso, non avendo le parti richiamato

pattiziamente l’applicazione delle norme del codice di
rito, al fine di garantire il rispetto del principio
fondamentale del contraddittorio( il cui mancato rispetto
comporta il vizio di cui all’art.829 n.9 c.p.c.), spettava
agli Arbitri fissare termini e modalità per l’integrazione
della domanda, come nel caso avvenuto, avendo il Mollica
illustrato nella memoria depositata nel termine concesso
dagli Arbitri “le ragioni della richiesta di restituzione
della caparra nella “nullità e/o inefficacia della
scrittura”, conseguenti alla mancata approvazione del
progetto regolarmente presentato al Comune di Gioiosa
Marea ed alla irrealizzabilità del programma edilizio
contemplato nel preliminare di permuta”.
Così decidendo, la Corte del merito ha reso corretta
applicazione dei principi in materia, ritenendo la libertà
delle forme processuali nel silenzio del previo richiamo
delle parti alle norme del codice di rito, con il limite
del rispetto delle norme di ordine pubblico, che fissano i
principi cardine del processo, di rango costituzionale,
come il principio del contraddittorio, rafforzato dalla

/)
13

specifica previsione della lesione di tale principio come
motivo di nullità del lodo, ex art.829,9 ° comma c.p.c.
Tale principio è evidentemente inteso a garantire a chi è
chiamato a contraddire nel procedimento, di conoscere per
tempo le richieste e la posizione della controparte, al

dinamica

processuale

e

nell’incardinamento

fine di predisporre adeguatamente le proprie difese; nella
del

procedimento arbitrale, è stato rilevato che occorre avere
riguardo al modo in cui le parti abbiano potuto
confrontarsi,

nella individuazione della specifica

elusione del diritto di difesa, da cui la deviazione dal
modello legale, ove si alleghi il concreto pregiudizio al
contraddittorio o al diritto di difesa (così la pronuncia
2201/2007), ma se così è, a fronte di un atto di accesso
che si limiti a manifestare l’intenzione di far luogo
all’arbitrato senza formulare in modo compiuto e specifico
la domanda, spetta agli Arbitri fissare un termine per la
precisazione dei quesiti, così da rispettare il principio
fondamentale del contraddittorio, come avvenuto nella
specie, con l’illustrazione da parte del Mollica delle
ragioni della richiesta di restituzione della caparra, per
“nullità e/o inefficacia della scrittura privata” (in
senso

analogo,

per

la

non

necessaria

specifica

formulazione dei quesiti nell’atto di accesso ad
arbitrato, nella disciplina anteriore al d.lgs. 40/2006, e

Ut\
14

per la precisazione nel termine fissato dagli Arbitri,
vedi la pronuncia 2201/2007).
Infondate sono le censure intese a far valere la
violazione delle norme di cui agli artt.828 e 829 c.p.c.
da parte della Corte del merito, per avere “identificato ”

il vizio fatto valere come rientrante nell’829 n.4 c.p.c.;
ed invero, dedotte dal Mollica le ragioni della domanda di
restituzione della caparra, la Corte ha semplicemente
provveduto a dare veste giuridica, e quindi a qualificare
la censura.
E come ritenuto,

tra le ultime,

nella pronuncia

10872/2007, l’interpretazione dell’effettivo contenuto dei
quesiti

posti

al

giudice

arbitro

in

sede

di

procedimento arbitrale e l’apprezzamento della loro reale
portata, identificando e qualificando giuridicamente
beni della vita destinati a formare oggetto del
provvedimento richiesto

(“petitum”)

nonché il complesso

degli elementi della fattispecie da cui derivano le
pretese dedotte in giudizio

(“causa petendi”), costituisce

un’operazione rientrante nei compiti istituzionali del
giudice del merito, da compiersi sulla base sia della
formulazione

letterale

dei

quesiti

stessi

sia,

soprattutto, del loro contenuto sostanziale, in relazione
alle finalità perseguite dalla parte e al provvedimento
richiesto in concreto,

desumibile non solo dalla

situazione dedotta in causa, ma anche dalle eventuali
15

precisazioni e specificazioni formulate nel corso del
giudizio; da ciò consegue che il sindacato su
un’operazione interpretativa così condotta, in quanto non
riferibile a un vizio

in procedendo,

è consentito al

giudice dell’ impugnazione del lodo ed alla Corte di

cassazione nei limiti del giudizio di legittimità,
ovverosia solo con riferimento alla motivazione addotta a
sostegno del risultato ermeneutico cui è pervenuto il
giudice del merito.
Né si vede come possa a riguardo configurarsi il rilievo
d’ufficio della nullità da parte della Corte territoriale,
essendosi questa limitata a qualificare sub art.829 c.p.c.
la fattispecie fatta valere dal Mollica, mentre, anche ad
aderire all’interpretazione più rigorosa, sarebbe
configurabile il vizio di nullità della sentenza nel caso
di mancata segnalazione da parte del giudice di una
questione, rilevata d’ufficio per la prima volta in sede
di decisione, ma solo qualora questa comporti nuovi
sviluppi della lite non presi in considerazione dalle
parti, così modificando il quadro fattuale della
controversia, e privando le parti del diritto di difesa,
dell’esercizio del contraddittorio e della facoltà di
modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e
formulare richieste istruttorie ( così le pronunce
11928/2012 e 10062/2010).
2.2.- Il secondo motivo è infondato.
16

Va a riguardo rilevato che nel giudizio arbitrale, di
contro alla domanda di inefficacia del contratto per la
clausola sub 8 esercitata dal Mollica, i Ruffo avevano
proposto domanda di recesso dal preliminare e di
risoluzione per colpa del Mollica.

Orbene, posto che la domanda di recesso dal preliminare ex
art.1385 c.c. si caratterizza quale particolare forma di
risoluzione per inadempimento (così la pronuncia 4023/78 e
più di recente, la 9367/2012), è di palese evidenza la
priorità logico giuridica della domanda di inefficacia,
che determina effetti ex tunc, rispetto a quella di
recesso e risoluzione, con effetti ex nunc, da cui
consegue che correttamente la Corte d’appello, dato atto
degli esiti della C.T.U., ha ritenuto realizzata la
fattispecie di cui alla clausola contrattuale, che di per
sé comportava l’inefficacia del contratto, non residuando
alcuna indagine sull’inadempimento del Mollica, una volta
presentato il progetto rispondente alle pattuizioni e di
per sé suscettibile di approvazione, previo il ben
possibile ritocco delle previsioni
volumetriche,mantenendosi le caratteristiche al piano e la
volumetria previste nella scrittura.
Non a caso, le ulteriori argomentazioni della Corte del
merito sono precedute dalla proposizione “Per altro
aspetto…”, proprio perché la Corte si è posta anche
l’ulteriore profilo della imputabilità al Mollica della

A
17

mancata approvazione, anzi del mancato esame del progetto
edilizio da parte del Comune, indagine invero ultronea,
una volta ritenuta la realizzazione della previsione di
cui alla clausola contrattuale.
In ogni caso, la Corte del merito ha correttamente escluso

l’imputazione al Mollica di detto mancato esame,
richiamando la grande rilevanza e l’impatto sul territorio
della lottizzazione edilizia ed urbanistica e la natura
discrezionale e non di atto dovuto dell’approvazione del
progetto; ed infatti, come ritenuto nella pronuncia
18980/2011, che richiama le precedenti 5120/2011, 18511/07
e 2771/07, l’approvazione di un piano di lottizzazione,
pur se conforme al piano regolatore generale o al
programma di fabbricazione, non è atto dovuto, in quanto
costituisce sempre espressione di un potere discrezionale
dell’autorità amministrativa, chiamata a valutare
l’opportunità di dare attuazione alle previsioni dello
strumento urbanistico generale, essendovi tra questo e gli
strumenti attuativi un rapporto di necessaria
compatibilità, ma non di coincidenza, per cui questi
ultimi possono essere modulati in considerazione delle
esigenze dinamiche che si manifestano in certe condizioni
di tempo e di luogo.
3.1.- Il terzo motivo è infondato.
Corretta è la statuizione della Corte del merito, della
inapplicabilità dei termini essenziali (nella specie, in
18

relazione al pagamento della seconda rata della caparra),
a fronte della mancata approvazione, o meglio, del mancato
esame del progetto edilizio, presupponendo gli stessi,
logicamente, la pregressa approvazione del progetto
medesimo; così statuendo la Corte d’appello ha reso

congrua motivazione, ed invero è di immediata evidenza
come, diversamente opinando, il pagamento della rata
sarebbe rimasto privo di ogni causa giustificativa.
3.4.- Il quarto motivo è da ritenersi infondato, per il
rilievo già avanzato nel precedente paragrafo, rimanendo
la relativa questione assorbita comunque dal mancato esame
del progetto.
4.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso; le spese
del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese, liquidate per compenso in euro
7000,00, oltre euro 200,00 per esborsi; oltre accessori di
legge.
Così deciso in Roma, in data 28 maggio 2013
Il Presidente

corretta applicazione dei canoni ermeneutici,dandone

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