Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17098 del 12/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 12/08/2016, (ud. 18/05/2016, dep. 12/08/2016), n.17098

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18293/2012 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., C.F. (OMISSIS) (già FERROVIE DELLO

STATO S.P.A. Società di Trasporti e Servizi per Azioni), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato GERARDO

VESCI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente

contro

F.A., C.F. (OMISSIS), FE.GE. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DEI COLLI PORTUENSI 57,

presso lo studio dell’avvocato FABIO CIPRIANI, che li rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 398/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/02/2012, R.G. N. 5808/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato MICHELE GUZZO per delega Avv. GERARDO VESCI;

udito l’Avvocato FABIO CIPRIANI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Roma accoglieva le domande proposte da D.G., F.A. e Fe.Ge. nei confronti della s.p.a. Rete Ferroviaria Italiana, dichiarando il diritto dei ricorrenti agli scatti di anzianità maturati a decorrere dal 1.11.04 sulla base dell’anzianità dl servizio dei vari lavoratori, condannando la società al pagamento delle differenze dovute a tale titolo.

Il Tribunale evidenziava che, a definizione di un pregresso contenzioso giudiziale (che aveva portato alla emissione di sentenze, non ancora passate in giudicato, favorevoli ai lavoratori, con le quali veniva accertata l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a causa della illegittima interposizione di manodopera tra le società appaltatrice dei servizi di custodia di passaggi a livello, SOGAF e LABOR, e l’appaltante RFI), erano stati sottoscritti (il 22.10.04) verbali di conciliazione nei quali la società aveva dichiarato di prestare formale acquiescenza alla sentenza limitatamente alla esistenza del rapporto di lavoro ed alla data (1.7.95) di decorrenza dello stesso. Ciò premesso il primo Giudice riteneva che la conciliazione in parola non rendesse inammissibile la richiesta di pagamento degli scatti di anzianità maturati successivamente, richiesta che, al contrario, doveva ritenersi fondata proprio in ragione della corretta interpretazione del verbale nel suo complesso. Precisava al riguardo il Tribunale che la società, pur impegnandosi ad assumere i lavoratori in data 1.11.04, aveva riconosciuto l’esistenza del rapporto di lavoro con la decorrenza indicata nel precedente giudicato (1.7.95) e da ciò non poteva che derivare il riconoscimento della anzianità di servizio successiva, ai fini della quantificazione dei relativi scatti previsti dal C.C.N.L. di categoria. Evidenziava, inoltre, che le parti non avevano in alcun modo limitato gli effetti dell’avvenuto riconoscimento, sicchè respingeva l’eccezione della società secondo cui l’anzianità convenzionale era stata prevista solo a fini contributivi.

Avverso detta decisione proponeva appello la società nei confronti di F.A. e Fe.Ge. (avendo D.G. sottoscritto ulteriore accordo transattivo).

Con sentenza depositata l’8 febbraio 2012, la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame, rilevando in sostanza che la conciliazione del 22.10.04 (con cui la società, preso atto e dichiarato di fare formale acquiescenza alla sentenza del Tribunale di Napoli – con cui venne riconosciuta l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato dal 1.7.95 – offriva al F. l’assunzione a tempo indeterminato dal 1.11.04, riconoscendo l’esistenza del rapporto di lavoro dalla data indicata nella sentenza, 1.7.95, ed obbligandosi a corrispondere per il periodo pregresso la somma di Euro 6.000 per ogni anno), pur precludendo al lavoratore la possibilità di rivendicare differenze per scatti di anzianità maturati in forza dell’anzianità precedente la formale assunzione, non precludeva il suo diritto di avvalersi di tale anzianità ai fini del computo degli scatti di anzianità maturati successivamente.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la RFI s.p.a., affidato a due motivi. Resistono i lavoratori con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve pregiudizialmente rilevarsi che tra la RFI s.p.a. e Fe.Ge. è intervenuto verbale di conciliazione in sede sindacale del 31.7.15, definitivo della presente controversia, venendo così meno l’interesse della società ricorrente all’impugnazione, con la conseguenza che il ricorso va dichiarato inammissibile, dovendosi valutare la sussistenza dell’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, avuto riguardo non solo al momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche a quello della decisione (e plurimis, Cass. 13 luglio 2009 n. 16341).

Il menzionato accordo giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità tra le riferite parti.

Quanto al ricorso nei confronti del F. si osserva.

1.-Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., anche in relazione agli artt. 410 e 411 c.p.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5). Lamenta che la sentenza impugnata omise di motivare in ordine all’eccezione di tardività dell’impugnativa del verbale di conciliazione del 22.10.04, essendo l’unica comunicazione con cui il F. manifestò la volontà di impugnare l’atto costituita dalla lettera raccomandata del 3.11.07 inviata alla d.p.l. di Roma ai fini dell’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione.

Evidenzia che in ogni caso l’azione proposta era inammissibile, in base dell’art. 2113 c.c., comma 4, per avere il ricorrente, col menzionato verbale di conciliazione del 22.10.04, accettato l’assunzione presso la RFI ivi indicata, dichiarando di rinunciare ad ogni altra pretesa.

2.- Con il secondo motivo si denunciano: a) in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione, errata e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonchè dell’art. 116 c.p.c.; b) in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si sostiene che la Corte d’appello, a causa del mancato esame dei documenti probatori prodotti in giudizio, ha applicato in modo sbagliato gli artt. 1362 e 1363 c.c., interpretando male la volontà delle parti e, in particolare, la nota RFI del 2 maggio 2005, con la quale la società ha chiarito quali dovevano essere gli effetti della decorrenza giuridica indicata nelle sentenze di condanna, precisando che la decorrenza dell’anzianità di servizio partiva dalla data del verbale di conciliazione.

Infatti, sottoscrivendo i suddetti verbali, i lavoratori non hanno rinunciato all’anzianità di servizio che oggi rivendicano, ma a tutti gli effetti sostanziali della sentenza loro favorevole, cioè hanno rinunciato al riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato per il periodo pregresso all’assunzione, con conseguente rinuncia a tutti i diritti nascenti dal rapporto di lavoro stesso. La Corte romana è pervenuta ad una diversa soluzione sulla base di un superficiale e parziale esame delle risultanze probatorie di cui non ha dato adeguata giustificazione.

4. – Entrambi i motivi di ricorso, così come già ritenuto da questa Corte in analoga fattispecie, Cass. n. 12227/13, Cass. n. 9909/16, sono infondati, per le ragioni di seguito esposte.

4.1.- In particolare, per quel che riguarda il primo motivo, va precisato che l’azione intrapresa dai lavoratori non è stata qualificata dai Giudici di merito come impugnativa dei verbali di conciliazione, ma come azione volta ad ottenere – sul presupposto del mancato rispetto da parte di RFI degli accordi transattivi – il riconoscimento del diritto dei lavoratori agli scatti di anzianità maturati nel periodo successivo alle formali assunzioni da parte di RFI, da calcolare computando l’anzianità maturata nei rapporti pregressi.

In base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, l’interpretazione della domanda e l’individuazione della sua ampiezza e del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato al Giudice del merito, sicchè alla Corte di cassazione è devoluto soltanto il compito di effettuare il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass. 2 novembre 2005, n. 21208; Cass. 27 luglio 2010, n. 17547; Cass. 9 settembre 2008, n. 22893; Cass. 26 aprile 2001, n. 6066; Cass. 9 giugno 2003, n. 9202; Cass. 20 agosto 2003, n. 12255; Cass. 22 gennaio 2004, n. 1079; Cass. 14 marzo 2006, n. 5491; Cass. 26 giugno 2007, n. 14751; Cass. 30 giugno 1986, n. 6367). Ne consegue che, nella specie, la decisione sul punto contenuta nella sentenza impugnata è insindacabile, perchè risulta giuridicamente e logicamente corretta nonchè sorretta da un iter argomentativo chiaramente individuabile, che non presenta alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione. Pertanto tutte le censure sulla decadenza dei ricorrenti – prospettate attraverso il richiamo dell’art. 2113 c.c. – si rivelano ultronee e, come tali, inammissibili.

Deve essere comunque precisato che, in base al consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, il regime di eventuale mera annullabilità degli atti contenenti rinunce del lavoratore a diritti garantiti dal norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, previsto dall’art. 2113 c.c., riguarda soltanto le ipotesi di rinuncia a un diritto già acquisito, mentre in caso di rinuncia all’incidenza dell’anzianità maturata ad una certa data del rapporto di lavoro sui diritti, derivanti da norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, ancora non acquisiti nel patrimonio del rinunciante, la rinuncia viene ad assumere il valore di un atto diretto a regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da quella fissata in maniera inderogabile dalle norme di legge o di contratto collettivo, e ciò ne determina la nullità a norma dell’art. 1418 c.c., o l’invalidità o l’inefficacia a norma dell’art. 2077 c.c. (vedi Cass. 8 novembre 2001, n. 13834; Cass. 11 marzo 1983 n. 1846; Cass. 28 dicembre 1983 n. 7633; Cass. 8 luglio 1988 n. 4529; Cass. 19 gennaio 1999 n. 477 nonchè Cass. 26 marzo 2012, n. 4811).

Del tutto logica è quindi la interpretazione dei verbali di conciliazione in oggetto effettuata dalla Corte d’appello, nel senso che essi, pur precludendo ai lavoratori la possibilità di rivendicare differenze retributive per scatti di anzianità maturati in base alla anzianità pregressa nel periodo antecedente la formale assunzione da parte di RFI, non impedisce loro di esercitare il diritto di avvalersi di tale anzianità al fine del computo degli scatti di anzianità maturati dopo l’assunzione, trattandosi di diritti che non erano ancora maturati al momento delle conciliazioni. Tale soluzione, come ha rilevato la Corte d’appello, trova riscontro negli impegni assunti dalla società in sede di conciliazione sindacale ed è anche conforme al principio affermato da questa Corte secondo cui l’anzianità di servizio non è uno status o un elemento costitutivo di uno status del lavoratore subordinato, nè un distinto bene della vita oggetto di un autonomo diritto, ma rappresenta la dimensione temporale del rapporto di lavoro, nel cui ambito integra il presupposto di fatto di specifici diritti (quali quelli all’indennità di fine rapporto o agli scatti di anzianità). Essa, pertanto, come non può essere oggetto di atti di disposizione (traslativi o abdicativi), così non è suscettibile di autonoma prescrizione distinta da quella di ciascuno dei singoli diritti che su di essa si fondano e può essere sempre oggetto di accertamento giudiziale, purchè sussista nel ricorrente l’interesse ad agire, che va valutato in ordine alla concreta azionabilità dei singoli diritti di cui l’anzianità di servizio costituisce il presupposto di fatto e può essere escluso solo dalla eventuale prescrizione di tali diritti (Cass. 18 gennaio 1999, n. 477; Cass. 9 agosto 2001, n. 10995; Cass. 22 agosto 2005, n. 12354; Cass. 1 settembre 2003, n. 12756; Cass. 27 febbraio 2004, n. 4076; Cass. 12 maggio 2004, n. 9060).

4.2.- Le suddette considerazioni valgono anche per l’esame del secondo motivo, che va ugualmente rigettato.

Si deve osservare al riguardo che, in linea generale, tutte le censure prospettate con tale motivo, nonostante il formale richiamo anche a violazioni di legge, si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.

Va ricordato in proposito che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

Infatti, la prospettazione da parte del ricorrente di un coordinamento dei dati acquisiti al processo asseritamele migliore o più appagante rispetto a quello adottato nella sentenza impugnata, riguarda aspetti del giudizio interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti che è proprio del giudice del merito, in base al principio del libero convincimento del giudice, sicchè la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n. 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112). Peraltro, va anche sottolineato che il motivo, per la parte in cui contesta l’interpretazione della nota di RFI del 2 maggio 2005, non risulta neppure conforme al principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – in base al quale il ricorrente che denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare nel ricorso specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito (trascrivendone il contenuto essenziale), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726). Per la restante parte, relativa alla portata delle rinunce dei lavoratori, le censure sono da respingere in quanto – oltre ad essere formulate senza la dovuta indicazione dei canoni ermeneutici (ex art. 1362 c.c. e segg.) asseritamente violati dall’interpretazione fornita dalla Corte romana – sono dirette a contestare la valutazione del contenuto dei verbali effettuata dalla Corte d’appello, nell’esercizio della propria discrezionalità, che, peraltro risulta supportata da congrua e logica motivazione e del tutto corrispondente al tenore logico-letterale dei verbali stessi, riprodotti nel corpo del ricorso e, quindi, esaminabili da parte di questa Corte.

5.- Il ricorso deve pertanto dichiararsi inammissibile, per difetto di interesse, nei confronti del Fe., con compensazione delle relative spese processuali, mentre deve essere rigettato nei confronti del F., regolandosi le relative spese come da dispositivo, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi anticipante.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Fe., compensate le relative spese processuali; rigetta il ricorso proposto nei confronti del F. e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore di quest’ultimo, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A., con distrazione in favore dell’avvocato Fabio Cipriani.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2016

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