Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17095 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/07/2010, (ud. 09/06/2010, dep. 21/07/2010), n.17095

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.P., C.G., C.M.T.,

nella qualita’ di eredi di CA.PA., gia’ elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 96, presso lo studio

dell’avvocato MARSICANO GIORGIA, rappresentati e difesi dagli

avvocati ANGELONI PIERLUIGI, MORGANTE GASPARE, giusta mandato a

margine del ricorso e da ultimo d’ufficio presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PATTERI ANTONELLA, giusta mandato in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6510/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/01/2006 R.G.N. 7012/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2010 dal Consigliere Dott. PICONE Pasquale;

udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. La sentenza di cui si domanda la cassazione accoglie l’appello dell’Istituto nazionale della previdenza sociale – Inps – e, in riforma della decisione del Tribunale di Latina – giudice del lavoro – n. 1248 dell’11.4.2000, rigetta la domanda proposta da Ca.

P. per accertamento del diritto alla riliquidazione della pensione integrativa dovuta dall’Istituto con decorrenza 1.1.1996.

2. Il Ca., gia’ dipendente dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro le malattie – Inam e cessato dal servizio con la qualifica di dirigente superiore in data 1.1.1971, aveva chiesto la maggiorazione del trattamento pensionistico ai sensi dell’art. 30 del regolamento del fondo integrativo dell’Inam, maggiorazione derivante dal computo della retribuzione di posizione attribuita ai dirigenti in servizio dell’Inps dal CCNL 1994 – 1997.

3. Il rigetto della domanda del Ca. – cui sono subentrati gli eredi C.P., C.M.T. e C. G. – e’ fondata dalla Corte di appello di Roma sul rilievo che nessuna prova era stata fornita in ordine ai fatti costitutivi del diritto azionato, stante la mancata produzione del contratto collettivo e del regolamento del fondo integrativo ex Inam, nonche’ il difetto di allegazioni in ordine all’applicabilita’ del contratto collettivo ad un rapporto di lavoro cessato da piu’ di venti anni prima dalla sua stipulazione.

4. Il ricorso degli eredi di Ca.Pa. si articola in tre motivi; resiste l’Inps con controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione di norme di diritto per avere la sentenza impugnata ritenuto che non fossero stati prodotti i testi del regolamento Inam e del contratto collettivo sebbene risultassero, come accertato dalla stessa sentenza, dall’indice allegato al fascicolo di ufficio di primo grado.

2. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 30 del regolamento del fondo di previdenza Inail 3.10.1969 e della L. n. 761 del 1979, art. 75 perche’ la retribuzione di posizione, spettante, ai sensi del contratto collettivo nazionale di lavoro per i dirigenti degli enti pubblici non economici 1994 – 1997 dal 1 gennaio 1996, quale anticipo sui futuri miglioramenti stipendiali, costituiva compenso fisso e continuativo, correlato al possesso della qualifica dirigenziale, e pensionabile ai sensi del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 13, comma 1, lett. a), sicche’ la pensione doveva essere incrementata dell’importo corrispondente.

3. Con il terzo motivo si sostiene che il regolamento Inam aveva natura normativa e obbligava il giudice a disporre l’acquisizione di altri documenti (il contratto collettivo) necessari per la sua applicazione.

4. La Corte, esaminati congiuntamente i motivi nell’ambito del discorso unitario che segue, giudica il ricorso privo di fondamento, risultando conforme al diritto il dispositivo della sentenza impugnata, ancorche’ la motivazione necessiti di correzione e integrazione (art. 384 c.p.c., comma 2).

5. Il D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 75, comma 2 emanato in virtu’ della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 47 – concernente delega al Governo per la disciplina dello stato giuridico delle unita’ sanitarie locali – ha, tra l’altro, dato facolta’ ai dipendenti degli enti mutualistici soppressi (tra i quali l’Inam) trasferiti alle unita’ sanitarie locali di optare per il mantenimento della posizione assicurativa gia’ costituita nell’ambito dell’assicurazione generale obbligatoria e degli eventuali fondi integrativi di previdenza esistenti presso gli enti di provenienza. A norma del citato D.P.R. n. 761 del 1979, art. 75, commi 3, 4 e 5, in favore del detto personale che avesse, nei previsti termini, esercitato l’indicata facolta’ di opzione e’ stata costituita presso l’Inps una gestione speciale ad esaurimento per l’erogazione dei trattamenti, a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, secondo le disposizioni regolamentari dei preesistenti fondi di previdenza.

6. La giurisprudenza della Corte ha superato il dubbio originato dalla formulazione letterale della norma e concernente la situazione dei dipendenti INAM collocati, come nel caso del Ca., in quiescenza prima della soppressione dell’ente e percio’ non “trasferiti” ad altre amministrazioni. Ha interpretato, infatti, il complesso delle disposizioni contenute nell’art. 75 cit. nel senso che il sistema di previdenza integrativo di tipo “aziendale”, gia’ gestito dal Fondo di previdenza dell’INAM – cioe’ da una struttura costituita all’interno dell’ente pubblico datore di lavoro e operante nell’ambito del rapporto di impiego – e’ stato sostituito integralmente mediante l’assunzione, da parte dell’INPS, con la gestione ad esaurimento, del compito di erogare, a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, il trattamento integrativo in precedenza corrisposto dal preesistente Fondo, e cio’ in favore di tutti, indistintamente, gli aventi diritto alle prestazioni del Fondo stesso, da identificare sia nel personale in servizio che avesse esercitato la facolta’ di opzione, sia nel personale (all’epoca) gia’ collocato a riposo e che non era percio’ chiamato ad esprimere alcuna opzione (ex plurimis, Cass. 17 giugno 1999 n. 6064; Cass. S.u. 20 novembre 2003, n. 17634 e 12 dicembre 2005, n. 27394).

7. Pertanto, con l’indicato evento legislativo, anche nei confronti dei dipendenti pubblici gia’ cessati dal servizio, l’obbligazione pensionistica, prima inerente al rapporto di pubblico impiego, e’ stata attratta nel novero dei rapporti previdenziali obbligatori ed e’ stato previsto che l’erogazione dei trattamenti a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dovesse avvenire secondo le disposizioni regolamentari dei preesistenti fondi di previdenza, disposizioni che, sulla base della fonte normativa primaria che opera il richiamo, forniscono la regolamentazione legale delle prestazioni a carico del fondo speciale ad esaurimento.

Ne consegue che l’avvenuta “legificazione” delle disposizioni regolamentari degli enti soppressi toglie fondamento giuridico all’affermazione della sentenza impugnata secondo cui l’attore aveva l’onere di produrre le disposizioni del regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale a rapporto d’impiego, deliberato dal Consiglio di amministrazione dell’Inam in data 3 ottobre 1969, restando in questa considerazione assorbite le censure contenute nel primo motivo di ricorso.

8. Il citato regolamento dispone, all’art. 30, comma 1 che “ove con provvedimento di carattere generale, siano apportate variazioni nelle retribuzioni pensionabili del personale in servizio, le pensioni a carico del Fondo in godimento sono riliquidate, assumendo come base la nuova retribuzione prevista per la qualifica e la posizione in cui l’impiegato si trovava all’atto della cessazione del servizio” (cosiddetta clausola di “adeguamento al pari grado” o “clausola oro”). Oggetto della controversia e’, dunque, il diritto del Ca. di ottenere la maggiorazione della pensione integrativa, in godimento quale ex dipendente del soppresso Inam, cessato dal servizio con qualifica di dirigente superiore, derivante dal computo dell’indennita’ di posizione prevista dal contratto collettivo dei dirigenti degli enti pubblici non economici.

9. A questo riguardo, va precisato che anche sul tema dell’onere del deposito dei contratti collettivi la sentenza impugnata e’ incorsa in errore di diritto, ponendosi in contrasto con il principio secondo il quale, in ordine ai contratti collettivi nazionali di lavoro pubblico, in considerazione del peculiare procedimento formativo, del regime di pubblicita’, della sottoposizione a controllo contabile della compatibilita’ economica dei costi previsti, l’esigenza di certezza e di conoscenza da parte del giudice – e in particolare della Corte di cassazione, che ne conosce direttamente, al pari delle norme di diritto, D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 65, comma 5) deve ritenersi assolta, in maniera autonoma, mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8 (vedi, tra le altre, Cass. S.u. 4 novembre 2009, n. 23329).

10. Il principio di diritto applicabile alla controversia e’ stato enunciato dalle Sezioni unite della Corte a composizione di contrasto di giurisprudenza nel senso che, in tema di previdenza integrativa dei dipendenti ex Inam, soppressi gli organi che potevano stabilire Inutilita’” di determinati compensi ai fini delle prestazioni pensionistiche del Fondo integrativo del disciolto istituto, potranno essere computati nella “retribuzione pensionabile”, rilevante ai sensi dell’art. 30 del regolamento di previdenza del disciolto istituto, soltanto i miglioramenti stipendiali, gli assegni pensionabili e le competenze, di carattere fisso e continuativo, corrisposte ai dipendenti in servizio, che siano espressamente qualificate come pensionabili da provvedimenti normativi riferibili al personale degli enti parastatali (Cass., sez. un., 13 dicembre 2005, n. 27394).

11. Occorre, a questo punto considerare un altro dato normativo. La L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 4, ha disposto che “a decorrere dal 1 gennaio 1998, per l’adeguamento delle prestazioni pensionistiche a carico delle forme pensionistiche di cui ai commi 1, 2 e 3, trova applicazione esclusivamente il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 11, con esclusione di diverse forme, ove ancora previste, di adeguamento anche collegate all’evoluzione delle retribuzioni di personale in servizio…”. In controversie analoghe, avente ad oggetto la riliquidazione della pensione integrativa in relazione all’indennita’ di posizione spettante a dirigente con decorrenza successiva al 31 dicembre 1997, questa Corte ha escluso il diritto facendo applicazione della disposizione legislativa sopra riportata, sul rilievo che certamente, tra le “diverse forme di adeguamento” (rispetto alla perequazione automatica prevista dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 11), contemplate dall’art. 59 cit., rientra anche quella prevista dall’art. 30 del regolamento Inam (Cass. 28 ottobre 2003, n. 16221; 22 aprile 2008, n. 10346). Le stesse decisioni hanno escluso profili di illegittimita’ costituzionale dell’assetto normativo, sotto il profilo della lesione del diritto quesito per coloro che gia’ erano pensionati, tenuto conto che la Corte costituzionale (sent. 17 dicembre 1985, n. 349) in materia analoga, aveva affermato che, se e’ vero che in linea di principio deve ritenersi ammissibile un intervento legislativo che, nel rispetto dell’autonomia negoziale privata, modifichi l’ordinamento pubblicistico delle pensioni, non puo’ pero’ ammettersi che tale intervento sia assolutamente discrezionale, per cui non e’ consentita una modifica legislativa che, intervenendo… quando addirittura e’ subentrato lo stato di quiescenza, peggiori senza un’inderogabile esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente maturate dai lavoratori per il tempo successivo alla cessazione della propria attivita’, ma una siffatta irrazionale incidenza va esclusa nel caso della estensione normativa ai pensionati delle gestioni speciali del sistema di perequazione automatica previsto dalla L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 10. Ed ancora la stessa Corte costituzionale ha precisato anche che il principio di proporzionalita’ della pensione alla quantita’ e qualita’ del lavoro prestato non impone affatto il necessario adeguamento del trattamento pensionistico agli stipendi, spettando alla discrezionalita’ del legislatore determinare le modalita’ di attuazione del principio sancito dall’art. 38 Cost., cosicche’ non rappresenta un vulnus dei canoni costituzionali il fatto che il legislatore abbia, eventualmente, previsto un meccanismo di adeguamento delle retribuzioni solo per il personale in servizio e non abbia esteso analogo adeguamento ai trattamenti pensionistici della medesima categoria, mentre lo scostamento tra trattamenti pensionistici maturati in tempi diversi e’ giustificato dal diverso trattamento economico di cui i lavoratori hanno goduto durante il rapporto di servizio e che era vigente nei diversi momenti in cui i relativi trattamenti pensionistici sono maturati (vedi Corte cost. n. 202 del 2006).

12. La decisione della controversia richiede, a questo punto, soltanto di stabilire se vi sono stati adeguamenti retributivi del personale dirigenziale in servizio presso enti pubblici non economici da considerare pensionabili e gia’ acquisiti prima dell’entrata in vigore della L. n. 449 del 1997, art. 59.

La risposta deve essere di segno negativo sulla base delle seguenti considerazioni.

a) Il CCNL del comparto del personale degli enti pubblici non economici, quadriennio normativo 1994 – 1997 e biennio economico 1994 – 1995, stipulato l’(OMISSIS), all’art. 38, si e’ limitato a prevedere, in ordine al trattamento base e accessorio dei dirigenti, la futura ristrutturazione della retribuzione;

prevedendo, tra altro, l’attribuzione della retribuzione di posizione.

B) Il successivo CCNL dello stesso comparto “Parte economica – biennio 1996 – 97” ha previsto la costituzione e il finanziamento del Fondo per la retribuzione di posizione con decorrenza 1.1.1997 (art. 4) e la definizione della retribuzione di posizione ad opera degli enti per le tipologie di dirigenti e secondo le rispettive esigenze organizzative (art. 5). La possibilita’ di verificare se queste norme possano trovare applicazione nella fattispecie, sia pure limitatamente all’anno 1997, e’ preclusa, con effetto assorbente di altre questioni, dalla totale assenza di allegazioni, rilevata dalla sentenza impugnata senza censure sul punto, circa la posizione di lavoro all’atto della cessazione dal servizio e le determinazioni assunte dall’Inps in ordine all’organizzazione della sua dirigenza.

C) La L. 2 ottobre 1997, n. 334, art. 1, comma 1, con riferimento ai dirigenti generali dello Stato (cui sono equiparati i dirigenti di cui alla L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 18 ai sensi della L. n. 72 del 1985, art. 2), ha disposto che, “in attesa dell’estensione del regime di diritto privato al rapporto di lavoro” e in coerenza con la nuova struttura retributiva definita dalla contrattazione collettiva, e’ attribuita per gli anni 1996 e 1997 “a titolo di anticipazione sul futuro assetto retributivo da definire in sede contrattuale”, un’indennita’ di posizione annua. La lettura favorevole alla tesi dei ricorrenti e’ stata gia’ disattesa dagli stessi precedenti sopra richiamati, nella parte in cui, esaminando il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 19, di proroga delle disposizioni di cui alla L. n. 334 del 1997, art. 1, sino all’entrata in vigore dei contratti collettivi, e comunque non oltre il 31 dicembre 1998, ha precisato che della proroga del trattamento beneficiavano i “pari grado” in servizio, ma non i dipendenti collocati a riposo, essendo divenute inefficaci dal primo gennaio dello stesso anno le disposizioni regolamentari che disponevano l’adeguamento o riliquidazione automatica della pensione. Gli argomenti che si vorrebbero desumere dall’uso dell’espressione “anticipazione del futuro assetto retributivo” non hanno consistenza: il legislatore ha voluto semplicemente esplicitare le ragioni e il carattere provvisorio dell’intervento, non certo attribuire, con decorrenza dall’anno 1996, un trattamento retributivo che sarebbe stato liquidato in futuro dalla contrattazione collettiva. Le implicazioni della tesi opposta, invero, condurrebbero all’inammissibile conseguenza che i dipendenti, in servizio e in quiescenza, avrebbero il diritto di pretendere la differenza tra la retribuzione definita in sede di contrattazione e quella ricevuta dall’anno 1996 in poi. Piu’ in generale, va richiamato il fermo orientamento della giurisprudenza della Corte secondo cui il c.d. “scaglionamento” nel tempo di incrementi retributivi previsto da fonti normative o contrattuali, ove non sia prevista la corresponsione di “arretrati”, implica la maturazione del credito retributivo nell’ammontare previsto per ciascun periodo di scaglionamento, con la conseguenza che il dipendente cessato dal servizio prima del compimento del periodo di scaglionamento, non puo’ pretendere di computare, ai fini del trattamento di quiescenza, l’aumento complessivo previsto “a regime” (vedi, tra le numerose decisioni sul tema: Cass., S.u., 4 gennaio 2007, n. 14; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3402).

13. In conclusione, il ricorso va rigettato perche’ gli incrementi retributivi relativi dell’indennita’ di posizione dei dirigenti in servizio, cui la pretesa azionata si riferisce, devono ritenersi maturati solo in epoca successiva al 31 dicembre 1997 e, di conseguenza, non possono incrementare le pensioni, stante la soppressione del sistema di perequazione automatica (c.d. “clausola oro”) disposta dalla L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 4.

114. Non risultando dal ricorso le condizioni per applicazione l’art. 152 disp. att. c.p.c. ai sensi del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326, ritiene la Corte che l’erroneita’ della motivazione in diritto della sentenza impugnata e la necessita’ di precisare le reali ragioni del rigetto della pretesa azionata, giustificano la compensazione per l’intero delle spese e degli onorari del giudizio di cassazione per giusti motivi.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e compensa per l’intero le spese e gli onorari del giudizio di cassazione.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

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