Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17094 del 11/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 11/07/2017, (ud. 29/03/2017, dep.11/07/2017),  n. 17094

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16471-2015 proposto da:

G.R. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

UDINE 28, presso lo studio dell’avvocato SILVIA ALOE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCA MACCIONI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

METRO ITALIA CASH AND CARRY S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA F. CORRIDONI 23, presso lo studio dell’avvocato ANDREA

CELEBRANO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

MARINA ESTER OLGIATI, GIULIO CELEBRANO, STEFANINO BERETTA, SALVATORE

TRIFIRO’, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1728/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/03/2015 R.G.N. 8088/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/03/2017 dal Consigliere Dott. SPENA FRANCESCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI RENATO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ALOE SILVIA e l’Avvocato MACCIONI FRANCESCA;

udito l’Avvocato CELEBRANO ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso al Tribunale di Roma del 2.3.2004 G.R., dipendente della società METRO ITALIA CASH AND CARRY (in prosieguo: METRO ITALIA) spa, impugnava il licenziamento intimatogli per motivi disciplinari con comunicazione del 27.11.2003 per avere indebitamente richiesto – e percepito – un rimborso di spese chilometriche non sostenute, avendo viaggiato sull’auto di un collega che aveva regolarmente ricevuto il rimborso (Euro 249,28).

Il giudice del lavoro rigettava la domanda (sent. nr. 11646/2005).

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 13.3- 18.12.2008 (nr. 2209/2008), rigettava l’appello del G., ritenendo, per quanto in questa sede rileva, la gravità del fatto oggettivo dell’avvenuta e consapevole appropriazione della somma non dovuta, gravità non elisa nè attenuata dalla offerta del lavoratore di restituire l’importo giacchè avvenuta soltanto dopo un lasso di tempo di 15 giorni rispetto alla richiesta di rimborso e di 8 giorni rispetto all’incasso.

Il giudice dell’appello non riteneva comunque provata, per contraddittorietà delle risultanze istruttorie, la allegazione della società secondo cui la offerta del G. di restituire le somme non era spontanea ma derivava dalla notizia confidenziale della spedizione della contestazione disciplinare e rispondeva all’intento di influire sull’esito del procedimento disciplinare.

Il lavoratore proponeva ricorso in cassazione; il giudice di legittimità, con sentenza dell’8.5 – 30.9.2013 (nr. 22321/2013) accoglieva il ricorso, rilevando la contraddittorietà della motivazione in punto di accertamento del dolo della condotta. La buona fede del dipendente era stata esclusa nonostante la accertata mancanza di prova della consapevolezza da parte del lavoratore dell’avvio del procedimento disciplinare all’atto della offerta di restituire il rimborso; tale lacuna motivazionale aveva inciso anche sul giudizio di proporzionalità della sanzione disciplinare.

Riassunto il giudizio, la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 24.211.3.2015 (nr. 1728/2015), respingeva la domanda originaria del G..

La Corte territoriale osservava che i fatti erano incontroversi e che il lavoratore aveva invocato nell’atto introduttivo del giudizio unicamente l’errore scusabile circa il proprio diritto alla liquidazione.

A tal fine egli aveva esposto di avere contattato anteriormente alla contestazione il collega A., con il quale aveva viaggiato, per consegnargli la quota del rimborso a lui spettante nonchè l’addetta alla cassa della propria unità produttiva.

La veridicità dei fatti allegati dal ricorrente non era stata provata.

Dalle deposizioni dei testi M., responsabile del personale della società datrice di lavoro ed A. era dimostrato che il G. era a conoscenza della spedizione della contestazione prima di riceverla; ciò trovava conferma nel fatto che solo il giorno 14 novembre 2003, nella imminenza del ricevimento della contestazione (il 15 novembre) e ben otto giorni dopo la riscossione delle somme egli aveva tentato di porre rimedio alla propria condotta.

Era provata la consapevole appropriazione della somma, tenuto conto altresì del fatto che il G. nella nota spese aveva indicato la targa della sua autovettura nel campo “automezzo proprio” e nel ricorso aveva esposto di avere allegato alla richiesta di rimborso gli scontrini del pedaggio autostradale da lui pagato, circostanza smentita dal teste A., sul punto confermato dalla teste M..

La mancanza di uno spontaneo ravvedimento e la palese insussistenza di un errore nella compilazione della richiesta di rimborso confermavano la valutazione della intenzionalità della condotta illecita, già operata nel precedente giudizio d’appello.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza G.R., articolato in tre motivi.

Ha resistito con controricorso la società CASH AND CARRY spa.

Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunziato violazione e falsa applicazione degli artt. 383 e 384 c.p.c..

Ha dedotto la non corretta applicazione nel giudizio di rinvio delle statuizioni contenute nella sentenza rescindente.

Ha assunto che la cassazione della sentenza d’appello era stata disposta sul presupposto della mancanza di prova, per contraddittorietà delle testimonianze sul punto, della preventiva comunicazione al G. dell’imminente arrivo della contestazione disciplinare.

Il giudice del rinvio aveva ritenuto invece provata la conoscenza da parte del lavoratore dell’avvio del procedimento disciplinare, che questi aveva appreso da una fonte confidenziale.

Le presunzioni utilizzate nel giudizio di rinvio – la tardività del ravvedimento del G. rispetto al fatto contestato e la sua stretta contiguità temporale rispetto al momento di ricevimento della contestazione disciplinare- erano state già valorizzate dal giudice dell’appello nella sentenza poi cassata.

Il giudice del rinvio neppure aveva proceduto alla valutazione di proporzionalità della sanzione, tenendo conto dei precedenti disciplinari, della esiguità del danno e della offerta di riparazione dello stesso, come invitato a procedere dal giudice della fase rescindente.

Il motivo è infondato.

Giova premettere che i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ovvero per vizi di motivazione; nella prima ipotesi il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, mentre, nella seconda, nell’ambito dello specifico capo oggetto di annullamento, il giudice del rinvio non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi (conf: Cassazione civile, sez. 6^, 16/11/2016, n. 23335; Cassazione civile, sez. 1^, 07/08/2014, n. 17790; Cassazione civile, sez. 2^, 10/12/2015, n. 24976; Cass., Sez. 3, 3 ottobre 2005, n. 19305; Cass., Sez. lav., 6 aprile 2004, n. 6707).

L’unico limite della sua discrezionalità sta naturalmente nella non – reiterabilità del percorso logico già ritenuto affetto dal vizio di motivazione.

Nella fattispecie di causa questa Corte di legittimità nella sentenza rescindente ha ravvisato contraddittorietà della motivazione in ordine all’accertamento del dolo del dipendente, giacchè il giudice dell’appello aveva ritenuto provato il carattere consapevole e volontario dell’appropriazione del rimborso pur essendo carente la prova della consapevolezza da parte del lavoratore della spedizione della contestazione disciplinare nel momento in cui egli si offriva di restituirlo.

Contrariamente all’assunto dell’odierno ricorrente, la sentenza rescindente non ha affermato, invece, che gli elementi di prova acquisiti non erano sufficienti a dimostrare la preventiva consapevolezza da parte del G. dell’ avvio del procedimento disciplinare; si è limitata a prendere atto dell’accertamento compiuto sul punto dal giudice del merito e della sua contraddittorietà con il giudizio conclusivo.

Il giudice del rinvio a seguito della cassazione della sentenza aveva dunque il potere di valutare nuovamente tutti gli elementi di prova oggetto dell’accertamento cassato, relativi sia alla conoscenza della contestazione disciplinare prima del suo recapito che alla volontarietà del fatto addebitato.

Nel compiere tale valutazione il giudice del rinvio ha ritenuto, diversamente dal primo collegio d’appello, che dagli elementi del processo emergesse la preventiva conoscenza da parte del G. dell’invio della contestazione disciplinare; il potere di accertamento è stato esercitato nei limiti del capo della sentenza oggetto di cassazione ed è stata emendata la contraddizione logica censurata in sede di cassazione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., sotto il profilo della valutazione di proporzionalità tra fatto contestato e sanzione.

Ha esposto che la sentenza di cassazione aveva accolto anche il motivo articolato in punto di difetto di proporzionalità della sanzione disciplinare, invitando il giudice a rivalutare il fatto alla luce dell’intensità dell’elemento intenzionale, concorrente alla valutazione di gravità dell’addebito unitamente al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla sua durata, all’assenza di precedenti sanzioni ed alla sua particolare natura e tipologia.

La sentenza di rinvio taceva sul punto, non prendendo in considerazione alcuno degli elementi concorrenti.

Il motivo è infondato.

La sentenza rescindente ha evidenziato che il vizio motivazionale in ordine all’elemento soggettivo della condotta addebitata aveva inciso sul giudizio di proporzionalità della sanzione, trattandosi di uno degli indici del suddetto giudizio, concorrente con gli altri parametri di valutazione della gravità dell’inadempimento, oggettivi e soggettivi.

Il giudice del rinvio, rinnovato l’accertamento del dolo, con motivazione immune dal vizio logico censurato dal giudice di legittimità, ha fatto propria la valutazione in punto di proporzionalità della sanzione già espressa dall’ organo giudicante nella sentenza cassata, che sul punto era stata annullata soltanto per effetto riflesso della contraddittorietà della motivazione sul dolo della condotta.

3. Con il terzo motivo la parte ricorrente ha lamentato violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c..

Ha affermato che il giudice del rinvio aveva desunto la conoscenza dell’invio della contestazione disciplinare da parte del G. dal fatto che egli aveva chiesto aiuto al teste A. (come riferito dallo stesso teste).

L’ A. in sede di confronto aveva tuttavia chiarito che il G. non gli aveva mai riferito di essere a conoscenza di una imminente contestazione disciplinare.

In violazione dell’art. 2729 c.c., il giudice del rinvio aveva ricavato la prova da un fatto non soltanto non provato ma addirittura escluso dalla dichiarazione testimoniale dell’ A..

Il motivo è infondato.

In questa sede si intende dar seguito all’orientamento maggioritario di questa Corte (per il quale si veda: Cassazione civile, sez. 2^, 25/03/2013, n. 7471; Cassazione civile, sez. 3^, 03/10/2013, n. 22591; Cassazione civile sez. 3^, 31 marzo 2008 n. 8300; Cassazione civile sez. 3^ 20 febbraio 2007 n. 3982) secondo cui in materia di presunzioni è riservato all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito sia lo stesso ricorso a tale mezzo di prova sia la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione. Il relativo giudizio è dunque sindacabile davanti a questa Corte unicamente sotto il profilo del vizio della motivazione.

Nella fattispecie di causa trova applicazione ratione temporis il vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5; il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di rinvio disposto a norma dell’art. 383 c.p.c., è disciplinato, quanto ai motivi deducibili, dalla legge temporalmente in vigore all’epoca della proposizione dell’impugnazione, in base al generale principio processuale “tempus regit actum” ed a quello secondo cui il giudizio di rinvio a seguito di cassazione integra una nuova ed autonoma fase processuale di natura rescissoria. Da ciò consegue che se la sentenza conclusiva del giudizio di rinvio è stata pubblicata dal giorno 11 settembre 2012 trova applicazione la nuova formulazione restrittiva introdotta del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), (conf: Cassazione civile, sez. 6^, 18/12/2014, n. 26654).

Il motivo non presenta i requisiti di ammissibilità richiesti per la riqualificazione della censura ai sensi del vigente art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè non indica – (nei termini specifici imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6), un preciso fatto storico non esaminato in sentenza ma si limita a censurare la valutazione di fatti storici già esaminati dal giudice del merito.

Il ricorso deve essere pertanto conclusivamente respinto.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2017

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