Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17094 del 08/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 08/08/2011, (ud. 21/06/2011, dep. 08/08/2011), n.17094

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18850/2009 proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO

25/B, presso lo studio legale PESSI e Associati, rappresentata e

difesa dagli avvocati SANTORI Maurizio e PESSI ROBERTO, giusta

procura notarile in atti;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CALABRIA

56, presso lo studio dell’avvocato D’AMATO GIOVANNI, rappresentato e

difeso dagli avvocati CHIANESE Serena, CERVELLI FRANCESCO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5081/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/08/2008 R.G.N. 6087/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2011 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato SANTORI MAURIZIO;

udito l’Avvocato CHIANESE DORIANA per delega CERVELLI FRANCESCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Napoli, P.G. esponeva di aver proficuamente lavorato alle dipendenze della Banca 121, ora Monte dei Paschi di Siena s.p.a., dal febbraio 1995. Riferiva il ricorrente di aver ricevuto in data 21 dicembre 2001 una lettera di contestazione concernente pretesi addebiti riguardanti l’operatività delle filiali alle quali era stato preposto, per pretese irregolarità continuate anche dopo la preposizione al Centro Sviluppo Territoriale (C.S.T.) di (OMISSIS) e dirette a conseguire “indebiti vantaggi”. In particolare l’Istituto di credito gli aveva contestato di aver concorso con i dipendenti I.V. e F.A. alla apertura di conti correnti in favore di soggetti inesistenti, alla concessione di fidi in favore di soggetti privi di “meritorietà creditizia”, all’avviamento di rapporti con soggetti protestati o collegati a società o ad altri soggetti falliti, oltre ad una serie di ulteriori operazioni irregolari, irrogandogli, per tali motivi, la sanzione della sospensione cautelare.

Il ricorrente precisò di aver enunciato le proprie giustificazioni con lettera 10/1/02 negando ogni addebito e di aver, cionondimeno, ricevuto lettera di licenziamento per giusta causa in data 31/1- 6/2/02 che egli aveva tempestivamente impugnato.

Nel rilevare la infondatezza nel merito delle contestazioni a lui ascritte ed in ogni caso la carenza di proporzionalità tra la sanzione e gli addebiti mossi, conveniva in giudizio la Banca Monte dei Paschi di Siena chiedendo dichiararsi l’illegittimità del provvedimento espulsivo irrogatogli e la reintegra nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno, ex art. 18 st. lav..

Si costituiva la società resistendo alle avverse domande.

Con sentenza del 18 luglio 2006 il Tribunale, pur reputando insussistente una responsabilità diretta del condirettore in concorso con i dipendenti F. e I. in ordine alle gravissime mancanze a lui ascritte, respinse il ricorso, recependo le tesi difensive formulate dalla società (segnatamente, sul difetto della doverosa attività di controllo da parte del ricorrente sul corretto funzionamento della filiale affidata alla sua direzione).

Avverso tale decisione proponeva appello il P. chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli e la condanna della società al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto maturata dal dì del licenziamento a quello della effettiva reintegra.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata il 5 agosto 2008, accoglieva il gravame.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la Monte dei Paschi di Siena s.p.a., affidato a due motivi.

Resiste il P. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. -Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 3, per avere escluso la sussistenza di una giusta causa di licenziamento nei gravi comportamenti contestati al P..

Lamentava che con specifico riferimento ai rapporti di lavoro dei dipendenti di banca il vincolo fiduciario assumeva particolare rilievo, sicchè i fatti contestati, pur ridimensionati dalla corte territoriale, risultavano comunque idonei a concretare una giusta causa di licenziamento che, quale norma elastica, doveva valutarsi anche alla stregua dei canoni di condotta espressi dalla collettività.

Elencava dunque nuovamente i fatti addebitati, chiedendo alla Corte, ex art. 366 bis c.p.c., se ai fini della sussistenza di una giusta causa di licenziamento sia sufficiente accertare la complessiva gravità della condotta, anche se di minore intensità rispetto agli addebiti mossi nella lettera di contestazione.

2. -Il motivo risulta inammissibile, richiedendo alla Corte un riesame di fatto delle circostanze di causa (ex plurimis, Cass. 26 marzo 2010 n. 7394, Cass. 8 aprile 2008 n. 10203).

La corte di merito ha infatti accertato, a seguito di una complessiva ed organica disamina della lettera di contestazione e dei vari comportamenti addebitati al Pollice, che l’essenza delle censure mosse al dipendente muovesse dall’assunto (successivamente dimostratosi del tutto infondato), che questi avesse consentito il verificarsi di una serie di irregolarità, al fine di trarre indebiti vantaggi, in un rapporto di correità col F. (reo confesso e nipote del Presidente della Banca) e lo I., che lo aveva visto protagonista nello svolgimento di spericolate operazioni perniciose per il patrimonio aziendale, attuate mediante innumerevoli operazioni, fra le quali l’apertura di conti correnti a soggetti inesistenti, l’avvio di rapporti con soggetti protestati et similia.

L’accusa di aver agito in concorso con gli altri due dipendenti indicati informava e pervadeva, secondo la corte territoriale, l’intero contenuto della contestazione, risultando l’azione disciplinare scaturita dalle dichiarazioni rilasciate dal F., fondata essenzialmente sulla presunzione di un concorso fra le parti indicate, nel compimento di una serie di condotte illecite.

In tale prospettiva era stata infatti contestata “l’apertura di conti correnti a soggetti inesistenti, la concessione di fidi a soggetti privi di meritori età creditizia ed infine l’avvio di rapporti con soggetti rivelatisi poi protestati e/o collegati a società o altri soggetti falliti”.

Sulla scorta di tali considerazioni, gli era stato imputato il compimento di irregolarità finalizzate a conseguire indebiti vantaggi.

Osservava dunque la corte che il procedimento disciplinare e la conseguente applicazione della massima sanzione espulsiva da parte dell’Istituto di credito erano stati motivati essenzialmente da siffatto presupposto, che tuttavia è risultato smentito dalla stessa istruttoria espletata in sede cautelare ed escluso anche dal giudice di primo grado, senza che la Banca sollevasse particolari censure sul punto, affermando anzi che “anche in assenza di un effettivo concorso… l’odierno appellante non può che essere ritenuto gravemente inadempiente rispetto ai propri compiti di gestione della filiale”.

Quanto alla illegittima apertura di conti correnti, la corte territoriale ha accertato che dei plurimi episodi contestati, solo un limitato numero aveva interessato la filiale diretta dal Pollice il quale, già dal gennaio 2001, era stato preposto al C.S.T. La corte di merito, con apprezzamento di fatto logico e congruamente motivato, ha considerato che tale circostanza, unitamente al mancato sconfinamento del limite concernente gli affidi di L. 2.000.000 previsto per i conti correnti Internet (sui quali operava il Fiorillo) ed il fatto che i relativi prelievi non fossero soggetti al visto del Direttore, attenuavano notevolmente il disvalore della condotta del P., non configurando la grave lesione del vincolo fiduciario denunciata.

Analoga considerazione la corte territoriale ha svolto in ordine alla contestata esistenza di conti correnti privi di specimen di firma, essendo risultato che quel che difettava, a causa dell’ingente numero di operazioni svolte in filiale, era solo la coeva firma del funzionario; in ordine al contestato omesso controllo sull’apertura di tali conti, essendo risultato che nessun contratto era sottoposto all’autorizzazione della direzione, in ordine ad altre irregolarità ricadenti nel periodo gennaio-marzo 2001 allorchè il Pollice risultava preposto ad altro ufficio. La corte territoriale, oltre ad aver esaminato analiticamente le ulteriori contestazioni mosse, ridimensionandole in base a logiche e specifiche valutazioni, ha in definitiva concluso per l’inconfigurabilità della grave lesione del vincolo fiduciario dedotto dalla Banca, tale da giustificare la sanzione espulsiva.

La ricorrente, come detto, si limita a riesaminare i fatti in questione, giungendo a conclusioni opposte rispetto al giudice di merito.

Simile censura risulta tuttavia inammissibile, risolvendosi in una istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione, Cass. 26 marzo 2010 n. 7394, Cass. 18 aprile 2008 n. 10203.

Peraltro occorre osservare che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (tra le più recenti, Cass. 16 luglio 2010 n. 16698, Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).

Nella specie la Banca ricorrente lamenta in sostanza un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che analiticamente ripropone da pag. 26 a 36 del ricorso.

3. -Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, e cioè se i fatti contestati, pur ridimensionati dalla corte territoriale, integrassero comunque un giustificato motivo soggettivo di licenziamento.

Il motivo è in parte infondato e per il resto inammissibile.

Ed invero la corte territoriale ha espressamente affermato, con apprezzamento di fatto logico e correttamente motivato, che i “comportamenti contestati ed accertati”, come sopra visto, “non presentano quei connotati di grave negazione del rapporto fiduciario ravvisati dal giudice di prima istanza quale causa di immediata risoluzione del rapporto di lavoro inter partes, nè comunque quegli elementi di natura obiettiva (con riferimento al contenuto della condotta, alle circostanze e condizioni in cui è posta in essere, ai suoi modi ed ai suoi effetti) e subiettiva (avuto riguardo all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente) che avrebbero giustificato l’emanazione di un licenziamento per giustificato motivo soggettivo, così come dedotto da parte appellata, non risultando tale condotta idonea a ledere comunque la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente, tale da esigere l’irrogazione di sanzioni non minori di quelle massime”.

Per il resto occorre evidenziare che l’apprezzamento circa la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento rientrano nella valutazione discrezionale del giudice di merito, incensurabile in cassazione ove sorretta da logica ed adeguata motivazione (ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18377, Cass. 11 maggio 2005 n. 9884), e che la corte territoriale ha motivatamente escluso che i fatti contestati, e motivatamente ridimensionati, sotto il profilo obiettivo e soggettivo, non potessero integrare neppure un giustificato motivo c.d. soggettivo di licenziamento, a fronte del quale accertamento la ricorrente si limita a contrapporre inammissibilmente una diversa valutazione dei fatti (Cass. 26 marzo 2010 n. 7394, Cass. 8 aprile 2008 n. 10203).

Nella prima pronuncia ora citata la Corte ha affermato che “E’ inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione”.

4. -Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad Euro 40,00. Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2011

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