Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17093 del 12/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 12/08/2016, (ud. 27/04/2016, dep. 12/08/2016), n.17093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20043-2014 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI,

rappresentata e difesa dall’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

C.S., C.F. (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

C.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA G. DA CARPI 6, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO

SZEMERE, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO CAMILLI,

giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 320/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/05/2014 r.g.n. 137/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

udito l’Avvocato UBERTI ANDREA per delega Avvocato TOSI PAOLO;

udito l’Avvocato CLAN MAURIZIO per delega Avvocato CAMILLI MASSIMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza non definitiva depositata il 28/5/2014, la Corte d’appello di Venezia ha confermato la pronuncia del giudice di primo grado che aveva respinto l’opposizione proposta da Poste Italiane S.p.A. avverso l’ordinanza che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato alla dipendente C.S..

2. Alla lavoratrice era stata contestata l’instaurazione di una prassi nell’ufficio preposto alla contabilizzazione degli importi ricevuti dai portalettere nell’attività di notifica degli atti giudiziari, secondo la quale le somme consegnate dai predetti all’ufficio preposto non erano registrate e trasmesse con conto corrente all’ufficio competente, ma messe in una busta, con la creazione di un fondo cassa anomalo che sarebbe dovuto servire per ripianare eventuali errori contabili. Al momento della scoperta del fondo nella busta vi erano Euro 800,00, con un ammanco, risultante da ulteriori verifiche contabili, di Euro 8.468,00. Alla lavoratrice, oltre all’ammanco di cassa, era contestato anche di aver fatto uscire per il recapito ai destinatari i contrassegni e la tassate senza seguire le date di arrivo, nonchè la responsabilità contabile dei movimenti in denaro non seguiti da versamento sull’apposito conto corrente.

3. Il licenziamento era stato intimato mediante espresso richiamo all’art. 54, comma 6, lett. a) CCNL “per illecito uso, manomissione, distrazione o sottrazione di somme o di beni di spettanza o di pertinenza della società o infine per connivente tolleranza di abusi commessi da dipendenti o da terzi”.

4. Rilevava la Corte che la descrizione della condotta addebitata alla lavoratrice sulla base della lettera di contestazione disciplinare era diversa da quella sanzionata. In particolare, mentre nella contestazione l’ammanco era ricondotto alla violazione delle procedure aziendali, senza riferimento a condotte di appropriazione, nella lettera di licenziamento era richiamata la norma del CCNL riferita all’appropriazione indebita o alla fattispecie della distrazione, ancorchè non vi fossero prove della sottrazione o dell’appropriazione di somme, ma solo di un ammanco di cassa riferibile a una procedura anomala contraria alle direttive aziendali. Osservava, inoltre, che della procedura anomala erano al corrente altre due dipendenti, alle quali erano state inflitte sanzioni conservative. Rilevava la Corte che la corretta individuazione della condotta oggetto di contestazione disciplinare portava a condividere la valutazione data dalla sentenza reclamata in merito alla necessità dell’affissione del codice disciplinare esposto nella bacheca collocata nell’ufficio del direttore, non accessibile da parte della generalità dei dipendenti, non essendo l’infrazione contestata riferibile alla violazione di norme di comportamento contrarie all’etica comune o connotanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro.

5. La Corte d’appello rigettava, inoltre, la domanda subordinata formulata dalla società reclamante e diretta alla conversione in licenziamento per giustificato motivo soggettivo. Rilevava che l’art. 56, comma 5, lett. c), connesso al licenziamento con preavviso, prevede che dall’inosservanza degli obblighi inerenti al servizio sia derivato un danno grave e che la condotta addebitata alla lavoratrice non rientrava nella suddetta ipotesi, ma doveva essere riferita più propriamente alla fattispecie di cui all’art. 56, comma 3, lett. f) CCNL, che sanziona con la sospensione dal servizio e dalla retribuzione le violazioni connotate dall’inosservanza dei doveri e degli obblighi di servizio da cui sia derivato un pregiudizio alla società non caratterizzato da gravità.

6. Con successiva sentenza definitiva del 3/7/2014 la stessa Corte d’appello disponeva la detrazione dal risarcimento del danno, come liquidato in conseguenza dell’illegittimità del licenziamento, delle somme percepite a titolo di redditi di lavoro e risultanti dalla documentazione prodotta, confermando nel resto la liquidazione.

7. Avverso entrambe le sentenze propone ricorso per cassazione Poste italiane s.p.a. sulla base di cinque motivi. Resiste la C. con controricorso, proponendo, altresì, ricorso incidentale condizionato sulla base di tre motivi, al quale a sua volta resiste Poste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, comma 1, (art. 360 c.p.c., n. 3). Osserva che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto la diversità tra la fattispecie contestata e quella posta a fondamento del recesso, non ravvisando una “violazione di norme di comportamento contrarie all’etica comune o connotanti violazioni di doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro”, e attribuendo rilevanza alla regolare affissione del codice disciplinate. Rileva che i fatti contestati alla lavoratrice non si risolvono nella mera violazione di una procedura richiesta dalla società per l’espletamento di determinati compiti, ma nella violazione dei doveri primari scaturenti dal rapporto di lavoro, violazione ulteriormente aggravata in ragione dell’elemento fiduciario insito nelle mansioni svolte, da cui derivava la responsabilità connessa al diretto e continuo maneggio di denaro e valori. Con la conseguenza che la fonte del recesso datoriale sarebbe reperibile direttamente nella legge, senza bisogno di previo preavviso.

2. Con il secondo motivo deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5). Rileva che, riguardo alla circostanza dell’affissione del codice disciplinare, la Corte ha ignorato una dichiarazione sottoscritta da alcuni lavoratori, prodotta in atti, ed ha omesso qualsiasi esame sull’effettiva ubicazione della bacheca oggetto di deposizione testimoniale.

3. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e art. 54, comma 6, lett. A) CCNL Poste 14 aprile 2011 (art. 360 c.p.c., n. 3). Osserva che la Corte territoriale, in violazione dell’art. 54, comma 6, lett. a) CCNL 14 aprile 2011, ha formalmente rilevato la diversità tra la condotta addebitata alla lavoratrice nella lettera di contestazione disciplinare e quella indicata nella lettera di licenziamento. Rileva che la sentenza impugnata ha errato nel circoscrivere l’ambito applicativo del citato art. 54 CCNL alle sole ipotesi di appropriazione indebita o distrazione, poichè la disposizione stabilisce la sanzione del licenziamento per una eterogenea serie di comportamenti, non esaminati dalla Corte. Evidenzia che la condotta della C. realizza pienamente l’ipotesi di “illecito uso o di connivente tolleranza di abusi commessi da dipendenti e da terzi”, di cui alla seconda parte del citato art. 54, lett. a. Rileva che, in violazione dell’art. 2119 c.c., la sentenza tenta di diluire le responsabilità della predetta, in ragione della circostanza che della irregolare procedura erano al corrente altre due dipendenti alle quali erano state inflitte sanzioni conservative, trascurando la circostanza che la C. era colei che si occupava in via esclusiva della contabilità, con diverso e maggior grado di responsabilità rispetto alle altre dipendenti, con la conseguenza che la sua complessiva condotta era tale da incrinare irrimediabilmente l’imprescindibile vincolo fiduciario. Osserva che la Corte d’appello aveva frainteso il dato della conservazione dei modelli 28/aut, affermando che, se la lavoratrice avesse voluto impossessarsi delle somme “li avrebbe distrutti o non fatti reperire”, laddove dall’istruttoria era risultato che gli stessi erano stati conservati da altre impiegate.

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 4 CCNL Poste 14 aprile 2011 (art. 360 c.p.c., n. 3). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5). Rileva che la Corte d’appello aveva trascurato ulteriori episodi di anomalia operativa inclusi dalla contestazione disciplinare, quale quello secondo cui la C. decideva a priori quando far uscire per il recapito ai destinatari i contrassegni e le tassate, a conferma della disinvoltura con cui la dipendente espletava le incombenze relative alla propria posizione di responsabile della Sezione (OMISSIS).

5. Con l’ultimo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 54, comma 5, lett. C) CCNL 14 aprile 2011 (art. 360 c.p.c., n. 3). Rileva che la Corte territoriale aveva ignorato che la sanzione del licenziamento con preavviso fosse prevista anche “per avere occultato fatti e circostanze relativi a illecito uso, manomissione, distrazione o sottrazione di somme o beni di spettanza o di pertinenza della Società o ad essa affidati”. La stessa, infatti, non si era preoccupata del fatto che l’ammanco non solo avrebbe potuto essere maggiore, tenuto conto che era stato calcolato sui soli mod. 28/aut trovati all’interno dell’ufficio postale, ma avrebbe potuto accrescersi se non fosse stata avviata la verifica sulle attività svolte nella sezione (OMISSIS). Chiedeva, pertanto, che, ove ritenuta eccessiva la sanzione del licenziamento senza preavviso, fosse ritenuta l’ipotesi di licenziamento con preavviso.

6. Con il ricorso incidentale condizionato la C. deduce: 1)Violazione e falsa applicazione di legge dell’art. 55, comma 1 del vigente CCNL Poste (art. 360 c.p.c., n. 3). Rileva che a norma dell’art. 55, comma 1 del CCNL Poste l’addebito disciplinare deve essere contestato al dipendente “con la tempestività del caso”; che già nel mese di gennaio 2012 il direttore CPD era stato messo al corrente della “anomala prassi” relativa alla avvenuta istituzione del fondo-cassa da parte delle cinque addette alla sezione e che era stata consentita la prosecuzione della pratica, essendo intervenuto il licenziamento disciplinare solo ad agosto 2012; 2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 55, comma 4 CCNL Poste (art. 360 c.p.c., n. 3). Rileva che il procedimento di licenziamento disciplinare doveva essere dichiarato estinto e improcedibile, in considerazione del mancato rispetto dei termini perentori stabiliti dalla normativa introdotta dal vigente CCNL delle Poste. La norma suddetta impone che il provvedimento sanzionatorio finale debba essere inviato al destinatario entro e non oltre il termine di 30 giorni dalla scadenza del termine per l’inoltro da parte del dipendente delle sue giustificazioni scritte, mentre non era dato rinvenire la prova della data certa dell’invio della comunicazione; 3) violazione e falsa applicazione di legge in punto di aliunde perceptum. Rileva che la dipendente non aveva percepito altre retribuzioni da soggetti terzi, le uniche voci di reddito percepite essendo quelle costituite dal risarcimento imposto a Poste Italiane, pari al periodo intercorrente tra l’espulsione e la reintegrazione. Pertanto, a fronte della generica enunciazione sul punto in dispositivo, era necessario specificare che nulla doveva essere detratto e restituito a Poste s.p.a. a titolo di aliunde perceptum.

7. I ricorsi possono essere trattati congiuntamente a seguito di riunione ex art. 335 c.p.c. Va disattesa, preliminarmente, l’eccezione di tardività del ricorso principale formulata dalla controricorrente. Ed invero risulta dagli atti che l’atto è stato trasmesso all’ufficiale giudiziario il 29/7/2014, talchè rispetto alla data del deposito in cancelleria della sentenza (30 maggio 2014) l’impugnazione è tempestiva. Allo stesso modo è infondata l’eccezione di tardività del controricorso, contenente ricorso incidentale, avanzata dalla società. Il termine per la proposizione del controricorso decorre, infatti, non già dalla richiesta della notifica, ma dalla data di consegna del plico all’ufficiale giudiziario, nella specie avvenuta il 4/8/2014, come risulta dall’avviso di ricevimento. Rispetto a tale data la proposizione del ricorso incidentale, intervenuta il 12/9/2014, è tempestiva.

8. L’esame del ricorso principale fa emergere la fondatezza del terzo motivo, con rilievo assorbente rispetto alle altre censure formulate. La Corte territoriale, infatti, ha errato nell’interpretazione dell’art. 54, comma 6, lett. a) del CCNL, nonchè del principio dell’immutabilità della contestazione disciplinare. Il rilevo in forza del quale “non vi sono prove della sottrazione o dell’appropriazione delle somme da parte della lavoratrice, ma solo di un ammanco di cassa riferibile ad una procedura anomala e contraria alle direttive aziendali” (si veda la sentenza non definitiva oggetto d’impugnazione), non è concludente in relazione al complessivo tenore della richiamata disposizione contrattuale, la quale fa riferimento non solo alle condotte di sottrazione e appropriazione, ma anche a quelle di “illecito uso” e “connivente tolleranza di abusi commessi da dipendenti o da terzi”. Ne consegue che i fatti contestati ben possono ricondursi alle summenzionate ipotesi, pure rientranti nella previsione collettiva oggetto di contestazione, mentre l’evidenziata divergenza tra contestazione disciplinare e condotta sanzionata è solo apparente. Ciò che rileva, infatti, ai fini del riscontro della corrispondenza tra contestazione e censura, anche in funzione del corretto esercizio del diritto di difesa, è l’identità dei fatti (nel caso in esame sostanzialmente ammessi e comunque risultanti dalla relazione ispettiva, come indicato in sentenza) e non la sussunzione dei medesimi nell’una o nell’altra delle ipotesi contemplate dalla contrattazione collettiva (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 6499 del 22/03/2011, Rv. 616419). Al contempo, in punto di valutazione in ordine alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, va rilevato che non vale a sminuire la condotta addebitata alla C. la circostanza che della irregolare procedura comportante l’ammanco di cassa fossero al corrente altre due dipendenti, destinatarie esclusivamente di sanzioni conservative, risultando pacifico in atti che la predetta “è stata individuata dalla relazione ispettiva come colei che gestiva in via pressochè esclusiva la contabilità relativa a questo servizio” (pg. 13 della sentenza) e tale circostanza deve essere presa in considerazione ai fini della valutazione della lesione dell’elemento fiduciario.

9. Conseguentemente, ai fini di una nuova valutazione riguardo la sussistenza dei presupposti del licenziamento, alla luce dei principi enunciati, vanno cassate entrambe le sentenze impugnate, in ragione della loro stretta connessione, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

10. In ordine ai motivi del ricorso incidentale, si deve affermare l’inammissibilità per difetto d’interesse, trattandosi di questioni ritenute assorbite dal giudice del merito, rispetto alle quali non è ravvisabile soccombenza (si veda Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3796 del 15/02/2008 (Rv. 602188): “Nel giudizio di cassazione, è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste assorbite, avendo il giudice di merito attinto la “ratio decidendi” da altre questioni di carattere decisivo, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio”).

PQM

la Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa le sentenze impugnate e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2016

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