Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17093 del 08/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 08/08/2011, (ud. 21/06/2011, dep. 08/08/2011), n.17093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

KONE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 6, presso lo

studio dell’avvocato MIANI Giuseppe, rappresentata e difesa

dall’avvocato CONTE FABRIZIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 94, presso lo studio dell’avvocato MORRA MARCO,

rappresentato e difeso dall’avvocato BENIFEI ALBERTO, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 512/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 22/07/2008, r.g.n. 481/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato CONTE FABRIZIO;

udito l’Avvocato BONIFEI ALBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza non definitiva n. 70 dell’8 febbraio 2008 la Corte d’appello di Genova, riformando la sentenza del Tribunale di Genova n. 2199 del 6 dicembre 2006, dichiara l’illegittimità del licenziamento intimato a P.M. dalla KONE s.p.a. e condanna la datrice di lavoro alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro nonchè al risarcimento del danno con gli accessori di legge (detratto quanto eventualmente percepito aliunde e da determinare) e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dalla data del licenziamento a quella della reintegra.

Con sentenza definitiva n. 512 del 22 luglio 2008 la stessa Corte d’appello determina l’aliunde perceptum e condanna il lavoratore a restituire alla datrice di lavoro la somma corrispostagli a titolo di TFR, con gli accessori di legge.

Nelle suddette sentenze la Corte genovese, per quel che qui interessa, afferma che:

a) le dichiarazione testimoniale di R.C. permette di limitare notevolmente la portata dei fatti contestati;

b) in particolare, la teste ha precisato che il P. non ha mai usato, nei suoi confronti, “espressioni volgari o pesanti”, che non è stata spaventata dall’accaduto ma solo infastidita e “stressata” e, infine, che ha avuto effettivamente paura solo la sera sentendo al telegiornale alcune notizie relative al c.d. “mostro dell’ascensore” (aggressore di ragazzine all’interno di ascensori che operava a (OMISSIS), mentre i fatti di cui si tratta si sono svolti in provincia di (OMISSIS));

c) d’altra parte, dalla ricostruzione dei fatti non è emersa una particolare intensità della condotta molestatrice dell’ascensorista, nè la determinazione al raggiungimento di uno specifico scopo;

d) quanto all’ingresso nell’abitazione, è stato acclarato che il tecnico si è introdotto nell’appartamento della R. dopo che questa aveva lasciato la porta di casa socchiusa, non sono emersi elementi ostativi alla presunzione che il P. sia comunque rimasto nella zona adiacente l’ingresso ed è anche stato accertato che egli è uscito volontariamente dall’abitazione per rispondere al cellulare di servizio;

e) sicuramente il P., nella breve conversazione avuta con la R., ha chiesto alla ragazza il numero di telefono, ma ciò è avvenuto una sola volta e a fronte del diniego dell1 interlocutrice la richiesta è stata subito indirizzata al numero telefonico di un’amica della stessa;

1) è anche pacifico che, dopo la chiusura a chiave della porta dell’appartamento effettuata dalla R. subito dopo l’uscita del P., questi abbia nuovamente e reiteratamele suonato il campanello dell’abitazione, sicchè la ragazza sentendosi infastidita e stressata, si è avvicinata al balcone per accertarsi della presenza di vicini di casa, per sentirsi più tranquilla;

g) dall’insieme dei suddetti elementi si desume che in definitiva il tecnico ha posto in essere una condotta sicuramente invadente e poco educata, ma che ha cagionato nella ragazza solo fastidio e stress, ma non timore visto che questo stato d’animo è subentrato soltanto la sera durante l’ascolto al telegiornale di notizie di cronaca, peraltro riguardanti fatti verificatisi in luoghi diversi rispetto a quelli in cui si è svolta l’attuale vicenda;

h) in sintesi deve rilevarsi che i fatti oggetto di contestazione non sono stati tutti provati e che l’interpretazione di quanto risulta realmente accaduto porta ad un forte ridimensionamento della condotta del lavoratore e quindi ad una valutazione della sua gravità diversa da quella operata dalla KONE;

i) da un lato non sussistono gli estremi per l’applicazione delle ipotesi previste dall’art. 25 c.c.n.l. dei metalmeccanici per il recesso per giusta causa: non il “grave nocumento morale o materiale” per l’azienda e neppure la commissione di azioni delittuose commesse nell’esercizio dell’attività lavorativa;

1) a tale ultimo riguardo, va precisato che i delitti ipotizzagli sono la violazione di domicilio (art. 614 cod. pen.) e l’ingiuria (art. 594 cod. pen.), entrambi punibili a querela di parte che non è stata sporta;

m) peraltro non sembrano sussistere i relativi elementi costitutivi e comunque piuttosto dell’ingiuria potrebbe eventualmente ipotizzarsi il reato di molestie, di cui all’art. 660 cod. pen., che, però, non è un delitto (come previsto dalla suddetta norma contrattuale) ma una contravvenzione;

n) neppure si ravvisa la sussistenza degli elementi della giusta causa, di cui all’art. 2119 cod. civ., con riferimento ai fatti realmente accaduti come riferiti in giudizio dalla R., che si sono rivelati di gravità molto inferiore rispetto a quelli contestati dalla KONE sulla sola base delle dichiarazioni dell’amministratore del condominio ove abitava la ragazza, non avvalorate da una relazione scritta della ragazza stessa;

o) non ricorre neanche l’ipotesi del giustificato motivo soggettivo non potendo la condotta del P. essere qualificata come inadempimento notevole degli obblighi contrattuali, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3: non vi è stata lesione del vincolo fiduciario nè irreparabile frattura sul giudizio di affidabilità futura del lavoratore;

p) a tale ultimo riguardo è da sottolineare che per evitare nuovi, eventuali, episodi analoghi a quello di cui si tratta sarebbe stato sufficiente adibire il P. ad attività di squadra o a mansioni diverse dalla manutenzione di ascensori in palazzi destinati ad uso abitativo.

2.- Il ricorso della KONE s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi; resiste con controricorso P.M..

La ricorrente deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi dei motivi del ricorso.

1. Con il primo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 cod. civ., nonchè della L. 17 luglio 1966, n. 604, artt. 1 e 3.

Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato le suindicate disposizioni perchè, nella valutazione della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di recesso, non si sarebbe adeguata agli standard comuni relativi alle violazioni di diritti fondamentali della persona poste in essere dal dipendente nell’esercizio della prestazione lavorativa.

In particolare si sottolinea che un comportamento, considerato tale da integrare il reato di cui all’art. 660 cod. pen. e pertanto sicuramente lesivo della riservatezza personale e domiciliare della R. garantite dagli artt. 2 e 14 Cost., non avrebbe potuto non essere valutato come idoneo a legittimare il licenziamento sol perchè lo si è considerato produttivo nella destinataria esclusivamente di “fastidio” e “stress”, anzichè di “spavento” o “timore”.

In altri termini, la” accertata commissione di una molestia in ambito domiciliare nei confronti.

4- di una giovane da parte dell’ascensorista (la cui prestazione lavorativa, come tale, non è sottoposta al continuo controllo del datore di lavoro) è un fatto di per sè lesivo delle regole elementari e primarie del vivere comune, senza che abbia alcuna rilevanza lo stato d’animo prodotto nella vittima.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ai punti decisivi della controversia attinenti la valutazione soggettiva e oggettiva delle mancanze contestate al sig. P. risultate accertate.

Si sostiene che la Corte genovese, per giungere ad escludere che il comportamento dell’ascensorista sia stato idoneo ad incidere irreparabilmente sul rapporto fiduciario con il datore di lavoro, abbia ricostruito male la vicenda, attribuendo rilevo centrale allo stato d’animo provocato nella ragazza (aspetto, invece, del tutto irrilevante e, peraltro, mal analizzato) e pretermettendo di valutare altri elementi fortemente indicativi dell’atteggiamento del P. e risultati provati, quale l’introduzione nell’appartamento della R. contro la volontà da questa manifestata al momento in cui ha lasciato la porta dell’appartamento socchiusa, l’uscita spontanea dallo stesso appartamento esclusivamente determinata dalla ricezione di una telefonata di lavoro nonchè l’atteggiamento insistente del P. sia al momento della richiesta dei numero telefonico della ragazza sia successivamente con il reiterato suono del campanello dell’abitazione della stessa.

3.- Con il terzo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. nonchè degli artt. 112, 324, 342 e 346 cod. proc. civ. Si sostiene che il Giudice d’appello non avrebbe potuto riesaminare la questione della reiterabilità del comportamento da parte del P. in quanto su di essa si era formato il giudicato interno.

Il Tribunale di Genova ha ritenuto che uno degli elementi da cui evincere la lesione del vincolo fiduciario sia rappresentato dalle particolari mansioni svolte dal lavoratore e dalla impossibilità obicttiva per la KONE di effettuare un controllo sulla correttezza del dipendente chiamato ad operare al di fuori della sede aziendale, da solo e sempre a contatto con privati.

La Corte genovese, pur non essendo stata tale determinante statuizione impugnata in appello, ugualmente si è espressa sull’affidabilità futura del lavoratore, indicando anche le modalità attraverso le quali evitare il reiterarsi di episodi di analogo tenore.

4.- Con il quarto motivo di ricorso si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in riferimento all’accertamento dell’esclusione del reato di violazione di domicilio di cui all’art. 614 cod. pen. e in merito alla necessità della querela di parte per la relativa rilevanza ai fini disciplinari.

Si sostiene che il P. avrebbe commesso il reato di violazione di domicilio per il solo fatto di essersi introdotto nell’appartamento della R. aprendo la porta che la ragazza aveva lasciato socchiusa (così manifestando di non volere che l’ascensorista entrasse).

Ai fini dell’applicazione dell’art. 25 del c.c.n.l. metalmeccanici in materia di licenziamento senza preavviso, ciò deve considerarsi sufficiente perchè, ai fini disciplinari, possa considerarsi ricorrere un delitto, senza che assuma alcun rilievo che la relativa perseguibilità avvenga d’ufficio o a querela di parte.

Pertanto, si contesta la motivazione della sentenza sul punto.

5.- Con il quinto motivo di ricorso si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a un fatto decisivo ai fini della controversia, concernente la lesione del vincolo fiduciario e la ritenuta insussistenza di un giustificato motivo soggettivo di recesso.

Si rileva che anche con riguardo all’esclusione del giustificato motivo soggettivo di licenziamento la motivazione della sentenza impugnata è superficiale e illogica.

La Corte d’appello, infatti, dopo aver ritenuto il comportamento del P. corrispondente al reato di molestie (di cui all’art. 660 cod. pen.) non ha spiegato in modo esauriente la ragione per cui esso non possa corrispondere almeno a un “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali”, tale da ledere il vincolo fiduciario, tanto più che per quel che riguarda il pericolo di reiterabilità, la Corte ha prefigurato modifiche organizzative che, oltre ad essere riservate a valutazioni di pertinenza esclusiva del datore di lavoro, erano del tutto estranee al thema decidendum.

2 – Esame dei primi Quattro motivi del ricorso.

6.- I primi quattro motivi del ricorso – da trattare congiuntamente, data la loro intima connessione – non sono fondati.

Nonostante, il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione del primo e del terzo motivo tutte e quattro le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.

Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diverse da quella accolta dal giudice di merito (vedi, tra le tante Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731 ; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logico – argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.

In particolare, non vale ad escludere la plausibilità della motivazione il fatto che la Corte d’appello, pur avendo considerato ipotizzabile la eventuale e astratta configurabilità, nel comportamento tenuto dal P., degli elementi costitutivi del reato contravvenzionale di molestie, abbia tuttavia ritenuto non sussistenti in concreto gli estremi della giusta causa del recesso.

Infatti, a tale conclusione – che, peraltro, si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato la Corte d’appello è pervenuta attraverso un’attenta valutazione da un lato della gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro della proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, escludendo che la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia stata in concreto tale da giustificare la massima sanzione disciplinare, in conformità con il costante orientamento di questa Corte in materia (vedi, per tutte: Cass. 3 gennaio 2001, n. 35), di cui costituisce corollario il principio dell’autonomia della valutazione disciplinare di un fatto rispetto a quella penalistica (tanto più se, come nella specie, solo ipotizzata).

Tanto più che è jus receptum che, ai suddetti fini, la valutazione della “non scarsa importanza” dell’inadempimento deve essere effettuata in senso accentuativo a tutela del lavoratore, rispetto alla regola generale di cui all’art. 1455 cod. civ. (vedi, per tutte:

Cass. 22 marzo 2010, n. 6848; Cass. 24 luglio 2006, n. 16864).

Nè va omesso di considerare che la Corte d’appello, nell’iter motivazionale, ha altresì evidenziato che le risultanze processuali hanno permesso di accertare la forte sproporzione, per eccesso, dei fatti contestati da parte della KONE rispetto a quelli realmente accaduti.

A fronte di questa situazione, le doglianze mosse dalla ricorrente si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal Giudice di merito in senso contrario alle aspettative della medesima ricorrente e si traducono nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità.

3 – Esame del quinto motivo del ricorso.

7.- Il quinto motivo è, invece, fondato.

Anche in tema di licenziamento per giustificato motivo soggettivo spetta unicamente al giudice del merito l’accertamento che i fatti addebitati al lavoratore rivestano il carattere di grave negazione degli elementi fondamentali del rapporto ed in specie di quello fiduciario e siano tali da meritare il recesso con preavviso (vedi, per tutte: Cass. 11 ottobre 2005, n. 19742; Cass. 26 settembre 1995, n. 10187).

Peraltro, così come avviene per la nozione di “giusta causa”, anche per quella di “giustificato motivo soggettivo”la normativa di base ha carattere “elastico” e deve essere integrata attraverso un giudizio di valore espresso dal giudice.

Pure in questo caso la suddetta valutazione, può essere sindacata in sede di legittimità solo in riferimento alla presenza di una motivazione congrua ed immune da vizi ma resta salva la spettanza alla Corte di cassazione, nell’ambito della funzione nomofilattica affidatale dall’ordinamento, di valutare la conformità del giudizio di valore espresso dal giudice del merito per la funzione integrativa che esso ha delle regole giuridiche.

Orbene, la motivazione sul punto della sentenza impugnata – e la correlata nozione di giustificato motivo soggettivo adottata non appaiono plausibili perchè fondate sull’assunto secondo cui l’irreparabile lesione sul giudizio di affidabilità futura derivante dalla condotta posta in essere dal P. dovrebbe considerarsi insussistente perchè sarebbe stato sufficiente adibire il P. ad attività di squadra ovvero a mansioni diverse dalla manutenzione di ascensori presso palazzi destinati ad uso abitativo, per evitare nuovi, eventuali, episodi dello stesso tenore.

E’ del tutto evidente che la suddetta affermazione, effettuata senza dare conto del procedimento logico su cui si basa, oltre a collidere con nozioni di comune esperienza evincibili dall’osservazione dei fenomeni socio – economici – di cui il giudice è tenuto ad avvalersi, come regola di giudizio destinata a governare sia la valutazione delle prove, che l’argomentazione di tipo presuntivo (vedi, per tutte: Cass. 28 ottobre 2010, n. 22022) – si pone in contrasto con i principi costituzionali da cui si desume che l’assetto organizzativo dell’impresa è, di regola, insindacabilmente stabilito dal datore dì lavoro e che il giudice non può imporre all’imprenditore modifiche delle proprie scelte organizzative (arg.

ex Cass. 7 marzo 2005, n. 4827; Cass. 28 ottobre 2008, n. 25883).

4. – Conclusioni.

8 – In sintesi, va accolto il quinto motivo del ricorso e vanno rigettati gli altri quattro motivi.

La sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Torino, che si uniformerà al seguente principio di diritto:

In tema di licenziamento per giustificato motivo soggettivo – nell’esprimere il giudizio di valore necessario per integrare la norma elastica (che, per sua natura, si limita ad indicare un parametro generale) da cui si desume la suddetta nozione – il giudice del merito compie un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma stessa, per cui da concretezza a quella parte mobile di essa che il legislatore ha voluto tale per adeguarla ad un determinato contesto storico-sociale (non diversamente da quando un determinato comportamento viene giudicato conforme o meno a buona fede allorchè la legge richieda tale elemento). Pertanto, il suindicato giudizio di valore deve essere effettuato dando conto del procedimento logico su cui si basa, nel rispetto delle nozioni di comune esperienza evincibili dall’osservazione dei fenomeni socioeconomici e con l’osservanza dei principi generali dell’ordinamento. Ne consegue che il giudizio sulla futura affidabilità del lavoratore licenziato non può essere espresso dal giudice violando i principi costituzionali da cui si desume che l’assetto organizzativo dell’impresa è, di regola, insindacabilmente stabilito dal datore di lavoro e che il giudice non può imporre all’imprenditore modifiche delle proprie scelte organizzative.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta gli altri.

Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Torino.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2011

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