Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17091 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/07/2010, (ud. 08/06/2010, dep. 21/07/2010), n.17091

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI

SCIALOIA 3, presso lo studio dell’avvocato PERLINI ITALICO, che la

rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE 104,

presso la signora DE ANGELIS ANTONIA, rappresentato e difeso dagli

avvocati CANTORE GERARDO MARIA, MARESCALCO FRANCESCO, giusta delega a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3708/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/12/2005 R.G.N. 6827/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato CANTORE GERARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 21/10/94, M.D. esponeva di aver prestato attività di lavoro subordinato alle dipendenze di P.L., agente della sub-agenzia di Assicurazioni INA Assitalia, sita in (OMISSIS), dal (OMISSIS), osservando l’orario di lavoro (OMISSIS) dal lunedì al venerdì e (OMISSIS) il sabato, senza essere regolarizzata.

Aggiungeva di aver svolto mansioni di segretaria addetta ai lavori di ufficio, incasso polizze dei clienti, trascrizioni incassi su registri, incassi direttamente presso i clienti, versamenti presso la Banca e versamenti e inoltro raccomandate alla Posta, mansioni tutte rientranti nel 2^ livello del CCNL Assicurazioni.

Sogiungeva di aver sottoscritto in data (OMISSIS) un accordo di collaborazione con l’agente Assitalia sig. C. per la stipulazione di polizze, senza mai stipulare, continuando comunque a lavorare per il convenuto, percependo, per tutto il periodo, la complessiva somma di L. 7.200,00, anzichè quella di L. 22.491.355, oltre accessori, sulla base del CCNL e dell’art. 36 Cost..

Il convenuto si costituiva chiedendo il rigetto della domanda.

In particolare, deduceva l’inesistenza di qualsiasi rapporto di lavoro subordinato con la ricorrente, che aveva avuto solamente un rapporto di subagenzia con l’agente Assitalia, C.M., dello stesso tenore del proprio.

Sentite le parti, acquisita la documentazione prodotta, ed escussi i testi, si espletava una ctu contabile, a seguito della quale la domanda veniva accolla con la condanna del P. al pagamento della somma di L. 20.104,675, oltre rivalutazione monetaria e interessi.

Avverso tale decisione proponeva appello il P., insistendo nel sostenere l’inesistenza del dedotto rapporto di lavoro subordinato.

M.D. si costituiva, chiedendo il rigetto del gravante.

Con sentenza del 5 maggio-12 dicembre 2005, l’adita Corte di Appello di Roma, rilevato che dalla espletata istruttoria non emergeva che tra le parti fosse intervenuto un rapporto lavorativo, tanto meno poi di lavoro subordinalo, in accoglimento dell’impugnazione, respingeva la domanda della M..

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre quest’ultima con un unico articolato motivo.

Resiste il P. con controricorso, depositando anche memoria ex art. 178 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico mezzo d’impugnazione, la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e ss. c.c. e art. 2729 c.c., in relazione agli artt. 113 e 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamenta che la Corte di Appello di Roma abbia erroneamente sovvertito la pronuncia del Giudice di primo grado senza tenere in alcun conto la definizione di rapporto di lavoro subordinato, come delineata dall’art. 2094 c.c., da cui è dato desumerne gli elementi distintivi e caratterizzanti nonchè i criteri di accertamento.

Il motivo e infondato.

Come noto e come correttamente ha evidenziato la stessa difesa della ricorrente, secondo i parametri normativi desumibili dall’art. 2094 c.c., il discrimen tra lavoro subordinino e lavoro autonomo è dato dall’assoggettamento gerarchico del lavoratore al potere direttivo, di vigilanza e controllo, oltre che disciplinare, del datore di lavoro, con conseguente limitazione della autonomia del lavoratore, l’inserimento nell’organizzazione aziendale.

Accanto a questi elementi, se ne pongono altri, aventi natura sussidiaria rispetto a quelli appena enunciati.

tali elementi sussidiari sono: la collaborazione, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario determinato, il versamento a cadenze ed a misura fissa di una retribuzione prestabilita, il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, l’assenza in capo al lavoratore di una struttura imprenditoriale.

Pertanto, detti elementi sussidiari possono costituire oggetto dell’indagine volta all’accertamento della natura del rapporto, ne senso che attraverso di essi e soltanto essi (pertanto, in via sussidiaria), il Giudicante è in grado di poter stabilire, accertandone e valutandone la ricorrenza in concreto, se ci si trovi di fronte ad un rapporto di lavoro subordinato (ex plurimis, Cass. S.U. n. 379 del 30 giugno 1999, Cass. n. 11182/00; Cass. n. 2970/01).

Devesi, in proposito, ancora rammentare, costituendo specifico motivo di gravame, unitamente a quello ricondotto al vizio di violazione di legge, che la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per Cassazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (v. per tutte, Cass. S.U. n. 13045/97) dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottale, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere dalle parti.

Nella specie, la Corte d’appello ha ritenuto non dimostrata la contestata natura subordinata del rapporto di lavoro e contraddittorie le risultanze delle prove testimoniali, anche alla luce delle dichiarazioni rese dalla stessa ricorrente in sede di libero interrogatorio.

Essa ha inoltre evidenziato che talune modalità operative e talune specifiche circostanze, quali ad esempio – la facoltà accordata alla ricorrente di prelevare il proprio compenso direttamente dalla cassa, ed il fatto che essa stessa aveva restituito le chiavi al C. – con cui aveva sottoscritto in data 1.3.1992 un accordo di collaborazione – e non al P., oltre alla possibilità negoziale di procedere alla stipula di taluni contralti su mandato dello stesso agente principale, fossero di per sè già idonee ad escludere il carattere della subordinazione ed incompatibili con la stessa.

Orbene, la critica della ricorrente si appunta sulla circostanza che tale motivazione sarebbe inadeguata ad escludere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato; ma così argomentando non si avvede che, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere di provare il rapporto grava su chi fonda su di esso le proprie pretese, nella specie la M., e che la Corte territoriale è pervenuta al rigetto della domanda proprio perchè “la contestata natura subordinata del rapporto di lavoro non è stata dimostrata”. Pertanto, anche a volere ritenere di dubbia valenza, ai fini della esclusione della subordinazione, circostanze come, quanto al compenso, quella consistente nella possibilità della M. “di suo diretto prelievo dalla cassa”, cui erge dalla sentenza, sulla base di valutazione delle prove rimesse al giudice di merito, l’assenza di elementi significativi volti a dimostrare l’esistenza de contestalo rapporto di lavoro subordinato.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

L’alterno esito dei giudizi di merito, comprovami l’obiettiva difficoltà dell’apprezzamento dei fatti, giustifica la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

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