Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17090 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. II, 16/06/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 16/06/2021), n.17090

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25540/2019 proposto da:

A.O., elettivamente domiciliato in Oria (BR) Vico Torre S.

Susanna n. 18, presso lo studio dell’avv.to ANTONIO ALMIENTO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE

LECCE;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 19/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/02/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Lecce, con decreto pubblicato il 19 giugno 2019, respingeva il ricorso proposto da A.O., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale riteneva non necessario procedere all’audizione del richiedente formulata senza indicare alcuno specifico aspetto meritevole di essere chiarito mediante l’ascolto diretto rispetto a quanto dichiarato dinanzi la commissione territoriale.

3. Il richiedente aveva riferito di essere stato costretto ad espatriare per essere stato coinvolto con l’inganno da un gruppo criminale nella preparazione di una rapina alla quale il gruppo voleva costringerlo a parteciparvi per ringraziarlo di aver aiutato un amico in passato. Egli all’inizio aveva opposto un timido rifiuto ma era stato minacciato poi era riuscito a scappare da una finestra in un posto abbandonato dove si trovava insieme al gruppo criminale ed era stato poi chiamato da uno di loro che aveva minacciato di ucciderlo o di denunciarlo alla polizia. A quel punto egli era rifugiato a Lagos presso un amico ma poi aveva incontrato un uomo che gli aveva proposto di scappare in Libia e durante il viaggio nel deserto sua moglie incinta era morta. In caso di rimpatrio temeva di essere ucciso.

Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato in quanto i fatti narrati dal richiedente non erano credibili e in ogni caso non potevano essere ricondotti a persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale. Il Tribunale rigettava anche la domanda di protezione sussidiaria atteso che oltre alla non credibilità del racconto non emergevano elementi tali da far ritenere sussistenti le esigenze di protezione di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Quanto alla protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), doveva evidenziarsi che mancavano i presupposti connessi alla situazione di conflitto o instabilità interna e, in ogni caso, la situazione generale del paese non era caratterizzata da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato come risultante dalle fonti internazionali.

Con riferimento alla protezione umanitaria il Tribunale evidenziava che doveva confermarsi l’insussistenza di una condizione di vulnerabilità tenuto conto della mancanza di integrazione e della situazione soggettiva del ricorrente non caratterizzata neppure da idonee risorse economiche. Con riferimento alla diffusione della febbre di Lassa in Nigeria non poteva affermarsi una condizione di vulnerabilità, essendosi ben organizzato il sistema sanitario nigeriano per contrastare e limitare i contagi.

3. A.O. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di sei motivi di ricorso e con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito per il suo accoglimento.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di una norma giuridica sostanziale e processuale e per carenza radicale di motivazione.

La motivazione del Tribunale di Lecce sarebbe meramente apparente e non idonea a comprendere le ragioni della condivisione dell’originario provvedimento di diniego. Anche la valutazione negativa circa la credibilità del ricorrente si fonderebbe su una motivazione meramente apparente priva di riferimenti idonee a comprendere le ragioni del rigetto del ricorso.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: nullità del decreto del procedimento per violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per omesso esame del ricorrente.

La censura attiene alla mancata audizione del ricorrente nonostante il colloquio con la commissione territoriale non sia stato video registrato e nonostante il racconto non sia stato ritenuto credibile.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: nullità del decreto e del procedimento per violazione del potere-dovere officioso del giudice di acquisire informazioni e documenti rilevanti, in base al diritto vivente, al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, alla direttiva 2004/83/CE, nonchè per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili. Omessa e insufficiente valutazione della situazione epidemica.

Il Tribunale pur dando conto espressamente delle gravi condizioni di pericolo esistenti in Nigeria le ha ritenute irrilevanti omettendo di esercitare il potere dovere ufficioso esistente in materia, anche in relazione all’epidemia di febbre di Lassa. Il Tribunale di Lecce avrebbe dovuto assumere ogni informazione o documento necessario e invece nel provvedimento impugnato si riscontrano palesi contraddizioni. Il ricorrente cita alcuni documenti dove si descrive la diffusione dell’epidemia per la febbre di Lassa, dati minimizzati dal tribunale di Lecce.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni sociopolitiche del paese di origine).

La censura attiene alla omessa valutazione da parte del Tribunale del fatto che il pericolo di danno può derivare anche da soggetti diversi dallo Stato ogniqualvolta le autorità non possono non vogliono fornire adeguata tutela. Il Tribunale pur riconoscendo i rischi attuali esistenti in Nigeria non ha riconosciuto la protezione. La situazione del paese sarebbe tale per cui al di là di ogni valutazione individuale doveva essere riconosciuto la protezione sussidiaria.

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, L. n. 110 del 2017, art. 10 Cost. e art. 3 CEDU. Il Tribunale avrebbe errato nel non applicare al ricorrente la protezione non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero quando ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè essendo vietata l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese di origine o che ivi possa correre dei gravi rischi.

La censura attiene al rigetto della domanda di protezione umanitaria erroneamente ancorata agli stessi presupposti per negare la maggior tutela della protezione sussidiaria. Nella specie non sarebbe stata valutata la vulnerabilità del ricorrente, essendosi il Tribunale di Lecce limitato ad escludere la mancanza di apposita allegazione di parte.

6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 8 della CEDU, violazione di legge e omesso esame circa un fatto decisivo, mancata valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il ricorrente cita una serie di fonti nazionali ed internazionali dalle quali deduce che la protezione umanitaria rappresenta un livello di tutela sussidiaria residuale che deve essere riconosciuta al richiedente. L’integrazione nel tessuto sociale professionale italiano non è certamente un presupposto indispensabile per il riconoscimento della protezione umanitaria, essendo sempre necessario in un’ottica comparativa verificare la condizione oggettiva del paese di origine in correlazione con la situazione attuale del ricorrente. Nella sentenza impugnata il Tribunale non ha verificato se la situazione del richiedente integri almeno i seri motivi ai fini del rilascio della protezione umanitaria.

7. I sei motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

Preliminarmente deve dichiararsi inammissibile la censura di cui al secondo motivo relativa alla mancata audizione del richiedente.

Nel giudizio d’impugnazione innanzi all’autorità giudiziaria della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia stata garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni davanti alla Commissione territoriale e solo se necessario innanzi al Tribunale.

Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Sez. 1, Sent. n. 5973 del 2019). Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, si limita a prevedere che nel caso di mancata acquisizione della videoregistrazione dell’audizione in sede amministrativa, il giudice deve fissare, come in concreto è avvenuto, l’udienza.

Di recente questa Corte ha precisato che è, in ogni caso, escluso che il giudice debba disporre una nuova audizione del richiedente (salvo che lo stesso giudice non lo ritenga necessario) allorquando tale eventuale richiesta sia stata formulata in termini generici. La valutazione in ordine alla natura circostanziata o solo generica dell’istanza di audizione del richiedente, eventualmente contenuta nel ricorso, è demandata in via esclusiva al giudice di merito, la cui motivazione deve essere strettamente correlata alla specificità dell’istanza ed è sindacabile in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato alla luce dei parametri della sentenza delle SS.UU n. 8053/2014 (Sez. 1, Sent. n. 21584 del 2020).

Il Tribunale nella specie ha motivato le ragioni per le quali ha ritenuto non necessario procedere all’audizione. In particolare, ha ritenuto che la richiesta fosse formulata in modo solo generico e senza l’indicazione di specifiche circostanze di fatto modificative o aggiuntive rispetto a quanto rappresentato dinanzi alla commissione territoriale e il ricorrente non indica quali fatti nuovi allegati al ricorso rendevano necessario l’ascolto del ricorrente sicchè la censura è inammissibile.

7.1 Venendo all’esame dei restanti motivi, deve ribadirsi che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 2019).

Il Tribunale ha fatto esplicito riferimento a fonti qualificate dalle quali ha tratto la convinzione che la Nigeria non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito e anche non idonea, quanto ai restanti fatti rappresentati (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che, in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile (Cass. n. 14283/2.019).

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che, in tal caso, non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, anche in questo caso il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. Inoltre, il Tribunale ha escluso che il diffondersi della febbre di Lassa possa costituire una condizione oggettiva di vulnerabilità, tenuto conto di quanto emergeva dalle fonti qualificate e all’organizzazione messa in campo dal sistema sanitario nigeriano.

All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

8. In conclusione il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

 

 

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