Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17090 del 08/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 08/08/2011, (ud. 21/06/2011, dep. 08/08/2011), n.17090

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9278/2008 proposto da:

A.P., S.R., M.G., G.

G., I.F., F.N., C.A.,

N.G., S.A., P.F., S.

P., R.P., D.D., M.I.,

P.M., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

GERMANICO 96, presso lo studio dell’avvocato DI PAOLO LUCA,

rappresentati e difesi dagli avvocati MIANI LERIO CAMILLO, FRASCA

FRANCESCO SAVERIO, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

E.T.P. ESPOSITO TRASPORTI PUBBLICI S.P.A.;

– intimata –

e sul ricorso 12384/2008 proposto da:

E.T.P. ESPOSITO TRASPORTI PUBBLICI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

AJACCIO 14, presso lo studio dell’avvocato COLAVINCENZO ANTONIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MAIONE AGOSTINO, giusta delega

in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

R.P., P.M., M.G., S.

A., S.R., F.N., S.P.,

I.F., P.F., N.G., D.

D., G.G., M.I., C.A.,

A.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1871/2007 del TRIBUNALE di NOLA, depositata il

26/07/2007 R.G.N. 598/98 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato FERRETTI ANNA MARIA per delega FRASCA FRANCESCO

SAVERIO;

Udito l’Avvocato MAIONE AGOSTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e incidentale, assorbito il ricorso incidentale

condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata, pronunciando sugli appelli (principale e incidentale) proposti avverso la sentenza del Pretore di Sant’Anastasia in data 9 giugno 1998, per quel che qui interessa:

1) dichiara l’inammissibilità dell’appello proposto da F. N. perchè questi non risulta tra i soggetti nei cui confronti la sentenza pretorile è stata pronunciata (non essendo in essa incluso tra i ricorrenti);

2) rigetta l’appello proposto da P.M., D. D. e S.R. avverso la suindicata sentenza pretorile e ne conferma la statuizione di decadenza dall’impugnazione per mancanza di prova in merito al rispetto del termine decadenziale di sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento per la relativa contestazione, previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 5, comma 3;

3) accoglie l’appello incidentale proposto dalla ETP s.p.a. nei confronti di S.P., M.I., R. P., C.A., G.G., I.F., M.G., N.G., S.A., A. P. e, per l’effetto, dichiara la nullità della sentenza pretorile per ultrapetizione e rigetta la domanda proposta dai lavoratori con il ricorso introduttivo del giudizio;

4) conferma la sentenza pretorile nella parte relativa al rigetto della domanda di P.F., in quanto l’assunto secondo cui il lavoratore era stato licenziato dalla ETP prima del licenziamento attualmente impugnato trova conferma nell’assenza della relativa comunicazione al P. e nella lettera di licenziamento inviatagli in precedenza e prodotta in atti.

Il Tribunale di Nola precisa che:

a) in base al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità si deve considerare pacifica l’applicabilità della procedura di licenziamento collettivo di cui alla L. n. 223 del 1991, anche al rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri;

b) infatti, la suddetta giurisprudenza, sulla base anche della sentenza della Corte costituzionale n. 190 del 2000, ha espressamente escluso l’incompatibilità del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 26, allegato A, (che disciplina l’esonero dei dipendenti di aziende autoferrotranviarie in caso di riduzione dei posti per motivi aziendali) con la normativa che prevede le garanzie procedurali da applicare in caso di licenziamento collettivo;

c) la sentenza pretorile, nella parte relativa alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento collettivo in oggetto per mancato rispetto della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, deve ritenersi viziata da ultrapetizione, come sostenuto nell’appello incidentale della ETP;

d) nel ricorso introduttivo, infatti, non è stata dedotta l’esistenza di un vizio della suddetta procedura, ma al contrario si è sostenuto che avrebbe dovuto essere applicata una diversa disciplina speciale;

e) sicchè la suddetta pronuncia si pone in contrasto con l’art. 112 c.p.c., senza che possa valere in contrario la circostanza che i ricorrenti in via subordinata hanno domandato genericamente la dichiarazione di illegittimità del licenziamento per qualsiasi altra ipotesi residuale;

f) è noto, infatti, che il lavoratore che impugna un licenziamento collettivo deve indicare specificamente il motivo per il quale lo ritiene illegittimo ed è impedito al giudice di rilevare l’illegittimità per un motivo diverso da quello indicato dal ricorrente.

2 – Il ricorso di Pasquale Sodano e degli altri quattordici lavoratori indicati in epigrafe domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi; resiste, con controricorso, la ETP – Esposito Trasporti Pubblici s.p.a., che propone, a sua volta, ricorso incidentale autonomo per due motivi e ricorso incidentale condizionato per un unico motivo.

I ricorrenti depositano anche memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I – Profili preliminari e schema 1. – I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Il ricorso principale merita accoglimento per il secondo e il quinto motivo, mentre ne vanno rigettati gli altri motivi. Va altresì respinto il ricorso incidentale autonomo e va dichiarato assorbito il ricorso incidentale condizionato. La cassazione è con rinvio.

Per chiarezza espositiva si effettuerà dapprima la sintesi descrittiva dei motivi del ricorso principale e di quelli incidentali, quindi si procederà al relativo esame.

Il – Sintesi dei motivi del ricorso principale.

1 – Con il primo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia violazione e falsa applicazione del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 26, allegato A, nonchè della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 5, comma 3.

Si contesta l’assunto del Tribunale di Nola secondo cui, nella specie, sarebbe applicabile la L. n. 223 del 1991, e il relativo termine di decadenza per l’impugnazione del licenziamento, anzichè il R.D. n. 148 del 1931, art. 26allegato A. Si sostiene che tale tesi sarebbe in contrasto con quanto disposto dalla L. n. 236 del 1993 (recte: del D.L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 luglio 1993, n. 236), che ha limitato espressamente l’estensione della disciplina di cui alla L. n. 223 del 1991, in materia di integrazione salariale e mobilità Si rileva, inoltre, che la sentenza della Corte costituzionale n. 190 del 2000 – la quale sembra confermare la valutazione effettuata dal Tribunale – non potrebbe comunque portare a ritenere applicabile agli autoferrotranvieri anche la previsione del termine di decadenza per l’impugnativa del licenziamento di cui alla suddetta L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3.

3.- Con il secondo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione su un punto essenziale e decisivo della controversia, in relazione al ritenuto vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado.

Innanzi tutto si rileva che il Tribunale non ha preso in considerazione l’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale formulata dai lavoratori nella memoria di replica, sull’assunto della mancata notifica rituale nei termini di legge dell’atto stesso.

In via subordinata si sottolinea che la sentenza di primo grado non poteva essere considerata viziata da ultrapetizione per molteplici motivi: a) i lavoratori avevano già invocato in primo grado la violazione anche della L. n. 223 del 1991, e la società si era difesa su tali aspetti della domanda; b) in ogni caso, per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la domanda di declaratoria di inefficacia del licenziamento, anche in mancanza di indicazione delle relative fonti normative, ben può essere esaminata dal giudice sotto tutti i profili di inefficacia da qualsiasi norma derivino senza violare il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; c) peraltro la violazione della L. n. 223 del 1991, affermata dal Giudice di primo grado, conferma e non smentisce i dedotti vizi dei licenziamenti di cui si discute.

4.- Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, travisamento dei fatti e delle risultanze istruttorie in merito all’esistenza di atti interruttivi della prescrizione, in riferimento ai dipendenti P.M., S.R. e D.D..

Si sostiene che nella sentenza impugnata è stata dichiarata la decadenza dall’impugnazione dei tre suddetti lavoratori del tutto erroneamente, visto che il Tribunale non ha considerato che agli atti esistevano le lettere di impugnazione spedite da costoro, con le copie dei relativi avvisi postali di ricevimento (che si dice sarebbero anche allegate al presente ricorso).

5. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, travisamento dei fatti e delle risultanze istruttorie in relazione alla posizione del ricorrente P. F..

Si sottolinea che il Tribunale ha affermato che il P. non era più alle dipendenze della ETP all’atto del licenziamento, desumendolo da una asserita ma non vera assenza di comunicazione del recesso medesimo, mentre dai documenti agli atti (asseritamente anche allegati al presente ricorso) risulta che il lavoratore è stato licenziato non dalla SPEM nel 1991, ma dalla ETP nell’ottobre 1993, al pari degli altri attuali ricorrenti.

6.- Con il quinto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, travisamento dei fatti e delle risultanze istruttorie in relazione alla posizione del ricorrente F. N..

Si rileva che il Tribunale ha ritenuto il F. non compreso tra i soggetti nei cui confronti è stata pronunciata la sentenza di primo grado – dichiarando, di conseguenza, l’inammissibilità dell’appello di questo lavoratore – perchè non si è accorto che in questa sentenza, per errore, il cognome è stato indicato come ” F.” (non corrispondente ad alcuno dei lavoratori ricorrenti), ancorchè inserito nella medesima posizione nella quale si trovava contemplato come ” F.” nel ricorso e nella memoria difensiva del giudizio di primo grado.

3 – Sintesi dei motivi del ricorso incidentale autonomo.

7.- Con il primo motivo del ricorso incidentale autonomo si denuncia l’inammissibilità del ricorso principale per violazione dell’art. 366 c.p.c. e ss., e, in particolare, del principio di autosufficienza.

Si sostiene che il terzo, il quarto e il quinto motivo siano privi della chiara indicazione del fatto controverso e delle ragioni di doglianza.

Si soggiunge che le lettere e i documenti che – rispettivamente, nel terzo e nel quarto motivo – si indicano come allegati in realtà non risultano allegati al ricorso notificato.

8.- Con il secondo motivo del ricorso incidentale autonomo, illustrato da quesiti di diritto, si rileva che il Tribunale ha completamente ignorato le eccezioni di estinzione del processo formulate ritualmente dai difensori della ETP, sul principale assunto secondo cui, avendo i ricorrenti omesso di riassumere il giudizio nel termine loro assegnato, si sarebbe verificata la suddetta estinzione, ai sensi degli artt. 154 e 307 c.p.c., sicchè, rispetto a tale situazione, sarebbe da considerare illegittima l’immotivata concessione di un nuovo termine per la riassunzione a seguito di nuova istanza depositata dopo la scadenza del precedente termine.

4 – Sintesi del motivo del ricorso incidentale condizionato.

9.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, illustrato da quesiti di diritto, si sostiene la legittimità della procedura ai sensi della normativa di cui alla L. n. 223 del 1991.

violazione e falsa applicazione di legge e insufficiente e contraddittoria motivazione.

Si rileva, principalmente, che il Tribunale non ha esaminato due censure, avanzate nell’appello incidentale, rispettivamente riguardanti: a) la regolarità della procedura che il Pretore ha misconosciuto; b) l’erroneità dell’affermazione contenuta nella sentenza pretorile del mancato raggiungimento della prova della sussistenza dei presupposti per ricorrere alla procedura dei licenziamenti collettivi.

5 – Esame dei motivi del ricorso incidentale autonomo.

10.- In ordine logico, va esaminato per primo il secondo motivo del ricorso incidentale autonomo, che deve essere respinto.

Va ricordato, in linea generale, che, per costante e condiviso orientamento di questa Corte, l’omessa pronuncia su una domanda, ovvero su specifiche eccezioni fatte valere dalla parte, integra una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

Conseguentemente, è inammissibile il motivo di ricorso con il quale la relativa censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto, ovvero come vizio della motivazione (vedi, per tutte: Cass. 26 luglio 2004, n. 14003; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1701; Cass. 14 febbraio 2006, n. 3190).

D’altra parte, e jus receptum che il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo quando manchi la decisione su uno dei capi della domanda, autonomamente apprezzabile, ossia quando sia omesso il provvedimento che si palesa indispensabile con riferimento al caso concreto. Tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa della parte, comporti il rigetto di tale pretesa, pur in mancanza di una specifica argomentazione, giacchè, contrariamente ritenendo, si finirebbe per far coincidere il vizio di omessa pronuncia con la previsione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, (ex plurimis: 29 settembre 1999, n. 10813; Cass. 9 maggio 2007, n. 10636; Cass. 20 febbraio 2004, n. 3403; Cass. 12 gennaio 2006, n. 407).

Inoltre, il contenuto decisorio della sentenza va desunto dall’insieme degli elementi indicati nell’art. 132 c.p.c., n. 4, che (nel testo applicabile nella specie, ratione temporis) comprendeva “la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione”.

Infatti, la necessaria presenza dei suddetti elementi è prevista in funzione della intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, come lo stesso legislatore, nel modificare – con la L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 17, – l’art. 132 cit., ha voluto ulteriormente sottolineare, stabilendo espressamente un collegamento di tipo logico e funzionale tra l’indicazione in sentenza dei fatti di causa e le ragioni poste dal giudice a fondamento della decisione (arg. ex Cass. 10 novembre 2010, n. 22845; Cass. 19 marzo 2009, n. 6683; Cass. 24 novembre 2008, n. 27890).

Nella specie, a parte la formulazione della censura, ciò che risulta dalla sentenza impugnata è che, in essa, la questione della possibile estinzione del giudizio è stata ampiamente trattata nella parte finale dello “svolgimento del processo”, ove il Tribunale di Nola ha spiegato che la riassunzione tardiva si è verificata solo per uno (n. 604/98) dei tre procedimenti originari, per il quale è stata dichiarata l’estinzione.

Viceversa, per gli altri due procedimenti (n. 598/98 e n. 609/98), riuniti dallo stesso Tribunale, tale situazione – benchè vi siano stati dei disguidi nella cancelleria dell’Ufficio – non si è verificata e, pertanto, le relative riassunzioni sono state considerate tempestive.

Da ciò si desume che è da escludere la configurabilità del vizio di omessa pronuncia sul punto: la censura è stata esaminata e respinta, pur in mancanza di una specifica argomentazione per il rigetto.

11.- Va, altresì, respinto il primo motivo del ricorso incidentale autonomo, nei limiti che si indicano.

Si osserva, al riguardo, che i tre motivi del ricorso principale (precisamente: il terzo, il quarto e il quinto) che si assumono inammissibili per formulazione non conforme alle prescrizioni dell’art. 366 bis c.p.c., (applicabile, nella specie, ratione temporis), sono motivi nei quali si denunciano vizi di motivazione della sentenza impugnata.

Nel caso in cui si faccia valere tale vizio, per consolidato e condiviso orientamento di questa Corte – diversamente da quanto si verifica ove si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, – al fine di evitare la sanzione dell’inammissibilità non è necessaria la specifica formulazione di un quesito, ma – avendo il vizio di motivazione ad oggetto il solo iter argomentativo della decisione impugnata – è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (vedi, per tutte: Cass. 25 febbraio 2009, n. 4556).

Nella specie, i tre motivi cui si riferisce la censura risultano, nella loro chiarezza e sinteticità, formulati in modo del tutto conforme al suddetto principio.

A conclusioni parzialmente diverse si deve pervenire con riguardo al profilo di censura attinente la mancata conformità dei motivi terzo e quarto del ricorso principale al principio di autosufficienza del ricorso.

Ma, per chiarezza espositiva e per evitare ripetizioni, la trattazione di quest’ultima doglianza verrà effettuata unitamente con l’esame dei motivi cui essa si riferisce.

6 – Esame dei motivi del ricorso principale.

12.” Per quel che riguarda il ricorso principale, in ordine logico, vanno trattati per primi e congiuntamente – data la loro intima connessione – il primo e il terzo motivo, quindi autonomamente il secondo, il quarto e il quinto.

6. a Esame del primo e del terzo motivo del ricorso principale.

13.- Come questa Corte ha già affermato, fra l’altro, nella sentenza 20 maggio 2002, n. 7309 – relativa ad una controversia analoga alla presente, riguardante il licenziamento di una pluralità di dipendenti da parte della ETP – Esposito Trasporti Pubblici s.p.a. – il R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 26, Allegato A, detta una disciplina dei licenziamenti per modificazioni della struttura aziendale nelle imprese autoferrotranviarie, che si sostanzia nella corresponsione di una speciale indennità di buonuscita.

Successivamente la L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 3, comma 4 bis, aggiunto dal D.L. 20 maggio 1993, n. 148, art. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 luglio 1993, n. 236, (nel testo risultante dalla modifica alla data della relativa entrata in vigore – stabilita nel 1 gennaio 1993 – introdotta dal D.L. 23 ottobre 1996, n. 542, art. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 dicembre 1996, n. 649) – ha previsto che “le disposizioni in materia di mobilità ed il trattamento relativo si applicano anche al personale il cui rapporto sia disciplinato dal R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, e successive estensioni, modificazioni e integrazioni, che sìa stato licenziato da imprese dichiarate fallite, o poste in liquidazione, successivamente alla data del 1 gennaio 1993”.

Questa Corte (con ordinanza del 20 febbraio 1999) ha sollevato questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 3, comma 4 bis – nella parte relativa all’esclusione degli autoferrotranvieri licenziati da imprese dichiarate fallite o poste il liquidazione prima del 1 gennaio 1993 dalle garanzie procedimentali previste dalla direttiva n. 75/129/CEE (e successive modifiche e integrazioni) e dall’indicata L. n. 223 del 1991 (e, in particolare, dall’art. 24 di tale legge) – per contrasto con l’art. 3 Cost., comma 1, e art. 11 Cost., in conseguenza della violazione dell’obbligo dello Stato di adeguare la propria legislazione alla normativa UE, nonchè del principio di uguaglianza, per ingiustificata disparità di trattamento tra gli autoferrotranvieri a seconda della data in cui sia intervenuta la dichiarazione di fallimento o la messa in liquidazione dell’impresa, nonchè per ingiustificata disparità di trattamento tra gli autoferrotranvieri (tutelati solo a partire dal 1 gennaio 1993) e gli altri lavoratori dipendenti (per i quali siffatta regolamentazione trova attuazione a partire dall’entrata in vigore della legge di attuazione della direttiva). Si sottolineava, inoltre, il contrasto della diversità di disciplina anche con la direttiva CEE 24 giugno 1992 n. 56, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai licenziamenti collettivi, volta alla tutela indistinta di tutti i lavoratori dipendenti da imprese con determinate dimensioni per i quali sia configurabile licenziamento collettivo.

Con sentenza interpretativa n. 190 del 2000, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la proposta questione di legittimità costituzionale. La Corte ha ritenuto che la disciplina dei licenziamenti collettivi, per quanto riguarda l’aspetto procedimentale, è quasi interamente modellata su quella della messa in mobilità collegata con il trattamento straordinario di integrazione salariale (L. n. 223 del 1991 cit., art. 24, che richiama l’art. 4, commi da 2 a 12 e 15 bis, e l’art. 5, commi da 1 a 5, della stessa legge).

Tuttavia, siffatta confluenza delle due fattispecie di riduzione del personale verso discipline sostanzialmente analoghe, benchè non perfettamente sovrapponibili, non fa venir meno la loro rispettiva diversità e autonomia e non toglie che, in particolare, l’istituto del licenziamento collettivo non sia necessariamente legato al trattamento straordinario di integrazione salariale e al trattamento di mobilità che ne può conseguire: ciò emerge dall’art. 24, comma 3, che limita alle sole imprese rientranti nel campo di applicazione dell’intervento stesso l’onere della contribuzione previdenziale aggiuntiva.

Da tale premessa la Corte costituzionale ha tratto la conclusione che le garanzie prò cedi mentali in oggetto si applicano anche ai licenziamenti collettivi intimati da imprese, come le aziende autoferrotranviarie, i cui dipendenti non beneficino dell’intervento straordinario di integrazione salariale.

Il Giudice delle leggi ha sottolineato il carattere assolutamente generale della L. n. 223 del 1991, art. 24, in tema di garanzie procedimentali ed ha escluso l’incompatibilità di queste con il R.D. n. 148 del 1931, art. 26 dell’allegato A, che disciplina l’esonero del personale in caso di riduzione di posti per limitazione, semplificazione o soppressione di servizi.

La Corte costituzionale ha posto in rilievo che il comma 4 bis censurato è stato aggiunto (nella prima formulazione di cui al D.L. n. 148 del 1993, art. 6) alla L. n. 223 del 1991, art. 3, dal D.L. n. 148 del 1993, art. 6, comma 1 bis, contenente “Misure in materia di licenziamenti collettivi”: proprio in tale articolo si rinvengono norme in tema di applicabilità delle garanzie procedimentali in questione.

Inoltre, la stessa Corte ha ricordato che, con riferimento a questa novella, la giurisprudenza di legittimità (sentenza 29 luglio 1998, n. 7463) ha ritenuto che la formula “successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge” si riferisse all’entrata in vigore della L. n. 223 del 1991 (ma con il limite della necessità dell’intervenuto fallimento o della liquidazione dell’impresa). E ne ha desunto che il legislatore aveva non solo esteso al personale autoferrotranviario l’ambito di applicazione della disciplina dell’indennità di mobilità (e della relativa procedura di dichiarazione della mobilità), da cui le imprese autoferrotranviarie erano in precedenza escluse, in ragione della testuale inapplicabilità dell’intervento della cassa integrazione guadagni, ma aveva anche esteso (retroattivamente) l’ambito di operatività delle garanzie procedimentali per i licenziamenti collettivi, pur in mancanza di alcuna precedente testuale esclusione ed anzi in presenza di una normativa di carattere assolutamente generale che, per i rilievi sopra espressi, già doveva ritenersi applicabile a queste imprese.

E’ poi intervenuto il D.L. n. 542 del 1996, art. 7, che ha modificato il testo prima ricordato del comma 4-bis sostituendo alle parole “successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge” le parole “successivamente alla data del 1 gennaio 1993”;

disposizione questa che non ha natura di interpretazione autentica posto che essa non ha optato per una delle due soluzioni astrattamente sostenibili in base alla lettera della disposizione precedente (data di entrata in vigore della legge del 1991 o della legge del 1993), ma ha introdotto una terza soluzione, indicando la data del 1 gennaio 1993, così inequivocamente dimostrando di essere norma innovativa.

Facendo venir meno la saldatura cronologica con la L. n. 223 del 1991, il D.L. in esame ha avuto l’effetto di dimensionare diversamente il beneficio (ed il costo finanziario) dell’estensione dell’indennità di mobilità, ma anche di determinare uno “iato temporale” (dall’entrata in vigore della L. n. 223 del 1991, al 1 gennaio 1993) in cui le garanzie procedimentali del citato art. 24 non si applicherebbero in nessun caso al personale autoferrotranviario.

La Corte costituzionale ha sottolineato che, così come l’interpretazione conforme a Costituzione deve essere privilegiata per evitare il vizio di incostituzionalità della norma interpretata, analogamente l’interpretazione non contrastante con le norme UE vincolanti per l’ordinamento interno deve essere preferita, dovendosi evitare che lo Stato italiano si ritrovi inadempiente agli obblighi assunti in sede di Unione Europea.

Conseguentemente, il Giudice delle leggi ha precisato che “sotto questo profilo rileva che la normativa comunitaria non include le imprese autoferrotranviarie tra quelle (espressamente elencate) alle quali non si applicano le garanzie procedimentali per i licenziamenti collettivi”.

14.- Sulla base dei suddetti argomenti, la Corte costituzionale è pervenuta alla decisione secondo cui la novella realizzata con l’introduzione del comma 4-bis va interpretata nel senso che con il richiamo alle “disposizioni in materia di mobilità ed il trattamento relativo” essa ha disciplinato la situazione degli autoferrotranvieri colpiti da licenziamenti collettivi intimati da imprese assoggettate a procedure concorsuali, soltanto per quanto concerne l’istituto della mobilità ed il loro diritto a fruire degli effetti derivanti dalle richiamate norme sulla mobilità, ed in particolare della relativa indennità, stabilendo che a tali fini la dichiarazione di fallimento o la messa in liquidazione dell’impresa deve essere successiva al 1 gennaio 1993. Invece per quanto concerne la disciplina del procedimento preordinato al licenziamento collettivo nulla è mutato rispetto al sistema previgente, la cui individuazione ai fini della decisione della controversia spetta naturalmente al giudice a qua.

In base alla suddetta interpretazione, ha affermato conclusivamente la Corte costituzionale, il comma 4 bis non determina alcuna disparità di trattamento fra autoferrotranvieri ed altre categorie di lavoratori.

15.- Le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale hanno indotto questa Corte (Cass. 2 marzo 2001 n. 3063; Cass. 20 maggio 2002, n. 7309) a enunciare e ribadire il principio di diritto secondo cui “la L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4 bis, deve essere interpretato nel senso che, con il richiamo alle disposizioni in materia di mobilità e trattamento relativo, essa ha disciplinato la situazione degli autoferrotranvieri colpiti da licenziamenti collettivi, intimati da imprese assoggettate a procedure concorsuali, soltanto per quanto concerne l’istituto della mobilità ed il loro diritto a fruire degli effetti derivanti dalle richiamate norme sulla mobilità, ed in particolare della relativa indennità, stabilendo che a tali fini la dichiarazione di fallimento o la messa in liquidazione dell’impresa deve essere successiva al 1 gennaio 1993.

Invece, per quanto concerne la disciplina del procedimento preordinato al licenziamento collettivo, la disciplina introdotta con la cit. L. n. 223 del 1991, art. 24, ha carattere assolutamente generale, sicchè le relative garanzie procedimentali si applicano anche ai dipendenti da imprese autoferrotranviarie, senza che esse possano ritenersi incompatibili con le previsioni del R.D. n. 148 del 1931, art. 26, All. A, atteso che tale norma (la quale, nel disciplinare l’esonero del personale ferroviario in caso di riduzione di posti, autorizza l’assegnazione dei dipendenti in esubero a mansioni inferiori alla qualifica come alternativa al licenziamento) si pone su di un piano assolutamente diverso da quello procedimentale regolamentato dalla L. n. 223 del 1991, art. 24, che, tra l’altro, coinvolge anche le rappresentanze sindacali”.

16.- Il Collegio condivide tale indirizzo ermeneutico, al quale intende dare continuità.

Conseguentemente, deve essere rigettato il primo motivo del ricorso principale, dato che le statuizioni contenute nella sentenza impugnata in merito alla pacifica applicabilità nella specie delle norme procedurali sui licenziamenti collettivi di cui alla L. n. 223 del 1991, sono conformi all’indicata giurisprudenza costituzionale e di legittimità (che espressamente richiamano).

17.- Appare, del pari, da condividere la conseguenza che ne trae il Tribunale di Nola di applicazione pure della disposizione (anch’essa di tipo procedurale e funzionale alla complessiva disciplina) di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3, in base alla quale il recesso deve essere impugnato nel termine decadenziale di sessanta giorni dal ricevimento della relativa comunicazione scritta.

Come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la procedura introdotta dalla L. n. 223 del 1991 (e successive modificazioni e integrazioni) per i licenziamenti collettivi è unica e si compone di varie fasi tutte caratterizzate dalla previsione di termini connotati da effetti decadenziali, nell’intento di limitare la durata nel tempo della procedura stessa, onde consentire una migliore realizzazione dei reciproci interessi del datore di lavoro e dei lavoratori (vedi, per tutte: Cass. SU 16 giugno 2000, n. 419 e Cass. 10 febbraio 2009, n. 3261).

Tra questi termini rientra anche quello cui è assoggettato il lavoratore per l’impugnativa del licenziamento, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3 (Cass. 23 febbraio 1996. n. 1415: Cass. SU 11 maggio 2000, n. 302), la cui previsione, peraltro – come risulta dalla complessiva lettura dello stesso art. 5, comma 3, – risulta bilanciata dalla disposta estensione della tutela reale al licenziamento collettivo invalido o inefficace (Cass. 29 agosto 2003, n. 12680).

Dai suddetti rilievi si desume l’esattezza di quanto affermato dal Tribunale di Nola in merito all'”impossibilità – per ragioni logiche, prima che giuridiche – di accogliere l’assunto dei lavoratori secondo cui nella specie dovrebbe trovare applicazione la procedura di licenziamento collettivo prevista dalla L. n. 223 del 1991, ma non la suindicata previsione contenuta nell’art. 5, comma 3.

Ne consegue l’infondatezza anche del terzo motivo di ricorso, atteso che l’affermazione del Tribunale di Nola, conforme alla sentenza pretorile, secondo cui i lavoratori P.M., D. D. e S.R. non hanno provato di aver impugnato il licenziamento nel prescritto termine, risulta essere congruamente e logicamente motivata.

D’altra parte, come rilevato anche nel primo motivo del ricorso incidentale autonomo, la documentazione che, nell’esposizione del presente motivo, si dice essere allegata non è presente in atti, sicchè da questo punto di vista è riscontrabile anche una violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

6 b – Esame del secondo motivo del ricorso principale 18. Come si è detto, con questo motivo, in via principale, si denuncia il mancato esame da parte del Tribunale di Nola dell’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale formulata dai lavoratori e, in via subordinata, si contesta l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la sentenza pretorile sarebbe viziata da ultrapetizione, nella parte in cui ha dichiarato rillegittimità del licenziamento collettivo per mancato rispetto della procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991.

Il motivo è fondato, nei termini di seguito precisati.

19.- Preliminarmente, appare opportuno sottolineare che i due suddetti profili di censura hanno diversa configurazione, in quanto con il primo si lamenta l’omesso esame di una eccezione (che si assume essere stata ritualmente proposta), mentre con il secondo si censura l’erronea interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, effettuata dal Giudice d’appello attraverso la riscontrata ultrapetizione della sentenza di primo grado.

Alla suddetta diversità corrispondono anche differenti modalità di denuncia – rispettivamente previste per le due indicate doglianze – in questa sede di giudizio di cassazione, come si desume da un condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità (vedi, per tutte: Cass. 19 maggio 2004, n. 9471).

In particolare, la suddetta giurisprudenza ha affermato che:

1) la censura di omesso esame della domanda (ovvero la pronuncia su domanda non proposta) – che, come si è detto, deve essere prospettata esclusivamente facendo riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4 – si iscrive tout court nell’orbita della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per mancanza di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e comporta, quindi, la denuncia, diretta e immediata, della sussistenza di un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di legittimità ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti (tutti) onde acquisire gli elementi necessari ai fini della richiesta pronuncia;

2) la censura di erronea interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda inferisce, nella sostanza, un tipico accertamento di fatto, riservato al giudice del merito e insindacabile in cassazione, salvo che sotto il profilo della erronea, insufficiente, contraddittoria, illogica motivazione della decisione impugnata;

3) di regola, la censura di omessa, contraddittoria, insufficiente (e, in definitiva erronea) motivazione non consente al giudice di legittimità l’esame diretto degli atti di causa, stante (tra l’altro) il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione;

4) la censura di omessa, contraddittoria, insufficiente (e, in definitiva erronea) motivazione, qualora lamenti un vizio procedurale in cui sia in ipotesi incorso il giudice del merito, non potendo direttamente ed autonomamente investire detto vizio, non solo è ammissibile, ma – equivalendo, nella sostanza, alla denuncia di una sorta di error in procedendo “indiretto” o di secondo grado – consente eccezionalmente alla Corte di cassazione l’esame degli atti, anche se l’intervento della Corte potrà e dovrà sempre e soltanto appuntarsi sul profilo motivazionale della sentenza.

20.- Sulla base dei suddetti principi, si deve considerare inammissibile il profilo di censura relativo all’omessa valutazione dell’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale basata sull’assunto della irritualità della relativa notificazione.

Infatti, come si è detto sopra, per costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, la censura di omessa pronuncia deve essere fatta valere – a pena di inammissibilità – esclusivamente in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, e non può essere, invece, proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto, ovvero come vizio della motivazione, come accade nella specie (v. sopra punto 10).

21. Da accogliere è, invece, il profilo di censura proposto in via subordinata, suscettibile di essere valutato sub specie del vizio di motivazione, secondo quanto si è detto (vedi sopra, punto 19, n. 4).

In base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 cod. proc. civ. – che implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda, mentre non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonchè in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante (Cass. 19 giugno 2004, n. 11455; Cass. 22 marzo 2007, n. 6945; Cass. 20 giugno 2008, n. 16809; Cass. 11 gennaio 2011, n. 455).

Conseguentemente non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, perchè in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate (Cass. 26 ottobre 2009, n. 22595; Cass. 20 dicembre 2006, n. 27285), in quanto in materia di ultrapetizione o extrapetizione va distinta l’ipotesi in cui, in corso di causa, la parte deduca a fondamento della domanda fatti nuovi e diversi da quelli in precedenza dedotti – introducendo così nuovi temi di indagine – dall’ipotesi in cui, rimanendo inalterati i fatti dedotti, essa ne dia una diversa qualificazione giuridica, verificandosi nella prima ipotesi un inammissibile mutamento della domanda e nella seconda un semplice mutamento della qualificazione giuridica della stessa (Cass. 8 febbraio 2007, n. 2746).

Nè va omesso di considerare che la corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 cod. proc. civ., riguarda il petitum il quale va determinato con riferimento a quello che viene domandato sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire e alle eccezioni che in proposito siano state sollevate dal convenuto (Cass. 13 giugno 2002, n. 8479; Cass. 8 agosto 2004, n. 15186; Cass. 24 marzo 2011, n. 6757).

22.- Il Tribunale di Nola, nel ritenere viziata da ultrapetizione la sentenza del Pretore di Sant’Anastasia, non solo non si è attenuto ai suddetti principi, ma ha emesso una decisione del tutto incorente – dal punto di vista logico, oltre che giuridico – con il contenuto complessivo della propria sentenza.

Come risulta dalla ricostruzione dei fatti, risultante sia dalla sentenza di primo grado sia da quella attualmente impugnata, la procedura riguardante i licenziamenti in oggetto, è stata avviata dalla ETP, in un primo momento, il 9 luglio 1993 ai sensi della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24, però il direttore dell’UPLMO di Napoli il 27 settembre 1993 ne ha disposto l’archiviazione, sul presupposto dell’applicabilità della suddetta legge al personale di aziende di trasporto iscritto al Fondo di previdenza della disciplina dei licenziamenti collettivi – sulla base dei commi 4-bis e 4-ter dell’art. 3, L. n. 223 del 1991, introdotti dal D.L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 luglio 1993, n. 236, nel frattempo intervenuta (peraltro, con la originaria vigenza) – soltanto in caso di fallimento, concordato preventivo, amministrazione controllata e procedure di liquidazione.

Peraltro, in data 23 ottobre 1993 la ETP ha ugualmente comunicato ai lavoratori la risoluzione del rapporto di lavoro “nell’ambito di un licenziamento collettivo per riduzione del personale”.

Pale licenziamento è stato tempestivamente impugnato il 3 novembre 1993 dagli interessati, sul principale rilievo dell’inapplicabilità nella specie della L. n. 223 del 1991, art. 24, ma anche con revidenziazione del fatto che la ETP ha proceduto all’intimazione dei recessi dopo la disposta archiviazione dell’UPLMO, “difettandone le condizioni di legge” (vedi sentenza di primo grado, p. 10).

Il Pretore ha ritenuto tale ultima censura – della quale il Tribunale non da conto – non solo ritualmente formulata, ma anche fondata e conseguentemente ha considerato i licenziamenti inefficaci, sul principale rilievo della completa omissione della fase del confronto fra le parti e dell’esame congiunto attraverso la mediazione del direttore dell’UPLMO, prevista dall’art. 4, comma 7.

Ne discende che il Pretore, nell’effettuare l’interpretazione della domanda giudiziale – com’è noto, riservata al giudice del merito e censurabile, in sede di legittimità, solo per vizio di motivazione (vedi, per tutte: Cass. 11 marzo 2011, n. 5876) si è attenuto al principio, affermato più volte da questa Corte e qui condiviso, secondo cui tale interpretazione va compiuta prendendo in considerazione non solo la letterale formulazione della domanda stessa, ma anche il sostanziale contenuto delle pretese in essa espresse, con riguardo alle finalità perseguite nel giudizio (vedi, per tutte: Cass. 28 agosto 2009, n. 18783).

Neppure va dimenticato che la suddetta interpretazione è stata compiuta dal Pretore dopo aver affermato il carattere generale della disciplina dettata dalla L. n. 223 del 1991, art. 24, in tema di garanzie procedimentali dei licenziamenti collettivi, e dopo averne ritenuto la piena compatibilità con le speciali disposizioni riguardanti il rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, sulla base dell’interpretazione orientata al rispetto del diritto UE della normativa nazionale e, quindi, in piena armonia con quanto deciso dalla Corte costituzionale nella successiva sentenza n. 190 del 2000, di cui si è detto (v. sopra punto 13).

E, com’è noto, è jus reception che, il principio secondo cui sussiste vizio di ultra o extra petizione ex art. 112 cod. proc. civ., quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato va posto in immediata correlazione con il principio tura novit curia di cui all’art. 113 cod. proc. civ., comma 1. Conseguentemente, rimane sempre salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite nonchè all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (Cass. 24 giugno 2003, n. 10009; Cass. 10 ottobre 1997, n. 9875).

23. Ebbene, il Tribunale di Nola, ove ha ritenuto viziata da ultrapetizione la sentenza di primo grado, non si è attenuto neppure ai richiamati principi in materia di interpretazione della domanda giudiziale, pervenendo oltretutto ad una decisione, come si detto prima, anche del tutto contraddittoria rispetto alle precedenti statuizioni della propria sentenza.

Infatti, come si rilevato più volte, il Tribunale ha costruito la sentenza muovendo dalla premessa secondo cui, per consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, si deve considerare pacifica l’applicabilità della procedura di licenziamento collettivo di cui alla L. n. 223 del 1991 anche al rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri.

Da tale premessa ha tratto la conseguenza della conferma della statuizione di decadenza dall’impugnazione di P.M., D.D. e S.R., “in quanto non troverebbe alcun supporto normativo e, in ogni caso, non avrebbe giustificazione logica”, l’applicabilità, dedotta “dal difensore degli appellanti” della procedura di licenziamento collettivo prevista dalla L. n. 223 del 1991, e non del termine di decadenza previsto dalla cit. L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3 (vedi sopra, punto 17).

Da tali affermazioni si desume che il Tribunale ha considerato compresa nel thema decidendum la questione relativa al rispetto della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, sicchè appare del tutto illogico – oltre che contrario agli indicati principi, ai quali invece il Pretore si è adeguato – che, dopo tali affermazioni, lo stesso Tribunale sia pervenuto a considerare la sentenza pretorile viziata da ultrapetizione per aver dichiarato l’illegittimità del licenziamento collettivo in oggetto, per mancato rispetto della L. n. 223 del 1991.

La suddetta affermazione, infatti, potrebbe non considerarsi contraddittoria solo immaginando che il Tribunale abbia inteso operare una distinzione tra la questione della correttezza dell’applicazione della L. n. 223 del 1991 e quella dell’applicabilità o meno al caso in esame della legge stessa (come sembrano ipotizzare i ricorrenti), ma è evidente che una simile parcellizzazione equivarrebbe ad una configurazione “elastica” del thema decidendum che sarebbe diversamente definito in rapporto alle diverse parti del giudizio e alle rispettive richieste e ciò non potrebbe non collidere con i principi costituzionali che garantiscono il diritto di difesa e il giusto processo, di cui il principio del contraddittorio e della parità delle parti sono assi portanti (vedi artt. 24 e 111 Cost.).

6 c e – Esame del quarto motivo di ricorso 24.- Il suddetto motivo – formulato come vizio di motivazione – deve essere respinto.

Con esso si sostiene che il Tribunale abbia confermato la statuizione del primo Giudice di rigetto della domanda di P.F. – sul presupposto che questi non sia stato incluso tra i destinatari della comunicazione del presente licenziamento, per essere già stato licenziato in precedenza (in data 29 luglio 1992) – in base ad un travisamento dei fatti e delle risultanze istruttorie.

Al riguardo va ricordato che il vizio di motivazione su un punto decisivo, denunziabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, postula che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo in modo che l’omissione venga a risolversi in un implicito apprezzamento negativo sulla rilevanza del fatto stesso, ovvero lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico. Qualora, invece, si ipotizzi il travisamento dei fatti non si può denunciare tale censura come motivo di ricorso per cassazione poichè, trattandosi della prospettazione di una inesatta percezione, da parte del giudice, di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, si tratta di un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395 cod. proc. civ., n. 4 (vedi, per tutte: Cass. 2 luglio 2010, n. 15702; Cass. 9 gennaio 2007, n. 213).

Analogamente, non è configurabile come censura per vizio di motivazione della decisione la prospettazione di una diversa lettura delle risultanze istruttorie (vedi, per tutte: Cass. 26 marzo 2010, n. 7394).

D’altra parte, come rilevato anche nel primo motivo del ricorso incidentale autonomo, la documentazione che, nell’esposizione del presente motivo, si dice essere allegata non è presente in atti, sicchè da questo punto di vista è riscontrabile anche una violazione del principio di autosufficienza del ricorso (analogamente a quanto rilevato per il terzo motivo, vedi sopra, punto 17).

6 d – Esame del quinto motivo di ricorso 25.- Questo motivo è fondato e va accolto.

Dal punto di vista dell’ammissibilità della sua formulazione come vizio di motivazione va rilevato che – in analogia con quanto affermato a proposito del secondo profilo del secondo motivo di censura (vedi sopra, punto 19) e diversamente da quanto precisato a proposito del quarto motivo (vedi sopra, punto 24) – anche nel presente caso attraverso la censura di omessa, contraddittoria, insufficiente (e, in definitiva, erronea) motivazione, si fa valere un vizio procedurale in cui si assume sia incorso il Giudice del merito, che non è possibile denunciare direttamente e autonomamente.

Sicchè la censura, non solo può essere formulata facendo in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, ma – equivalendo, nella sostanza, alla denuncia di una sorta di errar in procedendo “indiretto” o di secondo grado consente alla Corte di cassazione l’esame degli atti (di regola, inibito nel caso in cui si faccia valere un vizio di motivazione), anche se l’intervento de Giudice di legittimità potrà e dovrà sempre e soltanto appuntarsi sul profilo motivazionale della sentenza.

Quanto al merito della censura, va precisato che, in base ad un condiviso indirizzo di questa Corte, l’inesatta indicazione contenuta nella sentenza di primo grado del nome di una parte – se non incide sulla regolare costituzione del contraddittorio – integra semplicemente un errore materiale, che è, pertanto, improduttivo di effetti giuridici tali da legittimarne la denuncia come motivo di appello (come ipotizzato dalla controricorrente).

Conseguentemente, esso è emendabile, anche di ufficio, da parte del Giudice di appello il quale, ne 11’interpretare la sentenza impugnata, ha il potere-dovere di rilevarne l’effettiva portata e quindi, incidentalmente, anche di porre rimedio ad eventuali errori materiali, riconoscibili come tali, secondo quanto si desume dalla precisazione, contenuta nell’art. 287 cod. proc. civ., in base alla quale presupposto per il ricorso al procedimento di correzione degli errori materiali è la mancata proposizione dell’appello (Cass. 4 giugno 2002, n. 8094).

Nella specie, il Tribunale non solo non ha provveduto ad effettuare la suddetta correzione, ma ha dichiarato l’appello del lavoratore di cui si tratta inammissibile, sull’assunto che questi non fosse compreso tra i soggetti nei cui confronti è stata pronunciata la sentenza di primo grado.

In tal modo, da quella che – attraverso un confronto tra gli elenchi dei ricorrenti riportati, rispettivamente, nel ricorso e nella memoria difensiva di primo grado, nella sentenza del Pretore e nell’atto d’appello – ictu aculi appare come una innocua svista del Pretore, facilmente emendabile -consistente nella erronea indicazione come ” F.” (non corrispondente ad alcuno dei lavoratori ricorrenti), anzichè come ” F.” del cognome del lavoratore – si è fatta derivare una pronuncia lesiva del diritto di difesa del F., fondata su una erronea determinazione del numero dei legittimi contraddittori, nell’ambito del giudizio.

7 – Assorbimento del ricorso incidentale condizionato 26. Appare opportuno dichiarare assorbito l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato per consentire alle parti di confrontarsi in sede di giudizio rinvio nel rispetto dei suindicati principi e del carattere “chiuso” di tale giudizio su tutte le questioni riguardanti il rispetto, o meno, nella specie delle regole procedurali stabilite dalla L. n. 223 del 1991.

8 – Conclusioni 27.- In sintesi, vengono accolti il secondo e il quinto motivo del ricorso principale, respinti gli altri motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale autonomo.

Va dichiarato assorbito il ricorso incidentale condizionato.

La sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli, che si adeguerà ai principi di diritto sopra enunciati.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il secondo e il quinto motivo del ricorso principale. Respinge gli altri motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale autonomo. Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2011

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