Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1709 del 27/01/2010

Cassazione civile sez. III, 27/01/2010, (ud. 04/12/2009, dep. 27/01/2010), n.1709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27238/2005 proposto da:

B.M.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato PIZZUTI Pasquale con studio in

84092 BELLIZZI (SA), VIA ROMA 175 giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 412/2005 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

emessa il 21/10/2004, depositata il 09/08/2005, R.G.N. 885/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/12/2009 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato PASQUALE PIZZUTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PIVETTI Marco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 28 ottobre 2002 D.G., proprietario di un piccolo appezzamento di terreno di appena 877 mq., ubicato in agro di (OMISSIS), condotto in affitto, in virtù di contratto verbale risalente al (OMISSIS), da B.M.L., chiedeva la declaratoria della cessazione del rapporto al (OMISSIS), al fine di rientrare in possesso del terreno de quo.

Costituitasi in giudizio, la convenuta contestava l’avversa pretesa.

Con sentenza n. 1670 del 2004 il Tribunale di Salerno, sez. spec. agraria, rigettava la domanda, ritenendola improponibile, in quanto coperta da giudicato.

Su gravame di D.G., la Corte d’appello di Salerno, in data 9 agosto 2005, in parziale riforma della impugnata sentenza, dichiarava che l’affitto relativo al terreno de quo sarebbe venuto a scadenza il (OMISSIS), conseguentemente condannando B.M.L. al rilascio del terreno per tale data nonchè al pagamento delle spese di causa.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione B. M.L., articolando tre motivi e notificando l’atto a D.G..

L’intimato non ha svolto alcuna attività difensiva.

La ricorrente ha altresì depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo di ricorso l’impugnante denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., artt. 329, 342, 346, 434 e 437 cod. proc. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale fatto malgoverno del principio per cui il giudice del gravame può conoscere della controversia dibattuta in primo grado solo attraverso l’esame delle specifiche censure formulate dall’appellante, senza potere estendere l’esame ai punti della sentenza impugnata non investiti da alcuna doglianza.

Deduce che nei motivi di gravame l’appellante aveva specificamente sostenuto che la domanda di risoluzione del contratto locativo e quella subordinata di rilascio per il (OMISSIS), in ragione della natura particellare dell’affitto, non erano coperte da giudicato, posto che la sentenza n. 104 del 2002 aveva rigettato la domanda volta ad ottenere il rilascio del terreno per la scadenza del (OMISSIS), mentre nella fattispecie il rilascio era stato chiesto per il (OMISSIS).

A fronte di tale doglianza la Corte d’appello, senza alcuna motivazione, aveva condannato la ricorrente al rilascio del fondo per la diversa data del (OMISSIS).

Siffatta decisione violava il principio tantum devolutum quantum appellatimi, posto che l’appellante non aveva criticato la sentenza nella parte in cui non aveva statuito il rilascio per la scadenza successiva a quella del (OMISSIS). E in mancanza di siffatta censura il giudice d’appello non poteva di sua iniziativa riformare la sentenza di primo grado.

1.2 La doglianza è infondata.

In conformità a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice – da cui totalmente prescinde la ricorrente – in materia di contratti agrari, ove la parte concedente, nella comunicazione della disdetta, abbia indicato una erronea data di cessazione del rapporto, ben può la domanda di rilascio essere accolta per la data di scadenza effettiva del rapporto. Tale pronuncia, invero, da un lato, è conforme alla volontà dell’istante di impedire la successiva rinnovazione del contratto e di riottenere la disponibilità del fondo, dall’altro, costituisce esplicazione del compito del giudice di accertare, sulla base delle risultanze di causa, quale sia la data esatta di cessazione del contratto (confr.

Cass. 1 febbraio 2000, n. 1068; 16 dicembre 2005, n. 27731; 19 ottobre 2006, n. 22407). E invero, una volta intimata la disdetta dal contratto di affitto di fondi rustici, ai sensi della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 4, essa, in quanto atto negoziale unilaterale recettizio, produce i propri effetti fin dal momento in cui perviene nella sfera di normale conoscibilità del conduttore, di modo che non sussiste alcun onere, per la parte concedente, di intimare una nuova disdetta (confr. Cass. 19 febbraio 2002, n. 2388, Cass. 3 ottobre 1997, n. 9666).

Ne deriva che, ritenuta la natura particellare dell’affitto, in motivato dissenso dall’opinione espressa dal giudice di prime cure, per quanto di qui a poco si dirà, la Corte territoriale poteva e doveva ordinare il rilascio del fondo per la scadenza effettiva.

2.1 Col secondo mezzo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 2, 3 e 31, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Deduce che, in base alla normativa richiamata, in tanto si può parlare di affitto particellare, in quanto si sia in presenza di un contratto successivo all’entrata in vigore della L. n. 203 del 1982, e di un terreno ricadente in particolari zone del territorio montano, preventivamente individuate dalle regioni, laddove, nella fattispecie, la Corte Territoriale non aveva verificato la sussistenza di tali presupposti.

2.2 Anche tali critiche non hanno pregio.

Nella narrativa della sentenza impugnata la Corte d’appello riferisce che, costituendosi nel primo giudizio intentato da D. G. al fine di ottenere il rilascio del fondo, proprio la B. ebbe ad eccepire che il contratto configurava un affitto particellare, in considerazione della natura montana del terreno e della sua esigua dimensione: eccezione, questa, accolta dal Tribunale e posta a base del rigetto della domanda.

Ciò significa che sulla natura particellare del contratto si era già formato il giudicato.

Del resto il giudice a quo ha motivato la scelta operata in dispositivo sia in ragione della estensione e della collocazione topografica del terreno in contestazione, desunta dalla documentazione in atti, sia facendo esplicito riferimento ai precedenti giudicati inter partes. Ne deriva che le censure svolte in ricorso ignorano completamente le argomentate ragioni della decisione, così incorrendo nel vizio di aspecificità.

3.1 Col terzo mezzo l’impugnante deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 90, 91 e 92 cod. proc. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4, perchè la Corte Territoriale, dopo avere impropriamente riconosciuto la legittimità della sentenza in ordine alla statuizione di improponibilità della domanda ed avere di propria iniziativa dichiarato la cessazione del rapporto per una scadenza successiva a quella oggetto del contendere, aveva illegittimamente condannato la ricorrente al pagamento delle spese del doppio grado, laddove la convenuta non poteva essere ritenuta soccombente nè rispetto alle domande proposte dall’intimato, nessuna delle quali era stata accolta, nè rispetto alla diversa scadenza individuata di propria iniziativa dal giudice d’appello, trattandosi di richiesta mai formulata dall’attore.

3.2 Le critiche sono destituite di fondamento.

Si è già detto innanzi che, intimata la disdetta dal contratto di affitto di fondi rustici, essa produce i propri effetti dalla data di cessazione legale del contratto, senza necessità che ne venga intimata un’altra, di modo che il convenuto, il quale persista nel negare la mancata rinnovazione del contratto per la scadenza effettiva, è sicuramente soccombente rispetto alla domanda attrice.

In definitiva, se il potere discrezionale del giudice di merito in ordine alla ripartizione del carico delle spese trova un limite nel divieto di condannare anche parzialmente al pagamento delle stesse la parte totalmente vittoriosa – nel che si sostanzia il principio della soccombenza – e nel dovere di rispettare la logica nella motivazione, ove una motivazione sia espressamente enunciata sul punto (confr.

Cass. civ. 2 luglio 2008, n. 18173; Cass. civ. 10 giugno 1997, n. 5174), non par dubbio che la decisione adottata in parte qua dal giudice di merito, lungi dal costituire violazione dei criteri dettati dagli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., ne rappresenta piuttosto coerente e ragionata applicazione.

In definitiva il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010

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