Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1709 del 24/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/01/2020, (ud. 25/09/2019, dep. 24/01/2020), n.1709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19125-2018 proposto da:

ASL1 AVEZZANO, SULMONA, L’AQUILA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ERNESTO FAUSTO VENTA;

– ricorrente –

contro

Z.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 979/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 14/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE

ALFONSINA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di L’Aquila, a conferma della pronuncia del Tribunale di Sulmona, ha rigettato il ricorso dell’Asl Avezzano-Sulmona-L’Aquila che aveva chiesto al giudice di secondo grado di revocare il provvedimento di prime cure con cui veniva disposta la riabilitazione della tessera sanitaria rilasciata a Z.A., in regime di sospensione in quanto la titolare aveva rilasciato dichiarazione mendace in ordine al proprio reddito familiare;

la Corte territoriale ha verificato, in punto di fatto, che seppure la Z. aveva reso dichiarazioni mendaci sullo stato di moglie separata che le dava il diritto al rilascio del tesserino per esenzione per reddito (Codice E02) pur risultando la stessa ancora a carico del coniuge, l’Asl appellante, dal proprio canto, non aveva provato di aver richiesto il pagamento delle prestazioni fruite indebitamente in regime di esenzione per reddito, così come previsto dal D.M. (Finanze) 11 dicembre 2009, art. 1, comma 11, ritenendo inidonea a tal fine la prova per testi, articolata in primo grado e reiterata in appello;

la cassazione della sentenza è domandata dalla Asl Avezzano-Sulmona-L’Aquila sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria; Z.A. è rimasta intimata;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione in relazione al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella L. 6 agosto 2008, n. 133, in quanto la Corte territoriale ha ritenuto, implicitamente, che la sospensione della tessera sanitaria debba decorrere dalla data dell’avvenuto recupero degli importi per i ticket, indebitamente usufruiti, e non dalla data di accertamento della falsa dichiarazione resa per ottenere l’esenzione dal pagamento del cd. ticket”; secondo la ricorrente la sospensione discenderebbe automaticamente dall’accertamento del comportamento fraudolento da parte della Guardia di Finanza, e non sarebbe subordinata al decorso del termine per il rimborso delle somme relative alle esenzioni indebitamente usufruite, pena la legittimazione di una ulteriore prosecuzione dell’illecito;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamenta “Omesso e/o erroneo esame della problematica relativa alla comunicazione alla Z. della richiesta di rimborso degli importi relativi ai ticket indebitamente usufruiti”; la ricorrente contesta la statuizione della Corte territoriale circa l’assenza di prova in merito alla richiesta di rimborso dei ticket indebitamente usufruiti, ripercorrendo i vari passaggi attraverso cui la Z. sarebbe venuta a conoscenza del blocco della tessera e delle motivazioni esplicate a voce dal funzionario addetto, A.N., non essendo giunta a destinazione, per irreperibilità, la raccomandata inviatale dall’azienda presso il suo indirizzo; sostiene che la Z. si era vista sospendere la tessera sanitaria quattro mesi dopo essere stata messa a conoscenza dell’importo da restituire, ed ella sapeva che entro detto termine avrebbe dovuto provvedere al pagamento; che peraltro ella mai aveva fornito prova di essere separata dal coniuge;

il primo motivo è infondato;

il D.L. n. 112 del 2008, art. 7, comma 1 sexies, contenente “Disposizioni urgenti…per la stabilizzazione della spesa pubblica” e citato in epigrafe, prevede che “al fine di garantire il pieno rispetto degli obiettivi finanziari programmatici di cui al comma 1:

a) sono potenziati i procedimenti di verifica delle esenzioni in base al reddito;

b) col medesimo decreto di cui alla lett. a) (Ministero delle Finanze di concerto con il Ministero delle Politiche Sociali n.d.r.) sono definite le modalità di autocertificazione…”;

il DM. Finanze 11 dicembre 2009, n. 42852, art. 1, rubricato “Controllo esenzioni per reddito”, al comma 11 stabilisce: “Ove i controlli di cui al comma 10 evidenzino l’insussistenza del diritto all’esenzione per reddito, l’Azienda sanitaria locale comunica all’assistito l’elenco delle prestazioni fruite indebitamente in regime di esenzione per reddito ed il corrispondente ammontare della quota di partecipazione alla spesa a carico del cittadino da versare al Servizio sanitario nazionale, assegnando un termine non inferiore a 30 giorni e non superiore a 120 giorni dalla data di ricevimento della comunicazione entro il quale provvedere al pagamento, ovvero esibire all’Azienda sanitaria locale la documentazione comprovante quanto dichiarato. L’Azienda sanitaria locale comunica altresì all’assistito che, decorso inutilmente il predetto termine gli sarà inibito l’accesso a nuove prestazioni di specialistica ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale fino all’atto della regolazione del debito pregresso, in attuazione di quanto previsto dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 79, comma 1-sexies, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133.”;

la contestazione mossa dall’odierna ricorrente non è in grado di scardinare la ratio decidendi della sentenza impugnata, che, in aderenza al dato normativo sopra richiamato, ha accertato l’assenza di prova della richiesta di pagamento delle prestazioni indebitamente godute da Z.A. da parte dell’Asl e l’inidoneità delle testimonianze rese nei due gradi di merito a dimostrare l’esistenza di una rituale comunicazione notificata all’interessata ai fini della decorrenza del termine per provvedere al pagamento delle prestazioni contestate;

l’Azienda sanitaria ricorrente formula le sue doglianze in modo generico;

dalla formulazione del motivo in esame non è dato trarre alcun elemento di conoscenza dell’ammontare del valore delle prestazioni fruite indebitamente dalla Z. di cui l’Asl avrebbe richiesto il pagamento; in base a quanto previsto dal D.M. 11 dicembre 2009, art. 1, comma 11 “…l’Azienda sanitaria locale comunica all’assistito l’elenco delle prestazioni fruite indebitamente in regime di esenzione per reddito ed il corrispondente ammontare della quota di partecipazione alla spesa a carico del cittadino da versare al servizio sanitario nazionale”; neppure il motivo fornisce a questa Corte elementi di conoscenza degli esatti limiti temporali entro i quali la parte avrebbe dovuto provvedere, ovvero esibire all’Azienda sanitaria locale la documentazione comprovante quanto dichiarato, assegnati alla Z. dall’Azienda sanitaria, e fissati dal decreto ministeriale tra un minimo di trenta giorni e un massimo di centoventi giorni dalla data di ricevimento della comunicazione;

il secondo motivo è inammissibile;

il vizio di motivazione così come dedotto solleva critiche alla sentenza gravata basate su elementi dell’argomentazione difensiva i quali, a ben vedere, pur qualora presi in considerazione, non avrebbero mutato l’esito del giudizio di merito;

sotto tale profilo, dunque, il secondo motivo esula dai parametri fissati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione vigente, i quali postulano la decisività di fatti storici che, se esaminati dal giudice del merito, avrebbero cambiato le sorti della controversia;

in merito all’introduzione, da parte del legislatore, di più rigidi parametri per l’ammissibilità del vizio di motivazione le Sezioni Unite n. 3054 del 2014 hanno stabilito i seguenti principi di diritto: “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.”;

in conclusione, il ricorso va rigettato; non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva da parte dell’intimata;

in considerazione dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020

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