Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17089 del 11/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 11/07/2017, (ud. 07/03/2017, dep.11/07/2017),  n. 17089

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21318-2011 proposto da:

S.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE APRILE, rappresentato e difeso dall’avvocato PROSPERO

PIZZOLLA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS)

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, ENRICO MITTONI,

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 416/2010 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 01/09/2010 R.G.N. 565/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/03/2017 dal Consigliere Dott. CAVALLARO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LELIO MARITATO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 1.9.2010, la Corte d’appello di Salerno confermava la statuizione di primo grado che aveva rigettato l’opposizione proposta da S.G. avverso la cartella esattoriale con cui gli era stato richiesto il pagamento di somme per contributi omessi in danno di personale risultato assunto alle sue dipendenze, la debenza dei quali era già stata accertata con decreto ingiuntivo passato in giudicato a seguito del rigetto della relativa opposizione.

La Corte, in particolare, riteneva che non vi fosse prova che la cessione del credito dall’INPS alla società di cartolarizzazione fosse intervenuta all’atto della procedura monitoria a suo tempo intrapresa dall’Istituto e che, comunque, l’iscrizione a ruolo, lungi dal costituire una duplicazione del titolo, costituiva un mero rafforzamento della tutela del diritto; sotto altro profilo, poi, qualificata l’azione proposta dall’appellante come opposizione agli atti esecutivi, essendo volta a contestare la regolarità dell’iscrizione a ruolo, ne rilevava la tardività e, ritenuta altresì l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione, rigettava complessivamente l’appello, compensando le spese.

Contro tale pronuncia ricorre S.G., formulando una molteplicità di censure, illustrate con memoria, con cui lamenta violazioni di legge, vizi di motivazione ed errores in procedendo. L’INPS resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

Benchè formalmente il ricorrente abbia articolato le censure rivolte alla sentenza in quattro distinti motivi (cfr. pagg. 6-20 del ricorso per cassazione), è agevole rilevare che ciascuno degli anzidetti motivi costituisce in realtà il frutto di una mescolanza e sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, deducendosi, in ognuno di essi, plurime violazioni di legge sostanziale e processuale e vizi di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione: alla fine dell’esposizione del primo paragrafo, infatti, si denuncia “violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1262, 1266, 2818, 2909, 2934 e 2946 c.c.; artt. 99, 100, 111, 474, 475, 476, 615 e 617 c.p.c.; L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 13, commi 1, 3, 4, 6, 8, 9, 10 e 11; D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 5 e art. 25, comma 1, lett. b); omessa, contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5”; alla fine del secondo paragrafo, “violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2909 e 2946 c.c.; artt. 100, 111, 474, 475 e 476 c.p.c.; omessa, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5; D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 25, 26, 27 e 49; artt. 22, 23 e 25 L. (sic) 26 febbraio 1999, n. 46; L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3 comma 9”; alla fine del terzo, paragrafo, “violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2909 e 2946 c.c.; art. 100 c.p.c.; omessa, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5”; e non dissimilmente, alla fine del quarto paragrafo, “violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 2909 c.c.; artt. 99, 100 e 112 c.p.c.; omessa, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5”.

Ora, costituisce orientamento ormai consolidato di questa Corte il principio secondo cui il fatto che un motivo di ricorso sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, a condizione però che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi (Cass. S.U. n. 9100 del 2015): l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti la verifica dell’interpretazione della legge compiuta dal giudice del merito, della correttezza o meno della sussunzione dei fatti accertati entro il paradigma normativo ritenuto applicabile e degli eventuali vizi logici dell’accertamento compiuto sui fatti di causa non debbono infatti tradursi in una rimessione al giudice di legittimità del compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, giacchè, così facendo, si attribuirebbe inammissibilmente al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. in tal senso già Cass. n. 19443 del 2011). E poichè, come dianzi rilevato, tanto deve dirsi nel caso di specie, non risultando possibile la verifica delle censure rivolte dal ricorrente alla varie statuizioni della sentenza impugnata senza prima isolare ciascun mezzo di impugnazione dall’insieme degli altri per poi ricercare quale disposizione sarebbe stata violata, il ricorso – in disparte il fatto che le doglianze argomentate con riguardo a documenti e atti processuali sono dedotte in violazione dei canoni di specificità e autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6, non riportandosi il contenuto dei documenti e degli atti processuali ignorati o erroneamente interpretati dalla Corte di merito nè provvedendo a indicare dove essi sarebbero attualmente reperibili – deve reputarsi radicalmente inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2017

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