Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17088 del 26/06/2019

Cassazione civile sez. VI, 26/06/2019, (ud. 12/12/2018, dep. 26/06/2019), n.17088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12892-2017 proposto da:

P.E., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO AMILCARE

PONCHIELLI, presso lo studio dell’avvocato GIANLIVIO FASCIANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIA PAPALUCA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE, SOCIALI DIREZIONE PROVINCIALE

LAVORO ROMA, EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 21196/2016 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 11/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Giudice di pace di Roma, con sentenza n. 48306 del 2012, rigettava l’opposizione proposta da P.E. e dalla Società cooperativa italiana autotrasporti e servizi avverso il verbale dell’11.6.2010 redatto dagli Ispettori del lavoro, con il quale gli era stata irrogata una sanzione amministrativa pari a 3.750,00 per la violazione del Reg. CEE n. 561/2006, artt. 6, 7 e 8, in materia di orario di lavoro nel settore del trasporto su strada.

A seguito di appello interposto dal solo P., il Tribunale di Roma, con sentenza n. 21196 del 2016, rigettava il gravame, confermando la sentenza di primo grado.

Avverso la sentenza del Tribunale di Roma, il P. ha proposto ricorso per cassazione, fondato su quattro motivi.

Sono rimasti intimati il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ed Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a..

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata al difensore del ricorrente, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

ATTESO che:

con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 200 e ss. C.d.S., in combinato disposto con l’art. 24 Cost., per non avere l’Amministrazione proceduto alla contestazione immediata dell’infrazione, di cui all’art. 200 C.d.S., senza alcuna motivazione, e per non avere comunque rispettato il termine di 150 giorni, prescritto dall’art. 201 C.d.S., tra l’accertamento della violazione e la notifica del verbale.

La censura non può trovare ingresso.

L’art. 200 C.d.S., prevede, infatti, che la violazione deve essere immediatamente contestata al trasgressore “quando è possibile”, dovendo altrimenti procedersi alla notifica del verbale ex art. 201.

Il senso della locuzione “quando è possibile” è chiarito dall’art. 384 reg. esec. c.p.c., (D.P.R. n. 495 del 1992), ove si indicano esemplificativamente alcuni casi di materiale impossibilità della contestazione immediata (Cass. 19902 del 2009e Cass. n. 23222 del 2013).

Nella specie, dalla sentenza impugnata risulta che l’omessa contestazione immediata dell’infrazione al P. è stata dovuta dalla sua materiale impossibilità per il fatto che i dischi cronotachigrafi sono stati consegnati dall’impresa soltanto successivamente alla data dell’ispezione, con la conseguenza che la contestazione è stata effettuata solo dopo il loro esame. Quanto al rispetto, da parte dell’Amministrazione, del termine di decadenza per la notifica del verbale, di cui all’art. 200 C.d.S., occorre osservare che sul punto il giudice di merito ha rilevato l’inammissibilità dell’eccezione di decadenza sollevata dal P. perchè proposta solo con le note conclusionali depositate il 27.1.2016. Tale motivazione non viene censurata dal ricorrente; il quale si limita ad osservare di aver ricevuto il verbale in data 22.6.2010, anzichè in data 21.6.2010.

Orbene, come chiarito da questa Corte (sentenza n. 4453 del 2012), alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002, in tema di illeciti amministrativi conseguenti a violazioni del C.d.S., è tempestiva la notificazione del verbale di contestazione se, nel termine di centocinquanta giorni dall’accertamento, previsto dall’art. 201 del medesimo testo normativo, tale atto sia stato consegnato all’ufficio postale, irrilevante essendo invece la data di ricezione da parte del destinatario.

Nella specie, dunque, non solo il ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, ma indica (unicamente) una data, quella della ricezione della contestazione, irrilevante al fine di verificare la tempestività della notifica del verbale;

– con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 7 Statuto del contribuente, in combinato disposto con la L. n. 241 del 1990, art. 3, per non essere stati indicati nel verbale, con cui è stata irrogata la sanzione, nè l’autorità territorialmente competente a conoscere dell’impugnativa, nè il responsabile del procedimento.

La censura non può trovare ingresso.

Premesso che, come chiarito da questa Corte (sentenza n. 4363 del 2015), in tema di sanzioni amministrative, il procedimento preordinato alla loro irrogazione sfugge all’ambito di applicazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, in quanto, per la sua natura sanzionatoria, è compiutamente retto dai principi sanciti dalla L. 21 novembre 1981, n. 689, nel merito, il contenuto del verbale di accertamento è precisato dall’art. 383 reg. esec. c.p.c., (D.P.R. n. 495 del 1992), il quale non fa menzione della necessità di indicare nè l’autorità territorialmente competente a conoscere dell’impugnativa, nè il responsabile del procedimento, prescrivendo, al contrario che “il verbale deve contenere l’indicazione del giorno, dell’ora e della località nei quali la violazione è avvenuta, delle generalità e della residenza del trasgressore e, ove del caso, l’indicazione del proprietario del veicolo, o del soggetto solidale, degli estremi della patente di guida, del tipo del veicolo e della targa di riconoscimento, la sommaria esposizione del fatto, nonchè la citazione della norma violata e le eventuali dichiarazioni delle quali il trasgressore chiede l’inserzione”.

Poichè il ricorrente non si duole della mancanza di alcuno di detti elementi la censura va respinta;

– con il terzo e il quarto motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione del Reg. CEE n. 561/2006 e n. 3821/85, nonchè degli artt. 11 e 11 bis del CCNL, di settore, per avere l’Amministrazione irrogato la sanzione sulla base delle risultanze della scheda tachigrafica pur avendola il P. lasciata fissa nel veicolo, e per l’effetto conteggiato, ai fini del calcolo delle ore totali di guida settimanali, anche le ore in cui l’autista non era alla guida.

Il motivo è infondato.

Come di recente ribadito da questa Corte (sentenza n. 22896 del 2018) in tema di violazioni delle disposizioni previste dall’art. 174 C.d.S., l’esame dei dischi cronotachigrafi installati sull’autoveicolo è finalizzato all’accertamento del rispetto dei limiti temporali dell’orario di lavoro, essendo gli stessi necessari, appunto, per potere controllare se siano stati rispettati gli orari di guida e di riposo, che pure vengono registrati, al fine di individuare eventuali illeciti amministrativi.

Il giudice di merito ha, dunque, fatto buon governo dei principi sopra esposti, affermando che il cronotachigrafo digitale, collocato nel veicolo del P., aveva fornito dati certi al fine di documentare l’effettivo orario di guida e quindi di lavoro.

A fronte di tale accertamento, il P. avrebbe dovuto allegare e provare un’alternanza continua nell’uso del veicolo e non limitarsi a dedurre che l’orario di lavoro registrato dalla scheda tachigrafica non corrispondesse a quello da lui effettivamente svolto.

In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Nessuna pronuncia sulle spese processuali in mancanza di difese da parte dell’intimata.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 12 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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