Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17088 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/07/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 21/07/2010), n.17088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, BIONDI GIOVANNA, VALENTE NICOLA, giusta mandato in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 341/2007 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 21/02/2007 r.g.n. 3323/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2010 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

T.A. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale del lavoro di Lecce che aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere con riferimento alla domanda da essa proposta nei confronti dell’INPS, sostenendo che il riconoscimento del diritto alla trasformazione del trattamento di invalidità in pensione di vecchiaia, operato dall’Istituto in corso di causa, non sarebbe stato completamente satisfattivo, in quanto l’INPS ne aveva stabilito la decorrenza prendendo a riferimento la data di presentazione della istanza amministrativa di conversione e non l’epoca della maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi utili per la pensione di vecchiaia.

Con la sentenza qui impugnata la Corte d’appello di Lecce ha accolto la domanda dell’assicurata osservando che la trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia è stata ritenuta consentita dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (sent. 9492 e 8433 del 2004) e che la giurisprudenza della stessa Corte (sent. n. 622 del 2005), richiamata dall’Istituto previdenziale a conforto della tesi secondo cui la decorrenza della suddetta trasformazione è da riportare alla data della relativa istanza amministrativa, riguardava tutt’altra fattispecie rispetto a quella dedotta in causa.

Contro questa sentenza l’INPS ha proposto ricorso fondato su un unico motivo.

L’intimata non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’INPS denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 22 del 1984, art. 1, comma 10, del R.D.L. n. 463 del 1983, art. 8, convertito in L. n. 638 del 1983, nonchè del R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 60 del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 9, della L. n. 218 del 1952, art. 2 del D.Lgs. n. 503 del 1992, artt. 1, 2, 5 e 6 (tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) e, premesso che la Corte territoriale, anche se ha menzionato inesattamente il diverso istituto dell'”assegno di invalidità”, ha. tuttavia, in sostanza dichiarato il diritto dell’appellante alla trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia dalla data del compimento dell’età pensionabile, sostiene che la pensione di invalidità acquisita nel regime normativo precedente l’entrata in vigore della L. n. 222 del 1984 non si trasforma automaticamente in pensione di vecchiaia al perfezionarsi dei relativi requisiti, tale effetto automatico essendo stato previsto dalla legge suddetta solamente (art. 10) per l’assegno di invalidità; conseguendone, per l’assicurato, la necessità di presentare la domanda di trasformazione, la cui data rileva anche ai fini della decorrenza della pensione di vecchiaia.

Il ricorso è fondato.

Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (in particolare: da Cass. n. 622 del 2005, che, diversamente da quanto si afferma nella sentenza impugnata, affronta specificamente – e risolve nel senso prospettato dall’INPS – la questione della trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia; nonchè da Cass. n,855 del 2006, n. 4392 del 2007, nn. 2879 e 18580 del 2008, nn. 21292 e 24772 del 2009 e numerose altre conformi), nessuna disposizione normativa espressamente prevede l’automatica trasformazione della pensione di invalidità di cui al R.D.L. n. 636 del 1939, in pensione di vecchiaia al compimento dell’età stabilita per il diritto a quest’ultima.

Del resto, la stessa possibilità di mutamento del titolo di pensione – anche nei casi di domanda dell’assicurato – è stata per anni oggetto di contrasto in dottrina e in giurisprudenza.

Detto contrasto, poi, per ciò che riguarda la trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia, è stato risolto in senso affermativo dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 8433 del 2004, richiamando la previsione di trasformazione dettata, per l’assegno di invalidità, dalla L. n. 222 del 1984, art. 1 ed osservando che i trattamenti di invalidità, così come la pensione di vecchiaia, costituiscono forme di tutela che garantiscono il diritto del lavoratore a mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, in attuazione dell’art. 38 Cost..

Peraltro ammettere una siffatta possibilità di conversione non significa affermare che essa operi automaticamente al verificarsi di un certo evento (nel caso, il compimento dell’età pensionabile).

Nè un’estensione alla pensione di invalidità acquisita nel precedente regime della disciplina dettata per l’assegno dalla L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10, è sostenibile in via di interpretazione analogica (non consentita per le disposizioni di legge che fanno eccezione a una “regola”, qual è, in via di principio, quella che rimette alla scelta del pensionato la mutabilità del titolo) e neppure in via di interpretazione estensiva (vedi sui limiti della interpretazione estensiva delle disposizioni “eccezionali” o “derogatorie” rispetto ad una avente natura di “regola”: Cass. n. 9205 del 1999), in ragione delle profonde differenze che corrono tra le due prestazioni, così come emergono dalle rispettive regolazioni normative (e che rendono la pensione di invalidità molto più favorevole per rassicurato dell’assegno).

Basti considerare che l’assegno è prestazione di carattere non definitivo (ha durata triennale e, per la conferma, necessita di domanda del titolare: L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 7) e non è reversibile ai superstiti (art. 1, comma 6, della citata legge);

mentre la “vecchia” pensione di invalidità ha carattere definitivo (è, infatti, soggetta solo a revoca per riacquisto della capacità di guadagno: R.D.L. n. 636 del 1939, art. 10), è reversibile ai superstiti, è integrabile al minimo (a differenza dell’assegno) e ne è espressamente consentita la conservazione in luogo del trattamento di vecchiaia dal r.d.l. n. 636 del 1939, art. 10, ultima alinea del comma 3 (nel testo risultante dalle modifiche apportate con il D.L. n. 463 del 1983, art. 8 conv. nella L. n. 638 del 1983), nella parte in cui stabilisce che la corresponsione della pensione di invalidità che sia stata sospesa (per i titolari di età inferiore a quella prevista per il pensionamento di vecchiaia e in possesso di redditi superiori a un certo ammontare) è ripristinata “al raggiungimento dell’età prevista per il pensionamento di vecchiaia dai rispettivi ordinamenti”. E ciò senza trascurare la previsione della L. 23 aprile 1981, n. 155, art. 6, comma 2, che riconosce all’assicurato la facoltà di “”scegliere”, attraverso una specifica richiesta, la decorrenza della pensione di vecchiaia, purchè tale decorrenza venga indicata contestualmente alla presentazione della domanda di pensione.

Sarebbe, quindi, privo di razionale fondamento (e, dunque, non giustificabile) estendere, attraverso il ricorso a metodologie interpretative, quella che è, per certo, una previsione di favore per l’assicurato a una prestazione, come la pensione di invalidità, per la quale potrebbe rivelarsi non altrettanto vantaggiosa, se non altro per il caso di una sua maggiore consistenza economica, che potrebbe renderne più conveniente la conservazione nonostante la maturazione dei requisiti prescritti per il diritto alla pensione di vecchiaia.

In conclusione, il difetto di una specifica previsione di legge che espressamente stabilisca l’automatica trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia al compimento dell’età pensionabile deve intendersi come riconoscimento al titolare della pensione di invalidità (libero di valutare i vantaggi della sua trasformazione nell’altro trattamento previdenziale) di uno specifico diritto di opzione, si che la trasformazione medesima non può che essere conseguente a una sua espressa domanda in tal senso.

Tanto comporta che la sentenza d’appello deve ritenersi giuridicamente errata nella parte in cui afferma che la pensione di invalidità dell’odierna intimata si era automaticamente trasformata in pensione di vecchiaia al perfezionarsi dei requisiti previsti per quest’ultima, necessitando, all’opposto, un’apposita domanda dell’interessato, la quale rileva anche ai fini della decorrenza de trattamento di vecchiaia che, dunque (giusta la previsione del D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 18), coinciderà con il primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda medesima.

Il ricorso dell’INPS va, pertanto, accolto conseguendone la cassazione della sentenza impugnata. La causa può, tuttavia, essere decisa direttamente nel merito da questa Corte nel senso del rigetto della domanda della pensionata, posto che tra le parti si controverte solamente sulla decorrenza del diritto alla trasformazione.

Ravvisa la Corte nel diverso esito dei giudizi di merito la sussistenza di giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell’intero processo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA