Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17088 del 08/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 08/08/2011, (ud. 21/06/2011, dep. 08/08/2011), n.17088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BRESCIA 29, presso lo studio dell’avvocato ZACHEO FRANCESCO,

rappresentato e difeso dagli avvocati BALDUCCI CATALDO, CARACUTA

FERNANDO, MICCOLIS GIUSEPPE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati MERCANTI

Valerio, ELISABETTA LANZETTA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 20965/2006 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 30/11/2006 R.G.N. 229408/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato LANZETTA ELISABETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata respinge il ricorso presentato ex art. 412-quater cod. proc. civ. da D.F.G. per l’annullamento del lodo arbitrale adottato dal Collegio arbitrale di disciplina istituito presso l’INPS il 2 novembre 2005 nonchè per l’annullamento del licenziamento senza preavviso irrogato al ricorrente dal Direttore centrale Sviluppo e Gestione risorse umane con determinazione n. 268 del 13 giugno 2005.

Il Tribunale di Roma precisa che:

a) secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza, con l’introduzione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 59-bis, ad opera del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 28, la decisione del collegio arbitrale di disciplina in oggetto ha natura di lodo arbitrale irrituale, come tale impugnabile, in unico grado, davanti al Tribunale;

b) tale impostazione appare condivisa da entrambe le parti;

c) dalla natura irrituale del lodo discende che in sede giudiziale non è ammessa la sindacabilità delle valutazioni di merito affidate alla discrezionalità degli arbitri, mentre resta salvo il controllo sia sull’esistenza di vizi idonei a inficiare la determinazione degli arbitri per alterata o falsa rappresentazione dei fatti sia sulla osservanza delle disposizioni di legge e/o di contratti o accordi collettivi;

d) nel caso in esame il ricorrente non ha di fatto lamentato un errore essenziale degli arbitri per falsa rappresentazione della realtà, benchè abbia mosso censure avverso la valuta/ione degli arbitri in ordine ad alcune circostanze di fatto, censure che rappresentano peraltro una ripetizione delle questioni di merito sottoposte all’esame degli arbitri:

e) comunque, quanto all’eccepita violazione di legge per errore ex artt. 1428 e 1429 cod. civ. in merito all’efficacia della sentenza c.d. di patteggiamento, si rileva che la giurisprudenza costituzionale e di legittimità hanno affermato che, in base al testo degli artt. 445 e 653 cod. proc. pen. risultante dalle modifiche introdotte dalla L. 27 marzo 2001, n. 97, la suddetta sentenza ha effetto nel procedimento disciplinare;

f) va esclusa anche l’eccepita tardi vita dell’avvio del procedimento disciplinare perchè la decorrenza del relativo termine (peraltro non perentorio) di 20 giorni (stabilito dall’art. 3 della Raccolta coordinata delle disposizioni in materia disciplinare dell’INPS) non può essere individuata nella data (8 luglio 2002) dell’informativa del Direttore della sede dell’INPS di Casarano al Direttore generale in quanto -come indicato dal Collegio arbitrale e contestato del tutto genericamente dal ricorrente l’Istituto è stato messo in condizione di avviare il procedimento disciplinare e contestare i relativi addebiti solo con la ricezione (avvenuta il 17 ottobre 2003) dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del D.;

g) gli altri profili di illegittimità dedotti si sostanziano in lamentele sul mancato espletamento di nuovi accertamenti;

h) invero, i fatti accertati in sede penale a carico del ricorrente e non specificamente contestati (qualificati, in sede penale, come reati di violenza sessuale, violenza privata, molestie e ingiuria) costituiscono di per sè violazione del vincolo fiduciario tale da giustificare il recesso in tronco del rapporto;

i) risulta che al lavoratore è stata ampiamente riconosciuta la possibilità di presentare le proprie difese e giustificazioni scritte, anche con riguardo agli ulteriori addebiti ritualmente contestatigli;

j) comunque, la motivazione del lodo esplica in modo puntuale il procedimento logico – giuridico seguito dal Collegio arbitrale per giungere alla decisione;

k) per le suesposte ragioni il lodo impugnato è da considerare pienamente legittimo, non essendo stata accertata una falsa rappresentazione della realtà tale da inficiare la volontà degli arbitri, nè alcuna altra violazione di norme di legge.

2.- Il ricorso di D.F.G. domanda la cassazione della sentenza per tre motivi: resiste con controricorso l’INPS, che deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi del primo motivo.

1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia contraddittoria, illogica e insufficiente motivazione in ordine ad un circostanza decisiva della controversia.

Si assume che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica, contraddittoria e insufficiente ove, dopo l’apodittica affermazione secondo cui il ricorrente non avrebbe prospettato un errore essenziale degli arbitri per falsa rappresentazione della realtà (essendosi soltanto limitato a riproporre le stesse censure di merito dedotte in sede arbitrale), perviene al rigetto nel merito delle eccezioni di violazione di legge per errore ex artt. 1428 e 1429 cod. civ. sulla valutazione degli effetti della sentenza di patteggiamento, sicuramente riguardanti un errore essenziale commesso dagli arbitri, in grado di determinare una falsa rappresentazione della realtà.

2 – Esame del primo motivo.

1.1.- Il primo motivo non è fondato.

Infatti, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente non si riscontra alcuna contraddittorietà nella motivazione della sentenza sul punto indicato.

Il Tribunale, muovendo dal presupposto condiviso da entrambe le parti della natura irrituale del lodo in oggetto, ha affermato l’inammissibilità delle censure proposte dal D., perchè attinenti a profili di merito preclusi al giudice dell’impugnazione, in particolare riguardanti il provvedimento di licenziamento e non anche il lodo, sotto il profilo della sussistenza di vizi di manifestazione della volontà degli arbitri.

A tale statuizione – conforme al costante orientamento di questa Corte (vedi, per tutte: Cass. SU 1 dicembre 2009. n. 25253; Cass. 4 aprile 2002, n. 4841) – del tutto autosufficiente e confermata nella parte finale della sentenza, è stato aggiunto – per scrupolo motivazionale – un obiter dictum, facilmente riconoscibile come tale perchè introdotto dall’espressione “in ogni caso”, nel quale si è soltanto ricordato – senza, peraltro, disporre alcun rigetto nel merito della relativa censura del ricorrente – che la evoluzione della giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha chiarito che, in base al nuovo testo degli artt. 445 e 653 cod. proc. pen., la sentenza emessa a seguito di c.d. patteggiamento ha efficacia nel giudizio disciplinare, come è stato ritenuto dagli arbitri, nel caso in esame.

3 – Sintesi del secondo motivo – Primo profilo di censura.

2.- Con il secondo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto:

a) si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 445 e 653 cod. proc. pen.; b) si eccepisce l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dei suddetti artt. 445 e 653 cod. proc. pen.. in riferimento agli artt. 3, 24 e 35 Cost..

Per quel che riguarda il primo profilo di censura, il ricorrente sottolinea che l’indirizzo ermeneutico seguito dal Tribunale di Roma secondo cui – in base al nuovo testo degli artt. 445 e 653 cod. proc. pen., introdotto dalla L. n. 97 del 2001 – la sentenza emessa a seguito di c.d. patteggiamento è efficace anche nell’ambito del procedimento disciplinare per quanto riguarda l’accertamento dei fatti esaminati in sede penale, benchè conforme alla giurisprudenza di legittimità successiva alla suddetta novella legislativa (si cita: Cass. 29 marzo 2005. n. 6601). tuttavia si basa su una erronea interpretazione del citato art. 445 cod. proc. pen. Tale disposizione, infatti, non esclude che sui fatti sui quali è intervenuta la sentenza penale, in sede disciplinare possano essere disposti nuovi e autonomi accertamenti.

4 – Esame del primo profilo di censura del secondo motivo.

2.1. Anche il suindicato profilo di censura non è fondato.

Come stabilito, in un primo momento, nella sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 2004 e poi da un costante e condiviso orientamento di questa Corte (vedi, per tutte: Cass. 29 marzo 2005.

n. 6601: Cass. SU 24 novembre 2010. n. 23778; Cass. 22 luglio 2009, n. 17113; Cass. 19 gennaio 2011. n. 1141). a seguito delle modifiche normative introdotte dalla L. 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), i rapporti tra processo penale e procedimento disciplinare sono molto cambiati rispetto al passato.

Per quanto riguarda 1″efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare a carico del pubblico dipendente, l’art. 653 cod. proc. pen. in precedenza prevedeva che soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione, e non anche quella di condanna, avesse valore di giudicato, limitatamente all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità.

A seguito delle modifiche recate dalla predetta L. n. 97 del 2001, l’art. 653 cod. proc. pen. vigente non solo ha confermato l’efficacia di giudicato nel giudizio di responsabilità disciplinare della sentenza penale irrevocabile di assoluzione, precisando che essa fa stato “quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso”, ma, innovando rispetto al passato, ha disposto l’efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare anche della sentenza penale irrevocabile di condanna in relazione all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.

La L. n. 97 del 2001, art. 2 con la modifica apportata all’art. 445 cod. proc. pen., ha innovato anche la disciplina relativa all’efficacia della sentenza di applicazione della pena su richiesta nel giudizio disciplinare, prevedendo che tale sentenza ha efficacia nei procedimenti disciplinari quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.

2.2.- Nella specie, peraltro, il Tribunale si è limitato a ricordare i suddetti principi in un obiter dictum, dopo essersi pronunciato nel senso della inammissibilità delle censure effettuate sul punto dal ricorrente.

Conseguentemente, il profilo di censura in oggetto non è conferente rispetto al decisum della sentenza impugnata e per questo va respinto.

5 – Eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 445 c.p.p., comma 1 bis.

2.3.- In via subordinata, si eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 445 c.p.p., comma 1 bis nella parte relativa alla piena efficacia attribuita (quanto meno per l’accertamento dei fatti) alla sentenza ivi prevista nei procedimenti disciplinari, in riferimento a : a) l’art. 3 Cost. per l’irragionevole diversità di trattamento dei procedimenti disciplinari, rispetto a quelli civili e amministrativi (per i quali la sentenza stessa non può avere alcuna efficacia, salvo casi eccezionali); b) gli artt. 3 e 35 Cost.. in quanto, in linea generale, sarebbe riservato ai lavoratori un trattamento deteriore rispetto agli altri soggetti e poi. in particolare, si prevedrebbe una disciplina diversa, rispettivamente, per i lavoratori privati e per quelli del settore pubblico, visto che l’art. 653 cod. proc. pen. richiamato dall’art. 445 cod. proc. pen. può riferirsi soltanto ai lavoratori che possono essere sottoposti a procedimenti disciplinari innanzi a pubbliche autorità; c) l’art. 24 Cost., comma 2, in quanto si determinerebbe una determinante compressione del diritto del lavoratore di difendersi nell’ambito del procedimento disciplinare.

2.4.- Da quanto si è detto sopra si desume che la prospettata eccezione di illegittimità costituzionale è del tutto carente del necessario requisito della rilevanza nel presente giudizio e va, pertanto, respinta.

Va, peraltro, ricordato che, con la sentenza n. 336 del 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata una questione analoga a quella ipotizzata dal ricorrente e, precisamente, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 445 c.p.p., comma 1 bis, e art. 653 c.p.p., comma 1 bis sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., comma 2, all’art. 24 Cost., comma 2, e all’art. 111 Cost., comma 2.

6 – Sintesi del terzo motivo.

3.- Con il terzo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55; b) violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del c.c.n.l. 6 luglio 1995 per il personale dirigente degli enti pubblici non economici; c) insufficiente e illogica motivazione in ordine ad un fatto decisivo della controversia.

Si contesta che, con riguardo all’affermata tempestività della contestazione dell’addebito (prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55), il Tribunale abbia deciso di aderire alla tesi del Collegio arbitrale secondo cui la decorrenza del relativo termine di venti giorni (ai sensi dell’art. 27 del c.c.n.l. del 6 luglio 1995) si deve far coincidere con l’avvenuta conoscenza da parte dell’INPS della ordinanza degli arresti domiciliari emessa in sede penale, anzichè con la data in cui l’Istituto datore di lavoro è venuto a conoscenza, in qualsiasi modo, degli elementi integranti gli estremi per l’avvio del procedimento disciplinare.

7 – Esame del terzo motivo.

3.1. Anche il terzo motivo non è fondato.

Infatti, si tratta di una censura che non aggredisce una statuizione decisoria della sentenza impugnata, ma un suo argomento ad abundantiam.

Ciò e facilmente desumibile dal fatto che il passo della sentenza in cui si fa riferimento alla questione della prospettata tardività dell’avvio del procedimento è preceduto dalla dichiarazione di inammissibilità di tutte le censure proposte dal D. – perchè riguardanti il merito delle valutazioni effettuate dagli arbitri – ed è seguito dalla constatazione della assoluta genericità delle allegazioni sul punto contenute nel ricorso al Tribunale.

8 – Conclusioni.

4.- In sintesi, il ricorso deve essere rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 2500,00 per onorari, con accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2011

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