Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17087 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/07/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 21/07/2010), n.17087

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

STAZIONE MONTE MARIO 9, presso lo studio delL’avvocato GULLO

ALESSANDRA, rappresentata e difesa dall’avvocato MAGARAGGIA GIUSEPPE,

giusta procura speciale atto notar ROSARIO PALLARA di Lecce del

24/01/08, rep. 19476;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, GIANNICO GIUSEPPINA, giusta mandato in

calce al ricorso;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI CASARANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1274/2007 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 30/05/2007 r.g.n. 2977/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2010 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Lecce, sulla base della consulenza tecnica di ufficio, accoglieva la domanda di P.I., intesa ad ottenere dall’INPS l’indennita’ di accompagnamento, fissandone, tuttavia, la decorrenza dal 1 marzo 2004, anziche’ dalla data della domanda amministrativa (14.6.2001).

Impugnata dalla P., la decisione di primo grado e’ stata confermata dalla Corte d’appello di Lecce con sentenza del 30 maggio 2007, previa rinnovazione della c.t.u..

Per la cassazione di tale sentenza la P. ha proposto ricorso fondato su due motivi. L’INPS resiste con controricorso. Il Comune di Casarano, anch’esso intimato, non si e’ costituito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo, denunciando omessa e insufficiente motivazione in relazione alla L. n. 18 del 1980, art. 1 alla L. n. 508 del 1988 e al D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 6, la ricorrente sostiene che la valutazione relativa al momento di insorgenza dello stato invalidante non terrebbe conto della documentazione richiamata nei motivi di appello, dalla quale risultava l’esistenza, gia’ al tempo della istanza amministrativa, di un complesso quadro patologico (sindrome depressiva cronica, ipoacusia, poliartrosi diffusa in soggetto obeso, cardiopatia ischemica ipertensiva) comportante la impossibilita’ di compiere gli atti quotidiani della vita.

2. Nel secondo motivo, sempre con denuncia di violazione delle indicate norme di legge e degli stessi vizi di motivazione, si sostiene che la Corte di merito non ha tenuto conto della “ratio” normativa, cosi’ come evidenziata dalla giurisprudenza di legittimita’, la quale riconosce il diritto alla indennita’ di accompagnamento ai soggetti affetti da disturbi psichici che determinino l’impossibilita’, per chi ne e’ affetto, di autogestirsi non solo in senso fisico ma come capacita’ di intendere il significato e l’importanza dei propri atti, anche ai fini della salvaguardia della propria condizione psico fisica.

3. Il ricorso non e’ fondato.

4. Quanto al primo motivo, e’ principio ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte, quello secondo cui in materia di prestazioni previdenziali o assistenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute del richiedente, il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio e’ ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non puo’ prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre, al di fuori di tale ambito, e censure alle valutazioni operate dall’ausiliare tecnico (e fatte proprie dal giudice di appello) costituiscono un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale e si traducono, quindi, in una inammissibile critica al convincimento del giudice (cfr., da ultimo. Cass. n. 9988 del 2009, n. 8654 del 2008).

Si e’ altresi’ affermato, con principio che il Collegio qui ribadisce, che “non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca “per relationem” le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica di ufficio di cui dichiari di condividere il merito; pertanto, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, tale motivazione e’ necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza gia’ dinanzi al giudice a qua , la loro rilevanza ai fini della decisione e il loro omesso esame da parte del medesimo giudice; al contrario una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimita’ (Cass. n. 10222 del 2009).

Detti principi tornano pienamente applicabili nel caso concreto, nel quale il giudice d’appello non si e’ limitato a dichiarare di condividere le conclusioni della consulenza tecnica espletata in secondo grado quanto al momento in cui le patologie rilevate a carico della P. (“insufficienza cardio – respiratoria in cardiopatica ipertesa scompensata e bronchite con ossigeno – terapia a permanenza; obesita’, artrosi polidistrettuale con grave impegno funzionale con deficit della deambulazione e dei passaggi posturali;

ipoacusia grave; sindrome depressiva involutiva”) avevano raggiunto, nel loro complesso, una evoluzione peggiorativa tale da compromettere la capacita’ della ricorrente di attendere autonomamente agli atti della vita quotidiana e da giustificare, quindi, la necessita’ di un aiuto attraverso l’attribuzione del trattamento assistenziale richiesto, ma ha dato, altresi’, motivata risposta alle osservazioni critiche che l’appellante aveva formulato alla CTU di secondo grado, definendole generiche perche’ riproduttive di questioni gia’ esaminate e vagliate in sede peritale senza essere suffragate da nuovi probanti elementi obiettivi.

I rilievi che in questa sede la ricorrente muove alla sentenza impugnata non sembrano tener conto della suddetta, articolata, motivazione, che, in sostanza, si censura, per un verso, sostenendosi che la Corte di merito non ha tenuto conto delle critiche formulate , con i motivi di appello, nei confronti della consulenza espletata in primo grado (e si tratta di censura inammissibile, costituendo risposta adeguata a tali critiche la rinnovazione della CTU disposta dal giudice d’appello: vedi Cass. n. 334 del 1998, n. 7985 del 2000, n. 8571 del 2004) e, sotto altro profilo, contrapponendosi (altrettanto inammissibilmente giusta il principio su enunciato) alla valutazione dell’ausiliare tecnico, recepita dal giudice di appello, un diverso apprezzamento della rilevanza delle accertate patologie ai fini della richiesta tutela assistenziale, posto che il ricorso non contiene una specifica indicazione delle critiche alla consulenza tecnica di secondo grado che non sarebbero state esaminate dal medesimo giudice, ne’ evidenzia l’esistenza, nell’indagine medico – legale, di carenze diagnostiche ovvero di errori scientifici tali da comportare, se opportunamente rilevati, una decisione diversa da quella adottata.

5. In ordine, poi, alla questione posta nel secondo motivo, deve osservarsi, quanto alla ratio delle disposizioni di legge, di cui si assume la violazione, che la piu’ recente giurisprudenza della Corte e’ nel senso, qui condiviso, che “Le condizioni previste della L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1 (nel testo modificato dalla L. 21 novembre 1988, n. 508, art. 1, comma 2) per l’attribuzione dell’indennita’ di accompagnamento consistono, alternativamente, nell’impossibilita’ di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure nell’incapacita’ di compiere gli atti quotidiani della vita senza continua assistenza; ai fini della valutazione non rilevano episodici contesti, ma e’ richiesta la verifica della loro costante inerenza al soggetto, non in rapporto ad una soltanto delle possibili esplicazioni del vivere quotidiano, ovvero della necessita’ di assistenza determinata da patologie particolari e finalizzata al compimento di alcuni, specifici, atti della vita quotidiana, rilevando, quindi, requisiti diversi e piu’ rigorosi della semplice difficolta’ di deambulazione o di compimento degli atti della vita quotidiana e configuranti impossibilita’. Tali requisiti sono richiesti anche per gli ultrasessantacinquenni, poiche’ il D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, art. 6 (che ha aggiunto il comma 3 alla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 2), lungi dal configurare un’autonoma ipotesi di attribuzione dell’indennita’, pone solo le condizioni perche’ detti soggetti siano considerati mutilati o invalidi – in analogia a quanto disposto per i minori di anni diciotto dalla L. n. 118 del 1971, art. 2, comma 2 nel testo originario – non potendosi, per entrambe le categorie, far riferimento alla riduzione della capacita’ lavorativa (cfr. Cass. n. 12521 del 2009; conf. Cass. n. 10281 del 2003).

A loro volta, se conformi a tale “ratio” – in relazione alla quale il diritto all’indennita’ di accompagnamento va riconosciuto anche a favore dei soggetti che, pur essendo materialmente capaci di compiere gli atti della vita quotidiana, necessitano della presenza costante di un accompagnatore per la presenza di gravi disturbi della sfera intellettiva, cognitiva o volitiva che impedisca loro di determinarsi autonomamente al compimento di tali atti – le valutazioni del giudice di merito a proposito della ricorrenza , in concreto, di disturbi mentali tali da incidere costantemente sulla capacita’ del soggetto di autodeterminarsi, costituiscono un accertamento di fatto, censurabile in sede di legittimita’ solo attraverso la denuncia di vizi di motivazione; vizi che, come gia’ detto, nella specie, in realta’, non sono dedotti, limitandosi la ricorrente a trascrivere una serie di “precedenti” di giurisprudenza, senza, peraltro, indicare specifiche omissioni o lacune nella valutazione che la Corte territoriale, sulla scorta della rinnovata CTU e sulla base della prodotta documentazione medica, ha espresso a proposito della gravita’ delle affezioni riscontrate sulla periziando in particolare, (anche) in ordine alla entita’ della sindrome depressiva cronica, valutata come priva della continuita’ patologica che necessita, secondo i principi, ai fini del trattamento assistenziale richiesto.

6. In conclusione il ricorso va rigettato.

La soccombente non e’ condannata al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del presente giudizio, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo vigente prima delle modifiche introdotte dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 1 convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, nella specie inapplicabile ratione temporis.

Nulla deve disporsi per le spese nei confronti del Comune di Casarano, in difetto di attivita’ difensiva dell’intimato.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Cosi’ deciso in Roma, il 26 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

 

 

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