Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17087 del 11/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 11/07/2017, (ud. 21/06/2017, dep.11/07/2017),  n. 17087

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2150-2015 proposto da:

M.L., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIOVANNI CARTA unitamente all’avvocato PIETRO PIRAS

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COOPERATIVA ALLEVATORI VILLANOVESI, in persona del legale

rappresentante Presidente del C.d.A. ME.AN.LU.,

considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato PIERINO

ROSARIO ARRU, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 324/2014 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. DI

SASSARI, depositata il 15/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2017 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO;

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che, con sentenza resa in data 15/7/2014, la Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato M.L. al pagamento, in favore della Società Cooperativa Allevatori Villanovesi s.p.a., delle somme alla stessa dovute a titolo di risarcimento dei danni e di sanzioni a causa dell’inadempimento del M. agli obblighi assunti nei confronti della cooperativa avversaria;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha confermato la valutazione già operata dal primo giudice circa il carattere ingiustificato dell’interruzione dei conferimenti del latte a cui il M. era impegnato in virtù del vincolo cooperativo, essendo lo stesso receduto con immediatezza dal rapporto sociale senza rispettare il dovere di preavviso imposto ai termini di statuto, e senza che si fosse determinata alcuna causa di forza maggiore o alcuna circostanza oggettiva idonea a rendere impossibile l’adempimento;

che, avverso la sentenza d’appello, M.L. ricorre per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione, illustrati da successiva memoria;

che la Società Cooperativa Allevatori Villanovesi s.p.a. resiste con controricorso, cui ha fatto seguito il deposito di ulteriore memoria;

considerato che, con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1363 e ss. c.c., degli artt. 2532, 2535 e 2536 c.c., dell’art. 2909 c.c., nonchè per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale omesso di rilevare l’intervenuto giudicato sulla circostanza relativa all’accettazione del recesso del M., da parte della cooperativa avversaria, avendo quest’ultima unicamente preteso che detto recesso avvenisse nel rispetto dello statuto sociale con il preavviso di dodici mesi;

che, conseguentemente, con l’intervenuta interruzione del rapporto sociale (ex art. 2532 c.c.), in virtù della (ormai incontestata e incontestabile) efficacia del recesso del M., quest’ultimo non avrebbe più potuto considerarsi tenuto al rispetto degli obblighi derivanti dal rapporto sociale (essendone peraltro materialmente impossibilitato a seguito della perdita del requisito di allevatore) e, dunque, al conferimento dei prodotti impegnati, rimanendo viceversa creditore della liquidazione della quota sociale e degli accantonamenti volontari, senza poter essere assoggettato alle sanzioni la cui irrogazione è stata viceversa ritenuta erroneamente legittima dal giudice a quo;

che la censura è manifestamente infondata;

che, infatti, l’odierna doglianza del ricorrente muove dall’erroneo presupposto dell’avvenuta formazione del giudicato sulla circostanza relativa all’accettazione, da parte della cooperativa, del recesso del M. dal rapporto sociale, secondo quanto asseritamente ricavabile dal contenuto (riportato in ricorso solo in estratto) della comparsa di costituzione in appello della medesima cooperativa;

che, viceversa, nel disporsi all’interpretazione delle argomentazioni sostenute dalla cooperativa convenuta, entrambi i giudici del merito hanno espressamente dato atto (sulla base di considerazioni correttamente e logicamente argomentate) della radicale inefficacia del preteso recesso del M. (in conformità alle difese sostenute dalla stessa cooperativa avversaria), avendo il socio trascurato di rispettarne l’essenziale condizione di efficacia rappresentata dalla contestuale indicazione del preavviso imposto ai termini di statuto;

che, conseguentemente, la mancata indicazione del preavviso contestuale al recesso, nell’attestarne l’irrimediabile inefficacia, ha imposto di qualificare l’occorrenza dell’interruzione dei conferimenti promessi dal M., quale inadempimento contrattuale dello stesso;

che, pertanto, a fronte dell’accertato inadempimento del socio cooperatore, del tutto legittimamente i giudici del merito hanno pronunciato la condanna del M. al risarcimento dei danni in favore della controparte, oltre al pagamento delle sanzioni dallo stesso dovute in conformità alle previsioni statutarie;

che, con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1363 e ss. e 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., nonchè per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale determinato l’entità delle sanzioni imposte a carico del M. sulla base di un’errata interpretazione dei termini statutari e degli elementi di prova acquisiti al giudizio, imponendo un’illegittima inversione dell’onere probatorio a carico del ricorrente;

che la censura è inammissibile in relazione a ciascuno dei profili evidenziati;

che, al riguardo, con riferimento alla pretesa errata interpretazione dei termini statutari, osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione degli atti negoziali deve ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità unicamente nei limiti consentiti dal testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ovvero nei casi di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3;

che in tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata chiede d’essere necessariamente dedotta con la specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sia discostato dai suddetti canoni, traducendosi altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti, in una mera proposta reinterpretativa in dissenso rispetto all’interpretazione censurata; operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 17427 del 18/11/2003, Rv. 568253);

che, nel caso di specie, l’odierno ricorrente – dopo aver riprodotto (benchè solo in modo lacunoso e a brani, senza neppure rispettare il principio di autosufficienza per come codificato dall’art. 366 c.p.c., n. 6) il contenuto dello statuto della cooperativa avversaria – si è limitato ad affermare, in modo inammissibilmente apodittico, il preteso tradimento, da parte dei giudici di merito, del senso letterale delle parole (ai sensi dell’art. 1362 c.c.), nonchè la scorrettezza dell’interpretazione complessiva attribuita ai termini dell’atto negoziale (ex art. 1363 c.c.), orientando l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione giudiziale dell’atto esaminato, non già attraverso la prospettazione di un’obiettiva e inaccettabile contrarietà, a quello comune, del senso attribuito alle parole interpretate, o della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell’interpretazione complessiva dell’atto, bensì attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilità della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge (ex art. 360 c.p.c., n. 3) attraverso la sollecitazione della corte di legittimità alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito;

che, al riguardo, è appena il caso di rilevare, infatti, come la corte territoriale abbia proceduto alla lettura e all’interpretazione delle dichiarazioni negoziali in esame nel pieno rispetto dei canoni di ermeneutica fissati dalla legge, non ricorrendo ad alcuna attribuzione di significati estranei al comune contenuto semantico delle parole, nè spingendosi a una ricostruzione del significato complessivo dell’atto negoziale in termini di palese irrazionalità o intima contraddittorietà, per tale via giungendo alla ricognizione di un contenuto negoziale sufficientemente congruo, rispetto al testo interpretato, e del tutto scevro da residue incertezze;

che, con riguardo alla pretesa violazione dell’artt. 115 c.p.c., in connessione l’art. 2697 c.c., osserva il collegio come la censura illustrata dal ricorrente non contenga alcuna denuncia del paradigma dell’art. 2697 c.c., e di quello dell’art. 115 c.p.c., limitandosi a denunciare unicamente una pretesa erronea valutazione di risultanze probatorie;

che, sul punto, varrà rimarcare il principio di fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa corte di legittimità, ai sensi del quale la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016) (cfr. Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, in motivazione);

che con riguardo, infine, al denunciato omesso esame di fatti decisivi controversi, osserva il Collegio come con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con la L. n. 134 del 2012, sia stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

che da tale premessa consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);

che, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza del ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

che sulla base delle considerazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza delle censure avanzate dal ricorrente, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del M. al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese di giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2017

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