Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17082 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. II, 16/06/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 16/06/2021), n.17082

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25820/2019 proposto da:

A.Y.A., elettivamente domiciliato in Crotone via

Libertà n. 27/B, presso lo studio dell’avv.to ASSUNTA FICO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANZARO, depositato il

17/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/01/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Catanzaro con decreto pubblicato il 17 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da A.Y.A., cittadino dell’Iraq, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il richiedente aveva raccontato di essere espatriato perchè il padre era nell’esercito di S. ed era tesserato del partito baathista e, pertanto, alla caduta del regime aveva subito minacce ed era stato costretto a fuggire. La madre e i fratelli una volta tornati in Iraq per vendere dei terreni erano stati uccisi mentre lui era rimasto con il padre in Turchia. In caso di rientro temeva di essere ucciso per vendetta. Il ricorrente aveva anche prodotto delle lettere minatorie ricevute dai suoi familiari e una copia dell’elenco degli ufficiali della resistenza islamica e il mandato di arresto a carico del padre.

Il Tribunale reputava generica e contraddittoria la narrazione effettuata dal richiedente,richiamando integralmente le motivazioni della commissione territoriale ed evidenziando che non era stato aggiunto alcun elemento nel ricorso introduttivo e nell’audizione in sede giudiziale. In particolare, il Tribunale non reputava credibile il racconto in relazione alla carriera militare del padre del richiedente su cui si fondava la presunta persecuzione. Il Tribunale dubitava anche della genuinità delle foto, che erano state prodotte solo in un secondo momento dal richiedente, il quale in precedenza aveva affermato di non avere alcuna foto del padre. Il Tribunale non riteneva credibile neanche la parte del racconto relativa al rientro in Iraq della madre e dei fratelli del richiedente che sarebbero stati uccisi. Secondo il Tribunale, dunque, la non credibilità della storia sulla base degli indicatori di genuinità soggettiva rendeva superfluo l’attivazione dei poteri istruttori ufficiosi circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine.

Di conseguenza il collegio giudicante rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che dal racconto sulle circostanze che avevano indotto il ricorrente a lasciare il paese non emergevano elementi tali da determinare uno stato di persecuzione idoneo al riconoscimento dello status di rifugiato.

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), c), per la non verosimiglianza del racconto sui motivi dell’espatrio.

Il richiedente non aveva allegato che, in caso di rimpatrio, poteva rischiare la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generale e indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato e, sulla base delle fonti internazionali l’Iraq almeno nella zona del governatoriato di Thi non poteva ritenersi soggetto ad una violenza generalizzata.

Infine, quanto alla richiesta di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il Tribunale evidenziava che non erano stati allegati fatti rilevanti ai fini della valutazione sulla vulnerabilità presupposto per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il Tribunale reputava non sufficiente a dimostrare un’integrazione sociale del richiedente l’attestato di formazione e il progetto formativo individuale di tirocinio e la busta di paga per tale tirocinio prodotta in giudizio. Evidenziava, infatti, che il richiedente non aveva legami affettivi significativi, non aveva un rapporto di lavoro ed era ospite presso un centro di accoglienza per richiedente asilo e, dunque, mancavano gli elementi minimi di integrazione sociale. In ogni caso anche sotto il profilo comparativo non era ravvisabile una condizione di vulnerabilità per la sproporzione tra i contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali.

3. A.Y.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa valutazione dei documenti prodotti.

Il Tribunale non avrebbe preso in considerazione i documenti prodotti dal richiedente in particolare il mandato di arresto emesso dalle autorità irachene nei confronti del padre del ricorrente e dell’elenco degli ufficiali militari della resistenza islamica in violazione dell’art. 132 c.p.c..

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,7 e 8 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, errata valutazione delle condizioni legittimante riconoscimento dello status di rifugiato.

Il collegio giudicante avrebbe commesso un chiaro errore valutativo nel giustificare il mancato riconoscimento delle forme di protezione internazionale ed in particolare di quella primaria relativa allo status di rifugiato.

Il ricorrente avrebbe fornito un racconto preciso e dettagliato e il Tribunale non avrebbe tenuto conto del fatto che il padre è ricercato dalle autorità del paese per il servizio militare prestato a favore del regime di S.H. compresa l’onorificenza ricevuta e l’iscrizione al partito al bath. Inoltre, il Tribunale non avrebbe attivato i poteri istruttori officiosi riscontrando l’attualità del pericolo di ritorsioni da parte del nuovo regime nei confronti di coloro che avranno preso parte al partito bath. Vi erano dunque sufficienti motivi per riconoscere lo status di rifugiato, così come per riconoscere la sussistenza di una persecuzione idonea al riconoscimento della protezione sussidiaria.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,6 e 14, con riferimento alla protezione sussidiaria e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27.

Il Tribunale avrebbe commesso un chiaro errore valutativo nel giustificare il mancato riconoscimento delle forme di protezione internazionale, in particolare di quella sussidiaria, omettendo di compiere un’adeguata istruttoria in merito alla concreta ipotesi che il ricorrente, in caso di rimpatrio, possa nuovamente trovarsi nel pericolo di incorrere in un danno grave alla sua incolumità a causa del clima di violenza diffusa presente nel paese di provenienza.

Il ricorrente evidenzia che anche la zona indicata dal Tribunale è caratterizzata da un significativo aumento dei conflitti armati e da un numero crescente di vittime, come emerge dalle fonti internazionali. Allo stesso modo il sito viaggiare sicuri evidenzia i rischi per la presenza nel paese di violenza, terrorismo, uso di armi e manovre militari. Allo stesso modo un report di Amnesty International conferma l’attuale presenza di un conflitto armato in alcune aree del paese.

Pertanto, alla luce delle esposte allegazioni non vi sarebbe dubbio che un’esatta valutazione del rischio per il ricorrente di rimanere coinvolto in attacchi o pericoli di altra natura per la sua incolumità avrebbe dovuto determinare l’accoglimento della domanda di protezione sussidiaria per il pericolo di un danno grave alla persona, anche tenuto conto dell’impossibilità di ricevere adeguata tutela da parte delle istituzioni statali.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, mancata comparazione tra integrazione sociale e situazione personale del richiedente.

Il ricorrente evidenzia che sulla base di quanto già riportato in relazione alla situazione in Iraq di violazione dei diritti umani da parte dell’autorità statale doveva essere riconosciuta quanto meno una situazione di vulnerabilità tale da determinare l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria, anche tenuto conto del percorso di integrazione effettuato dal richiedente. Egli, infatti, coopera con gli operatori del centro di accoglienza nella gestione dei rapporti con gli altri ospiti e si è impegnato fattivamente in numerose attività formative, ha un’ottima conoscenza della lingua italiana e dispone di una serie di legami sociali.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ord. n. 3340 del 2019).

5. I quattro motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

Il Tribunale di Catanzaro ha motivato ampiamente le ragioni della ritenuta non credibilità del racconto sulla base di una valutazione complessiva. Peraltro, la mancata valutazione di un documento non integra una violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, ma, al più ricorrendone le condizioni, un omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

In proposito deve richiamarsi il consolidato principio di diritto secondo cui: “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre” non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata”. (Sez. 1, Sent. n. 16056 del 2016).

Il collegio di merito ha effettuato una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie, sufficientemente e logicamente argomentata, fondando il proprio convincimento sugli elementi ritenuti più attendibili e non era tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati. Il controllo del giudice della legittimità è limitato, infatti, alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448; Cass., Sez. L, sentenza n. 42 del 7 gennaio 2009, Rv. 606413; Cass., Sez. L., sentenza n. 2404 del 3 marzo 2000, Rv. 534557).

Inoltre, il Tribunale ha fatto esplicito riferimento a fonti qualificate dalle quali ha tratto la convinzione che l’Iraq non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito e anche non idonea, quanto ai restanti fatti rappresentati (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che, in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile (Cass. n. 14283/2019).

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che, in tal caso, non si impone l’esercizio dei poteri officiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, anche in questo caso il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso, con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, l’esistenza di una situazione di integrazione da cui derivare una sua particolare vulnerabilità in caso di rientro forzoso. In particolare, il Tribunale ha ritenuto non sufficiente a dimostrare un’integrazione sociale del richiedente l’attestato di formazione e il progetto formativo individuale di tirocinio e la busta di paga per tale tirocinio prodotte in giudizio. Peraltro, il richiedente non ha legami affettivi, non ha un rapporto di lavoro ed è ospite presso un centro di accoglienza per richiedente asilo e, dunque, correttamente il Tribunale ha ritenuto mancanti gli elementi minimi di integrazione sociale.

6. In conclusione il ricorso è inammissibile.

7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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