Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1708 del 23/01/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 23/01/2017, (ud. 17/11/2016, dep.23/01/2017),  n. 1708

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16317-2015 proposto da:

Z.D. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ARENULA 21, presso lo studio dell’avvocato LEOPOLDO DI BONITO,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE EZIO

CUSUMANO, GIUSEPPE GIANNI’, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.S.L. MILANO – AZIENDA SANITARIA LOCALE DI MILANO P.I. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA N. 2, presso lo studio del Dr.

P.A., rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO AVOLIO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1184/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/12/2014 R.G.N. 1037/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2016 dal Consigliere Dott. AMENDOLA FABRIZIO;

udito l’Avvocato DI BONITO LEOPOLDO;

udito l’Avvocato VITTORIA LUCIANO per delega Avvocato AVOLIO

VINCENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per inammissibilità, rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Z.D., dirigente presso l’Azienda Sanitaria Locale di Milano in aspettativa per mandato elettorale, in data 10 ottobre 2012 venne sottoposto a misura cautelare con privazione della libertà personale per reati quali lo scambio elettorale politico – mafioso, il concorso esterno in associazione mafiosa, la corruzione aggravata. Prima cautelarmente sospeso dal servizio, venne poi licenziato per giusta causa in relazione a tali fatti con deliberazione dell’Azienda del 6 marzo 2013.

Con sentenza del 19 dicembre 2014 la Corte di Appello di Milano ha respinto l’impugnativa del recesso proposta dallo Z., ritenendo che i fatti ammessi dallo stesso “giustificano in sè il recesso ex art. 2119 c.c., essendo più che congrua l’applicazione della sanzione del licenziamento senza preavviso, ex art. 8, comma 11 CCNL applicabile”: secondo la Corte “il fatto che il proprio dipendente, dirigente di una pubblica amministrazione, sia eterodiretto da soggetti estranei al rapporto di lavoro e si sia prestato, senza denuncia all’autorità giudiziaria, al ricatto da parte di soggetti oggetto di imputazione per associazione di stampo mafioso, soggetti con cui è volontariamente venuto in contratto per il procacciamento di voti in occasione delle elezioni regionali del 2010, giustifica ampiamente il venir meno del rapporto fiduciario datoriale”.

2. – Per la cassazione ditale sentenza ha proposto ricorso Z.G. con due motivi. Ha resistito con controricorso l’Azienda Sanitaria Locale di Milano. Parte ricorrente ha comunicato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia “nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto stabilite, in tema di licenziamento senza preavviso, dal combinato normativo disposto dall’art. 2119 c.c., L. 4 marzo 2009, n. 15, art. 7, comma 2, lett. c), D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 ter e quater, L. n. 97 del 2001, artt. 4 e 5, del CCNL art. 8, comma 11, n. 2, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; contestuale violazione dell’art. 112 c.p.c.”.

Si lamenta, tra l’altro, che il giudice del gravame avrebbe “omesso di pronunciarsi sulla suddetta decisiva censura, più volte oggetto di precisa doglianza da parte di Z. anche nei precedenti gradi di giudizio”.

Occorre rilevare che il motivo contiene la contemporanea deduzione di violazione di plurime disposizioni di legge, sostanziale e processuale, nonchè di contrattazione collettiva, senza alcuna specifica indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o al n. 4 ovvero al n. 5, non consentendo una adeguata identificazione del devolutum.

Invero il ricorso per cassazione, in quanto ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera chiara ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione. Il rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione comporta, fra l’altro, l’esposizione di argomentazioni chiare ed esaurienti, illustrative delle dedotte inosservanze di norme o principi di diritto, che precisino come abbia avuto luogo la violazione ascritta alla pronuncia di merito (Cass. n. 23675 del 2013), in quanto è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. n. 25044 del 2013; Cass. n. 17739 del 2011; Cass. n. 7891 del 2007; Cass. n. 7882 del 2006; Cass. n. 3941 del 2002).

Ancora di recente questa Corte, a Sezioni Unite, al cospetto di un motivo che conteneva censure astrattamente riconducibili ad una pluralità di vizi tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c., ha avuto modo di ribadire la propria giurisprudenza che stigmatizza tale tecnica di redazione del ricorso per cassazione, evidenziando “la impossibilità di convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da… irredimibile eterogeneità” (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf., da ultimo, Cass. n. 14317 del 2016).

Infatti tale modalità di formulazione risulta irrispettosa del canone della specificità del motivo di impugnazione nei casi in cui, nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione, non risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (tra molte v. Cass. n. 9228 del 2016; Cass. n. 7394 del 2010, n. 20355 del 2008, n. 9470 del 2008).

In particolare il motivo in esame inammissibilmente censura nello stesso tempo sia error in procedendo sia error in iudicando, vizi caratterizzati da sicura incompatibilità in quanto se vi è una omessa pronuncia su di un motivo di appello non vi può essere violazione di legge per la pronuncia sul medesimo motivo.

Peraltro dalla lettura dell’atto di appello emerge che la doglianza sul punto era effettivamente generica e quindi correttamente la Corte di Appello non l’ha valutata.

4. – Con il secondo motivo si denuncia “nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in materia di licenziamento per giusta causa: artt. 2119, 2697, 2727 e 2729 c.c., in combinato disposto, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Si lamenta che “i fatti considerati dai giudici d’appello come sicuri elementi e circostanze idonei a turbare il legame di fiducia con il datore di lavoro pubblico non sono apprezzabili come tali”; che “i giudici hanno ritenuto dimostrata e provata l’imputabilità della grave condotta al dipendente, sebbene tutto ciò non si ricavi neppure attraverso il ricorso a deduzioni logiche”; che “i fatti che emergono dalle intercettazioni andavano esaminati al di là del significato immediato ed estrinseco che esprimevano”.

Anche questo motivo non può trovare accoglimento perchè, nonostante l’attribuzione di un involucro solo formale alla censura riferita ad una pretesa violazione di legge, esso lamenta nella sostanza, come reso evidente dai passaggi del mezzo di gravame testè riportati, l’apprezzamento dei fatti condotto dai giudici del merito con un sindacato precluso dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, secondo il rigoroso orientamento espresso dalle Sezioni unite di questa Corte (v. sentt. nn. 8053 e 8054 del 2014).

Dette pronunce hanno espresso su tale norma i seguenti principi di diritto: a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. c.c., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che sì tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.

La censura in esame risulta largamente irrispettosa di tali enunciati, traducendosi nella sostanza in un diverso convincimento opposto a quello motivatamente espresso dai giudici del merito, sicchè essa appare tesa a conseguire una nuova pronuncia sul fatto, non concessa perchè estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità.

5. – Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre dare atto altresì della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2017

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