Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17079 del 08/08/2011

Cassazione civile sez. un., 08/08/2011, (ud. 21/06/2011, dep. 08/08/2011), n.17079

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo presidente f.f. –

Dott. LUPI Fernando – Presidente di sezione –

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente di sezione –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6950/2010 proposto da:

V.C., P.M.R., C.G.,

T.U., R.R.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE GORIZIA 22, presso lo studio dell’avvocato CRISTIANO

TOSCHI, rappresentati e difesi dall’avvocato GATTUCCIO Achille, per

delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

UNICREDIT S.P.A., in persona dei legali rappresentanti pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 32, presso lo

studio dell’avvocato LIDIA CIABATTINI, rappresentato e difeso

dall’avvocato TOSI Paolo, per delega a margine del controricorso

incidentale condizionato;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2029/2009 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 20/01/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2011 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

uditi gli avvocati Achille GATTUCCIO, Paolo TOSI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

T.U., V.C., P.M.R., P. R.M. e C.G., ex dipendenti della Sicilcassa s.p.a. transitati al Banco di Sicilia s.p.a. e cessati dai servizio in vista del prepensionamento con la fruizione della “indennità di accompagnamento” prevista dall’accordo sindacale in data 25 febbraio 1998, agivano in via monitoria nei confronti dell’ex datrice di lavoro allo scopo di conseguire il pagamento di una somma pari alla agevolazione fiscale di cui alla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 3. Il Tribunale di Palermo, dopo avere concesso i richiesti decreti ingiuntivi, respingeva le opposizioni proposte dal Banco di Sicilia, ritenendo che dal tenore letterale del citato accordo sindacale non si evinceva la rinuncia dei lavoratori all’agevolazione fiscale prevista dalla legge, di cui la società datrice di lavoro si era appropriata senza causa.

La Corte d’appello di Palermo, riuniti gli appelli proposti contro le sentenze di primo grado, li accoglieva, rigettando le domande già accolte in sede monitoria.

Preliminarmente riteneva infondata l’eccezione di decadenza ex art. 2113 c.c., osservando che nella adesione dei lavoratori alla risoluzione consensuale del rapporto era manifestata la volontà risolutoria in relazione alla corresponsione dell’incentivo all’esodo e la dichiarazione in calce a prospetto di calcolo costituiva una mera dichiarazione di scienza.

Quanto al merito, la Corte d’appello ricordava che, in attuazione dell’art. 1 della legge 8 novembre 1997 n. 388, il Banco di Sicilia e le organizzazioni sindacali avevano sottoscritto, il 25 febbraio 1998, un accordo che aveva previsto per i dipendenti in possesso dei requisiti ivi indicati (di età e di anzianità contributiva), un piano di esodo incentivato con la erogazione di un’indennità di accompagnamento, diversamente determinata in relazione all’anzianità contributiva, ma in ogni caso fissata in misura pari “all’importo netto del trattamento pensionistico AGO che il lavoratore avrebbe percepito con la maggiorazione dell’anzianità contributiva mancante per il diritto alla pensione dell’AGO stesso”. Mentre era pacifico che il Banco di Sicilia aveva correttamente determinato l’indennità di accompagnamento per ciascuno degli appellati, corrispondendola in rate mensili, come previsto dall’accordo, gli appellati, ultracinquantenni se donne e ultracinquantacinquenni se uomini al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, rivendicavano la corresponsione di un’ulteriore somma pari alla riduzione dell’imposizione fiscale prevista dalla L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 3, secondo cui le indennità erogate allo scopo di agevolare l’esodo di determinate categorie di personale vengono tassate secondo le previsioni dell’art. 17 del testo unico delle imposte sui redditi, come modificato dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 5, e cioè, limitatamente ai lavoratori di oltre 50 anni se donne e di oltre 55 anni se uomini, con l’aliquota pari alla metà di quella applicata per la tassazione del trattamento di fine rapporto.

L’infondatezza della pretesa in questione, secondo la Corte, era evidenziata dal fatto che con l’accordo collettivo il Banco di Sicilia, come del resto non contestato dagli appellanti, si era impegnato a corrispondere a ciascun interessato una somma, al netto delle imposte, corrispondente all’importo del trattamento pensionistico netto che gli sarebbe spettato aggiungendo figurativamente all’anzianità previdenziale già maturata quella necessaria per l’accesso al pensionamento. Tanto emergeva inequivocabilmente dal tenore letterale della pattuizione, che lega la determinazione dell’emolumento alla misura “pari all’importo netto della pensione”, esprimendo quindi non solo la equivalenza, ma anche la omogeneità (importo netto) al parametro di riferimento. Peraltro tale previsione era coerente con la ratio dell’istituto, dichiaratamente volto ad assicurare il sostegno del reddito dei dipendenti che avessero scelto la risoluzione anticipata del loro rapporto di lavoro, assicurando loro l’effettiva percezione di una somma uguale a quella a cui avrebbero avuto diritto se, alla data dell’esodo, fossero stati in possesso del requisito contributivo per conseguire la pensione di vecchiaia.

Che questo fosse il contenuto dell’obbligazione assunta dal Banco di Sicilia era confermato dal tenore delle informazioni rese, in una causa analoga, dalle organizzazioni sindacali, con le quali i soggetti stipulanti avevano riferito che le questioni di natura fiscale non erano state oggetto di trattative, in considerazione del fatto che il trattamento fiscale di detto emolumento era regolato da disposizioni di legge la cui applicazione spettava al datore di lavoro in quanto sostituto di imposta.

Dunque il costo fiscale dell’operazione, per il tenore della pattuizione, rimaneva a carico del datore di lavoro, che vi avrebbe provveduto applicando le norme di legge (qualunque esse fossero) con una operazione di calcolo a ritroso per determinare, partendo dall’importo netto corrisposto al dipendente, l’imposta da versare all’Erario a proprie spese. La pattuizione era legittima perchè non violava alcuna norma inderogabile, non incidendo sulla entità dell’obbligazione tributaria nei confronti dell’Erario e limitandosi a traslare, nell’ambito dei rapporti patrimoniali, il costo delle imposte sul datore di lavoro. Gli appellati, però, configurando una sorta di ibrido tra la pattuizione al netto e quella al lordo, pretendono, oltre all’intera somma concordata (come in una pattuizione di netto), quella, ulteriore, corrispondente al risparmio fiscale realizzato da Banco di Sicilia in virtù della agevolazione di cui si è sopra detto.

La dedotta mancanza, nell’accordo del 25.2.1998, di una espressa rinuncia all’agevolazione fiscale era irrilevante, dato che l’intervenuta pattuizione “al netto” rendeva inutile e priva di oggetto ogni ulteriore previsione sugli aspetti fiscali dell’operazione.

I cinque ex dipendenti del Banco di Sicilia s.p.a. ricorrono per cassazione con sette motivi nei confronti della Unicredit s.p.a., nella sua qualità di incorporante del Banco di Sicilia. L’Unicredit resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato con un motivo. La stessa società ha depositato memoria illustrativa e il difensore dei ricorrenti osservazioni in replica alla conclusioni del pubblico ministero.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I due ricorsi devono essere riuniti (art. 335 c.p.c.).

2.1. Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367 e 1374 c.c., in relazione all’interpretazione dell’accordo collettivo del 25.2.1998 e dell’allegato regolamento.

Si rileva che il riferimento in detto accordo collettivo al parametro del “trattamento pensionistico netto” implica soltanto, sul piano letterale, che le parti avevano convenuto che il datore di lavoro, quale sostituto di imposta, avrebbe operato le trattenute di legge, ma non che la comune intenzione delle parti fosse quella di parificare, quanto al trattamento di incentivo all’esodo, i lavoratori in possesso dei requisiti angrafici a quelli che tali requisiti non avevano, pervenendo così a una disapplicazione della normativa fiscale agevolativa per essi prevista. Valorizzando poi il criterio interpretativo logico-sistematico, risulta che comune intenzione delle parti era quella di convenire un emolumento da corrispondersi ratealmente, dalla cessazione de rapporto al pensionamento, sottoposto ad uno specifico regime normativo e fiscale, richiamato nel contesto dell’atto negoziale e ben tenuto presente dalle parti stipulanti, comportante per i dipendenti aventi particolari condizioni anagrafiche la corresponsione di una somma “netta” maggiore rispetto ai lavoratori analogamente incentivati all’esodo ma non aventi gli stessi requisiti anagrafici.

Un’interpretazione che non riconosca l’incidenza in favore dei lavoratori interessati del beneficio fiscale in questione determina un pregiudizio per i medesimi e un vantaggio ingiusto per l’azienda, in violazione del criterio dell’interpretazione dei contratti secondo buona fede di cui all’art. 1366 c.c., e pone nel nulla gli effetti dell’agevolazione fiscale, in violazione del criterio di cui all’art. 1367 c.c., sull’interpretazione delle clausole nel senso in cui possano avere qualche effetto.

2.2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 4 bis, del t.u. sulle imposte sui redditi, come interpretato dalla sentenza della Corte di giustizia del 21.7.2005 nella causa n. 207/04.

Si rileva che la Corte di giustizia, nel giudicare discriminatoria la previsione per gli uomini di un’età minima di 55 anni per poter usufruire dell’agevolazione fiscale in questione, invece che di 50 anni come per le donne, ha ritenuto che tale agevolazione fiscale costituisce una condizione inerente ai licenziamento, rientrante quindi nell’ambito delle tutele comunitarie. Ciò smentiva che la stessa agevolazione fiscale possa avvantaggiare il datore di lavoro invece che il lavoratore.

2.3. Il terzo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 23 e 64, sostiene che quanto ritenuto dalla sentenza impugnata si pone in contrasto con la disciplina legale in materia di accertamento delle imposte sui redditi e specificamente con il ruolo del sostituto di imposta, che deve limitarsi ad una neutrale intermediazione, senza assumere alcuna posizione di soggetto passivo di imposta. Si deduce anche la violazione del principio secondo cui l’accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive devono essere effettuati al lordo delle ritenute fiscali e contributive. L’emolumento previsto nella specie è quindi entrato nel patrimonio dei lavoratori al lordo delle ritenute fiscali e contributive e sarebbe stato onere del Banco di Sicilia provare una volontà delle parti di rinuncia alla agevolazione fiscale.

2.4. Il quarto motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1218 c.c., nonchè dell’art. 425 c.p.c., deduce specificamente la violazione dei principi sulla distribuzione dell’onere della prova: una volta provato dai lavoratori il loro credito all’agevolazione fiscale, la banca, per dimostrare la pretesa traslazione dell’agevolazione fiscale in suo favore, avrebbe dovuto provare il fatto estintivo di tale credito, e cioè la pattuizione di una rinuncia all’agevolazione fiscale. Ed è alla luce di tale considerazione che avrebbero dovuto essere valutate le informazioni sindacali, secondo cui le questioni di natura fiscale non avevano formato oggetto delle trattative.

2.5. Il quinto motivo propone la stessa questione denunciando omessa e insufficiente motivazione sul punto relativo alla sussistenza o meno di una rinuncia delle organizzazioni sindacali all’agevolazione fiscale. Si rileva che, assodato che l’incentivo all’esodo era entrato nel patrimonio dei lavoratori al lordo delle trattenute fiscali, sarebbe stato decisivo ai fini del giudizio esaminare gli intervenuti accordi sindacali per verificare se negli stessi era rinvenibile una volontà abdicativa delle OO.SS. rispetto all’agevolazione fiscale.

2.6. Il sesto motivo, denunciando violazione dell’art. 3 Cost., per manifesta irragionevolezza e trattamento analogo di posizioni differenti, omessa e contraddittoria motivazione, fa riferimento alla circostanza che la presenza di una rinuncia dei lavoratori al beneficio fiscale è stata esclusa nel rigettare l’eccezione della datrice di lavoro di rinuncia e decadenza, e rileva altresì che, fruendo gli attuali ricorrenti di un’agevolazione di imposta, gli importi loro corrisposti dalla banca al netto delle trattenute fiscali non potevano non essere superiori rispetto a quelli corrisposti ai colleghi non fruenti della medesima agevolazione. Si lamenta anche la mancata considerazione della eclatante discriminazione rispetto agli esodati cinquantenni che, in forza della sopra richiamata sentenza della Corte di giustizia avevano conseguito il riconoscimento dell’agevolazione fiscale.

2.7. Il settimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per la mancata corrispondenza tra domanda e pronuncia rispetto alla causa petendi. In sostanza si lamenta che il giudice di appello abbia erroneamente ritenuto che gli attuali ricorrenti avessero dedotto l’inderogabilità della normativa fiscale anche nei rapporti tra contribuente e sostituto d’imposta e conseguente violazione de principio di capacità contributiva conseguente all’interpretazione dell’accordo sindacale proposta dalla società datrice di lavoro. Nella specie infatti, diversamente che in cause precedenti, era stata dedotta solamente la violazione della disposizione di legge agevolativa e la erronea applicazione dell’accordo sindacale.

3. Il motivo del ricorso incidentale condizionato, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 2113 c.c., oltre a carente e contraddittoria motivazione, sostiene che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, l’eccezione di decadenza ex art. 2113 c.c., trovava puntuale riscontro nella documentazione prodotta.

4. E’ opportuno ricordare che la presente causa è stata assegnata alle Sezioni unite a seguito di istanza del difensore dei ricorrenti in via principale al presidente della Sezione lavoro, con cui era stata segnalata l’opportunità di una pronta fissazione de ricorso in relazione ad un contrasto di giurisprudenza manifestatosi sulla questione oggetto del giudizio nell’ambito della Corte d’appello di Palermo e della pendenza di numerosi altri analoghi giudizi davanti alla stessa Corte. Deve ritenersi quindi che le Sezioni unite siano chiamate a pronunciarsi su una questione di massima ritenuta di particolare importanza, a norma dell’art. 374 c.p.c., comma 2.

5. I motivi del ricorso principale sono esaminati congiuntamente, stante la loro connessione.

6. Ritiene la Corte che la questione dibattuta sia stata adeguatamente e correttamente esaminata dalla sentenza impugnata.

6.1. Secondo il giudice di appello, con l’accordo in data 25 febbraio 1998 fu convenuta la corresponsione, ai lavoratori che risolvevano volontariamente (naturalmente nella ricorrenza di taluni presupposti di età e di contribuzione) il rapporto di lavoro prima della maturazione del diritto a pensione, di un’indennità, corrisposta ratealmente, pari all’importo netto del trattamento pensionistico che il lavoratore avrebbe percepito sulla base della anzianità contributiva, maggiore di quella effettiva, che sarebbe stata necessaria a ciascuno di essi per maturare il diritto alla pensione.

Neanche con il ricorso per cassazione in effetti è stato posto in dubbio che l’accordo garantisse la corresponsione di somme al netto delle ritenute fiscali.

Del resto, come giustamente osservato dalla controricorrente, la negazione che l’accordo prevedesse, sia pure implicitamente, una tale soluzione, oppure la messa in discussione della legittimità di un patto di “netto”, non comporterebbe il diritto dei lavoratori a importi superiori di quelli già percepiti. Infatti partendo da un “lordo” pari all’importo netto dell’ipotizzato trattamento pensionistico, la somma dovuta al netto delle ritenute fiscali sarebbe in ogni caso (cioè anche calcolando la ridotta imposizione prevista a carico dei lavoratori di età superiore a un certo limite) inferiore a quella già corrisposta.

E deve preliminarmente osservarsi, riguardo alle censure mosse dai ricorrenti in via principale all’interpretazione fornita dal giudice di appello, che le stesse sono caratterizzate dal vizio di fondo di dare per scontato solo il risultato, positivo per i lavoratori, di tale interpretazione, e di suggerire ipotesi ermeneutiche che, nel tentativo di valorizzare la diversità di posizione tra lavoratori fruenti di diversi trattamenti fiscali, non si fanno invece carico di dimostrare il punto di partenza della garanzia per i lavoratori di un trattamento al netto delle imposte. In altri termini, mentre il ragionamento ermeneutico del giudice di appello, come subito si vedrà, implica, inscindibilmente con la garanzia del trattamento netto, l’irrilevanza degli specifici trattamenti fiscali, le proposte interpretative di cui al ricorso tentano di valorizzare elementi a favore della differenziazione delle posizioni a seconda del trattamento fiscale, ma non si fanno minimamente carico di dimostrare come tale risultato sia compatibile con la regola di base della garanzia del “netto”.

6.2 E’ ineccepibile sul piano logico-giuridico il rilievo della Corte d’appello, a cui si è già accennato, che, dal punto di vista della somma netta da corrispondere al lavoratore e del suo relativo interesse concreto, non risulta rilevante la misura dell’imposizione fiscale applicabile, incidente (solo) sulla determinazione dell’importo “lordo” della prestazione che il datore di lavoro avrebbe dovuto determinare (con il ed. calcolo a ritroso) al fine di pervenire, una volta effettuata la ritenuta alla fonte prevista dalla legge, all’importo concordato come “netto”.

6.3. Circa le deduzioni sul piano ermeneutico del ricorso, ferme restando le riserve di fondo di cui ai paragr. 6.1. e 6.2,, deve rilevarsi che le doglianze di violazione di regole legali sull’interpretazione dei contratti di cui al primo motivo non riescono, per così dire, a collegarsi ad elementi letterali o logici effettivamente indicativi di un’intenzione delle parti di assicurare ai lavoratori aventi diritto, in ragione della loro età, più elevata di un determinato limite (più prossima all’età del pensionamento di vecchiaia), ad un trattamento fiscale di miglior favore, un trattamento lordo e netto maggiorato, in maniera tale che quest’ultimo venisse concretamente a superare quello oggetto della regola generale della corrispondenza al parametro fissato dall’accordo. Le considerazioni al riguardo svolte non trovano alcun riscontro nel tenore dell’accordo e sono in definitiva mera espressione della tesi, opinabile (cfr. la finalità dell’accordo, messa in luce dalla sentenza impugnata, di garantire a tutti i lavoratori livelli di redditi corrispondenti ad un parametro obiettivo), che sarebbe stato più opportuno o equo un accordo che avesse accordato un trattamento diverso e migliore ai lavoratori fruenti di un più favorevole trattamento fiscale.

Non risulta poi precisa, in linea di fatto, l’affermazione secondo cui l’accordo del 25 febbraio 1998 ha richiamato la normativa sul trattamento fiscale agevolato spettante agli attuali ricorrenti.

Infatti tale accordo, secondo quanto riferito anche nel ricorso, richiama il 6^ periodo del comma 3 dell’art. 59 della L. n. 449 del 1997 (da cui è tratta la citazione sui requisiti di anzianità contributiva e di età previsti dalla “legislazione previgente”), che non parla del trattamento fiscale, menzionato in un altro periodo del medesimo comma (il terzo).

6.3. Le precedenti considerazioni evidenziano l’infondatezza anche del quarto e del quinto motivo, poichè la portata dell’accordo esclude che possa parlarsi propriamente di una rinuncia dei lavoratori o dei sindacati all’agevolazione fiscale, con onere della relativa prova a carico dell’istituto bancario che intende avvalersene. Semplicemente, stante la portata dell’accordo, così come interpretato dal giudice di merito, l’agevolazione fiscale non influisce sulle somme (nette) spettanti ai lavoratori.

6.4. Non può ritenersi rilevante la circostanza, fatta valere con il secondo motivo, che la Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza 21 luglio 2005 nel procedimento C-207/04, abbia ritenuto in contrasto con la direttiva 9 febbraio 1976, 76/207/CE, relativa alla parità tra uomini e donne in materia di accesso e condizioni di lavoro e operante anche riguardo alle condizioni inerenti al licenziamento, a una norma che consenta, a titolo di incentivo all’esodo, il beneficio della tassazione con aliquota ridotta delle somme erogate in occasione della interruzione del rapporto di lavoro, con riferimento ad età diverse per le donne e gli uomini, come nel caso della legislazione italiana vigente all’epoca dei fatti di causa. A parte il fatto che tutti i ricorrenti basano la domanda proprio sul fatto di avere avuto il titolo all’agevolazione fiscale già in base al tenore della legge italiana, deve osservarsi che dalla sentenza comunitaria, anche tenendo conto della qualificazione della normativa fiscale in questione come incidente, ai fini della direttiva, sulle condizioni inerenti al licenziamento, non emerge alcun vincolo per la contrattazione collettiva a non configurare discipline che valgano a compensare, sul piano privatistico, disparità di disciplina fiscale correlate all’età dei lavoratori.

E’ palesemente irrilevante anche l’adombrata ipotesi che in linea di fatto qualche lavoratore di sesso maschile di età compresa tra i 50 e i 55 anni abbia potuto conseguire, sulla base di un giudizio tributario e invocando la richiamata sentenza comunitaria, la restituzione dall’amministrazione finanziaria di una quota delle ritenute fiscali piene operate dal datore di lavoro.

6.5. Neanche i principi di cui all’art. 3 Cost., richiamati dal sesto motivo, ostano a una disciplina contrattuale collettiva come quella in esame, che, mediante la previsione della misura al “netto” di trattamenti incentivanti la risoluzione anticipata dei rapporti di lavoro e destinati a sopperire per un certo periodo alla mancanza sia della normale retribuzione che della pensione, vengano praticamente a compensare diversità di disciplina fiscale correlate all’età del lavoratore al momento dell’esodo. Infatti, nell’ambito dei rapporti di lavoro di diritto privato, la disciplina contrattuale, in linea di massima, e salvo che per gli aspetti interessati dalle varie normative antidiscriminatorie, non è vincolata, come è noto, dal principio di parità di trattamento di cui alla norma costituzionale (cfr. Cass., Sez. un., n. 4570 del 1996; Cass. n. 10581 del 1999, 4850 del 2006, 16015 del 2007). Inoltre, in un caso come quello in esame sono ravvisabili, a giustificazione di una disciplina contrattuale collettiva contenente misure dirette a compensare, sul piano pratico ed economico, le diversità di trattamento tributario in questione, varie legittime ragioni, quali l’intento di favorire, nell’interesse della funzionalità ed economicità dell’impresa, un più consistente esodo di lavoratori, e, nell’interesse generale dei lavoratori, di assicurare un trattamento economico adeguato per tutti i lavoratori interessati.

6.6. Il terzo e il settimo motivo appaiono in contraddizione tra di loro, nel primo sostenendosi – oltre che l’accertamento dei crediti pecuniari del lavoratore deve essere effettuato al lordo – il contrasto tra la sentenza impugnata e la normativa legale sul ruolo del sostituto di imposta, che deve limitarsi ad una neutrale intermediazione e non può assumere alcuna posizione di soggetto passivo di imposta, e nell’altro motivo lamentandosi che il giudice di appello abbia erroneamente ritenuto che fosse stata dedotta l’inderogabilità della normativa fiscale nei rapporti tra contribuente e sostituto d’imposta.

Comunque, le doglianze di cui a detti motivi sono infondate, o per l’insussistenza nella specie dei relativi presupposti di fatto (assunzione da parte del datore di lavoro della posizione di soggetto passivo di imposta), o per la non incidenza dei relativi rilievi rispetto all’oggetto del giudizio e ai fini del decidere. Inoltre non può ritenersi chiaramente ed efficacemente posto in discussione dai ricorrenti il principio affermato dalla sentenza impugnata, secondo cui sono ammissibili pattuizioni sui compensi dovuti al lavoratore formulate con riferimento al “netto”. Peraltro tali accordi implicano la determinazione per relationem della misura effettiva o lorda della prestazione e quindi con gli stessi non viene contraddetta la disciplina sulla misura degli oneri fiscali a carico dei lavoratori e sulle modalità della loro riscossione mediante trattenute alla fonte da parte del datore di lavoro (Cass. n. 16312 del 2002, 20790 del 2010; cfr. anche Cass., Sez. un. n. 11025 del 2003 e Cass. n. 9157 del 2000). Nè il meccanismo legale può ritenersi leso in considerazione della irrilevante circostanza della applicabilità, nel caso concreto, di un trattamento fiscale in qualche maniera derogatorio di quello di normale.

7. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato e il ricorso incidentale condizionato rimane assorbito.

8. Le spese del giudizio sono regolate in base al criterio legale della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale, e condanna i ricorrenti in solido tra loro a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio, liquidate in Euro cento per esborsi ed Euro cinquemila per onorari.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2011

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