Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17074 del 11/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 11/07/2017, (ud. 26/04/2017, dep.11/07/2017),  n. 17074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12534-2015 proposto da:

S.A., B.C., B.E.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIASTATILIO OTTATO 33, presso lo

studio dell’avvocato CHIARA SCIOLA, rappresentati e difesi

dall’avvocato MARINELLA ASEGLIO GIANINET giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

SA.RO., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 11,

presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO TOBIA, rappresentato e

difeso dall’avvocato GAETANO PIERMATTEO giusta procura in calce al

controricorso;

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA in persona del procuratore ad negotia pro

tempore, Dott. F.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

S.COSTANZA 27, presso lo studio dell’avvocato LUCIA MARINI, che la

rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

SCHIAPPARELLI 11, presso lo studio dell’avvocato DEMETRIO ZEMA che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIO DEMARIA

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1937/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 29/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2009, B.S. convenne in giudizio il dott. C.G. al fine di sentirlo condannare, previa risoluzione parziale del contratto professionale intercorso tra le parti, alla restituzione del prezzo pagato in forza del contratto risolto, nonchè al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti e delle lesioni personali cagionate a causa del parziale inadempimento, ovvero, in via subordinata, alla restituzione del prezzo pagato in eccesso rispetto alla prestazione utilmente effettuata.

Espose di aver stipulato con il dott. C. nel 1998 un contratto per la cura completa della dentatura; che il trattamento dell’arcata inferiore era stato rallentato per essere stata riscontrata la presenza nel cavo orale di un emangioma; che, eseguita una visita presso uno specialista maxilo-facciale, dott. V., questi aveva ritenuto proseguibile l’intervento preventivato dal dott. C.; che nelle varie visite e controlli anche successive all’intervento, non erano emerse anomalie; che tuttavia nel 2004 la protesi dentale inferiore si era rotta; che, dopo aver proposto ricorso per accertamento tecnico preventivo, aveva dovuto rimuovere totalmente la protesi; che il dott. C. era incorso in un grave inadempimento nell’esecuzione della protesi destinata all’arcata dentaria inferiore, in quanto l’opera prestata si era rivelata del tutto inadatta alla sua destinazione, causando un grave danno verosimilmente a causa della mancata fissazione della protesi con cemento definitivo, senza aver eseguito lavori preparatori per far durare più a lungo possibile la protesi.

Si costituì il dott. C.G., deducendo che gli interventi in discussioni erano stati eseguiti da un suo collaboratore, dott. Sa.Ro., con cui aveva stipulato un contratto di associazione in partecipazione senza vincolo di subordinazione e chiedendo quindi di chiamarlo in causa quale unico responsabile dell’esecuzione dei suddetti interventi. Chiese inoltre di chiamare in causa la propria compagnia assicuratrice La Nazionale S.p.a., nella subordinata ipotesi di accoglimento della domanda attrice. Nel merito, il dott. C. contestò la fondatezza della domanda, deducendo che la realizzazione degli impianti a regola d’arte ed evidenziando la particolare complessità dell’intervento in ragione delle peculiari condizioni di igiene del cavo orale del paziente, nonchè della presenza di un emangioma, per il quale era stato acquisito il parere dello specialista prof. V., attenendosi al quale si era proceduto alla cementificazione provvisoria dell’arcata inferiore. Secondo il C., quindi, i problemi sopravvenuti erano imputabili alla trascuratezza dello stesso che non si presentava ai controlli periodici e trascurava l’igiene orale, nonostante fosse stato reso edotto della necessità di controlli ravvicinati ogni sei mesi.

Il terzo chiamato dott. Sa.Ro. si costituì esponendo che il proprio accordo di collaborazione con il dott. C. prevedeva che egli avrebbe eseguito interventi per conto dello stesso, all’esito di una visita del paziente, senza margini di discrezionalità esecutiva e contestando il nesso causale tra la protesi realizzata ed impiantata e i danni lamentati dall’attore. Inoltre, eccepì la prescrizione ex art. 2226 c.c. e chiese di essere autorizzato a chiamare in causa la propria assicurazione, Navale Assicurazioni S.p.a..

Si costituirono in giudizio le assicurazioni contestando, nei confronti di entrambi gli assicurati, la non operatività della copertura assicurativa con riguardo alla domanda di restituzione del corrispettivo pagato dal paziente in favore dei medici, essendo la garanzia limitata all’eventuale risarcimento del danno extracontrattuale. Nel merito, si associarono alle difese dei rispettivi assicurati.

La causa fu istruita con l’acquisizione di prove orali e del fascicolo del procedimento per ATP, nonchè con l’espletamento di CTU medico-legale.

A seguito del decesso, nelle more del giudizio di primo grado, di B.S., la causa fu proseguita dalle eredi S.A. e B.C. ed E.M..

Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 6242/2013, accolse la domanda attorea. Il Giudice di prime cure, pur avendo accertato, sulla base della CTU, che gli interventi erano stati eseguiti a regola d’arte e che anche la scelta della cementazione provvisoria era congrua, tenuto conto delle peculiari condizioni del paziente, ed in particolare della riscontrata lesione angiomatosa, ritenne che l’attore avesse dato prova di non essere stato adeguatamente informato dal dott. C. dei rischi di sue omissioni nella prosecuzione di controlli medici ravvicinati e di una scarsa igiene orale, riconducendo a tale omessa informativa il fallimento dell’intervento relativo all’arcata dentaria inferiore.

Condannò quindi il dott. C. alla restituzione del corrispettivo e al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno

Rigettò invece la domanda di manleva formulata dal C. nei confronti del dott. Sa., evidenziando che il contratto era stato stipulato dal B. solo con il primo medico, il quale era tenuto a rispondere dell’operato degli ausiliari di cui si fosse avvalso in ragione dell’organizzazione interna dello studio, e che comunque non era emerso alcun inadempimento quanto all’esecuzione tecnica della protesi.

Infine, quanto ai rapporti tra il C. e la propria compagnia assicuratrice, il Tribunale accertò che la garanzia assicurativa non esplicava effetto con riguardo alla condanna alla restituzione del compenso.

2. La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 1937 del 29 ottobre 2014.

La Corte di appello ha ritenuto tardiva ed inammissibile la doglianza attorea concernente l’asserita omessa informativa circa la necessità di procedere ad una cementazione solo provvisoria attese le circostanze del caso concreto, e mancanti le doglianze circa le omesse informative delle cautele da assumere nel periodo successivo alla installazione della protesi.

La Corte ha infatti evidenziato che B.S., con l’atto di citazione introduttivo del giudizio, si era limitato a sostenere che il dott. C. si era reso inadempiente nell’esecuzione della protesi, del tutto inadatta alla destinazione, causando un danno verosimilmente per la mancata fissazione della protesi con cemento definitivo, mentre non aveva allegato alcun profilo di inadempimento relativo all’omessa sensibilizzazione ed informazione del paziente circa i rischi connessi alla scelta terapeutica e la collaborazione richiesta al paziente (ovvero la necessità di periodici controlli e di un’attenta igiene).

Il primo atto con cui parte attrice in primo grado aveva affrontato il profilo del consenso informato (solo con riferimento alla scelta di cementificazione provvisoria) era nella prima memoria istruttoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, e tale aggiunta costituiva mutati() libelli inammissibile.

Secondo la Corte, anche a voler qualificare tale profilo come eccezione la cui esigenza sia sorta dalle difese del convenuto, parte attrice avrebbe dovuto comunque formularla entro la prima udienza di comparizione e trattazione.

In ogni caso, la Corte ha osservato che, dall’istruttoria orale, è emerso che al B. erano state chiarite sia la necessità/opportunità di provvedere ad una cementazione solo provvisoria per consentire eventuali futuri interventi sull’emangioma, sia l’informativa circa a conseguente necessità di farsi controllare la cementazione ogni sei mesi presso il centro.

In particolare, la Corte di Appello, a differenza del giudice di prime cure, ha ritenuto attendibili le dichiarazioni al riguardo del teste dott. Sollazzo.

3. Avverso tale decisione, propongono ricorso in Cassazione le signore S.A., B.C. e B.E.M., sulla base di tre motivi illustrati da memoria.

3.1 Resistono con controricorso il dott. C.G., il dott. Sa.Ro., Unipolsai Assicurazioni S.p.a. (già Navale Assicurazioni e La Nazionale Assicurazioni). E’ stata depositata anche memoria ma fuori termine.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo di ricorso, le ricorrenti lamentano la “violazione degli artt. 99, 112 e 113 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

La Corte di Appello di Torino, aderendo alle doglianze dell’appellante C. circa il preteso vizio di ultrapetizione della sentenza per aver posto a fondamento della decisione un profilo (quello dell’assenza di un consenso informato-informativa data al paziente), non specificamente indicato dall’attore, avrebbe travisato il principio della domanda nonchè quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, e sarebbe andata contro la consolidata giurisprudenza di legittimità circa la differenza tra mutatio ed emendatio.

In base a tale giurisprudenza, configurerebbe emendatio libelli e non inammissibile mutatio libelli la deduzione nel corso del giudizio di primo grado di profili di inadeguatezza della prestazione contrattuale di un professionista diversi da quelli originariamente allegati, che costituirebbero diversi aspetti o componenti dell’unico fatto storico invocato come causa petendi, ovvero l’insufficienza della prestazione professionale.

Nel caso, l’informativa sarebbe solo una delle modalità con cui la prestazione professionale si sarebbe dovuta svolgere, ma in concreto non si è svolta. Si tratterebbe quindi di specificazione delle modalità dell’inadempimento.

Inoltre, era stato il convenuto ad aver introdotto il tema dell’informativa, considerandola rilevante per provare di aver fatto tutto il necessario per adempiere alla sua obbligazione.

Il convenuto, quindi, non era mai stato disorientato, poichè l’indagine sull’informativa si era svolta proprio a seguito della sua difesa.

4.2. Con il secondo motivo, le ricorrenti denunciano la “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo”.

La Corte territoriale, nel ritenere provato che il convenuto abbia fornito l’idonea informativa sulle cautele da adottare nel caso di cementazione provvisoria, avrebbe omesso di valutare il fatto, rilevato dalle ricorrenti nel corso del giudizio, che deve essere il medico curante a fornire l’informativa e non un individuo sconosciuto al paziente, che non intrattiene con questi alcun rapporto, come nella specie il dott. So..

4.3. Con il terzo motivo, le ricorrenti denunciano la “violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

La Corte di Appello avrebbe violato le suddette norme nel ritenere che il dott. C. abbia fornito la prova dell’adempimento alla propria obbligazione di fornire una corretta ed esaustiva informazione sulla necessità di controlli periodici e delle cautele di manutenzione.

5.1. Il primo motivo di ricorso è infondato, anche se la motivazione della sentenza impugnata deve essere in parte modificata.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la recente sentenza n. 12310 del 15-06-2015, hanno abbandonato la tralatizia distinzione tra emendatio libelli e mutatio libelli affermando il principio secondo cui “la modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali”.

Secondo le Sezioni Unite, sarebbe d’altra parte difficile immaginare delle modifiche della domanda iniziale, diverse dalle mere precisazioni, che non incidano neppure in parte sugli elementi identificativi della stessa domanda. Inoltre, se si trattasse di modificazioni incidenti solo su aspetti marginali o sulla mera qualificazione giuridica dei fatti costitutivi inizialmente dedotti, non sarebbe giustificabile un limite temporale di ammissibilità, nè la previsione di una serie di termini a tutela del contraddittorio su dette modificazioni.

Tuttavia, la Corte osserva che l’art. 183, c.p.c. deve essere inteso nel senso che non sono ammesse domande “aggiuntive” rispetto a quelle originariamente proposte, se non quelle – proposte entro il termine previsto dall’art. 183 c.p.c., comma 5, – che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto.

Sono consentite, invece, domande, anche “nuove” (nel senso, modificate quanto a petitum c/o causa petendi) che però si sostituiscano a quelle iniziali, ponendosi con esse in un rapporto di alternatività o di incompatibilità.

Nel caso di specie, controparte ha lamentato l’inadempimento all’obbligo di consenso informato/informativa solo con la prima memoria ex art. 183 c.p.c..

La richiesta di accertamento di un simile inadempimento, diversa quanto a causa petendi rispetto alla domanda originaria (essendo fondata sull’asserita violazione di un’obbligazione ex lege ontologicamente diversa rispetto all’obbligazione attinente la corretta esecuzione della prestazione contrattuale), non ha sostituito la prima domanda, ma si è aggiunta ad essa, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione.

Di conseguenza, tale domanda risulta inammissibile.

5.2. La ritenuta inammissibilità della domanda relativa al profilo di inadempimento attinente agli obblighi in formativi comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi formulati dalle ricorrenti, entrambi tesi a censurare la sentenza della Corte di Appello di Torino nella parte in cui ha ritenuto che il C. avesse fornito la prova dell’adempimento ai predetti obblighi.

6. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

 

la Corte rigetta il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il secondo ed il terzo motivo e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 26 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2017

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