Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17072 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/07/2010, (ud. 07/06/2010, dep. 21/07/2010), n.17072

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 34164/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

F.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 178/2005 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 17/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di F.C. (che è rimasto intimato) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per Iva e Irpef relativo all’anno di imposta 1996, la C.T.R. Campania confermava la sentenza di primo grado (che aveva accolto il ricorso del contribuente), rilevando che, come evidenziato anche dai giudici della c.t.p., era riscontrabile un errore nel calcolo del maggior ricavo per erronea considerazione dei beni strumentali e che, peraltro, lo stesso Ufficio nell’atto d’appello non aveva contestato l’esistenza dell’errore, anzi lo aveva implicitamente ammesso, affermando che i primi giudici avrebbero potuto ridurre il reddito accertato, non annullare l’avviso opposto.

Col primo motivo di ricorso, deducendo violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, la ricorrente rileva: 1) che il giudice tributario è giudice del rapporto obbligatorio e pertanto, se (come nella specie) l’atto non è affetto da un vizio formale ma solo da un errore di calcolo che in ogni caso lascia un reddito residuo comunque superiore al dichiarato, deve giudicare sul quantum della pretesa fiscale; 2) che i giudici d’ appello non avrebbero sufficientemente motivato sull’esistenza e l’ammontare dell’errore, neppure individuandolo nella sua consistenza aritmetica; 3) che non poteva ritenersi provato l’errore di calcolo e la sua sussistenza sulla base delle affermazioni dell’Ufficio, il quale non aveva riconosciuto l’errore, ma, formulando nell’atto d’appello una richiesta subordinata, aveva chiesto che, ove si fosse accertato un errore, si poteva giungere ad una riduzione del reddito accertato, ma non all’annullamento dell’avviso.

Le censure esposte sono fondate.

Nella sentenza impugnata si afferma che l’avviso opposto è inficiato da una errata considerazione del valore dei beni strumentali. Secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione – annullamento, bensì tra quelli di impugnazione – merito, in quanto non diretto alla mera eliminazione dell’atto impugnato ma alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria, con la conseguenza che il giudice, il quale ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione, non deve nè può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal “petitum” delle parti (v. tra numerose altre Cass. n. 11212 del 2007). I giudici d’appello avrebbero pertanto dovuto calcolare l’incidenza dell’errore sull’accertamento opposto per verificare innanzitutto se, in concreto, correggendo l’errore, permanevano presupposti per il tipo di accertamento posto in essere e, in ogni caso, se residuavano una pretesa fiscale, tuttavia essi non solo non hanno effettuato tale indagine, ma non hanno neppure chiarito in cosa consistesse l’errore rilevato nè quale ne fosse la consistenza aritmetica. In proposito, non è possibile affermare (come indirettamente suggerito dalla sentenza impugnata) che una simile analisi non fosse necessaria in presenza di un riconoscimento dell’errore da parte dell’amministrazione, perchè (come peraltro risulta dalla narrazione in fatto della stessa sentenza impugnata) l’Ufficio nell’atto d’appello non ha riconosciuto l’errore ma ha difeso il proprio operato, evidenziando poi che, a fronte del rilevato errore di calcolo, i primi giudici non avrebbero potuto comunque annullare tutto l’atto, ma avrebbero dovuto calcolare l’incidenza dell’errore riducendo la pretesa dell’Ufficio.

In ogni caso, anche volendo prescindere dalle precedenti considerazioni, il supposto riconoscimento dell’errore da parte dell’ufficio mancherebbe pur sempre della indicazione della incidenza del suddetto errore sulla entità della pretesa riportata nell’avviso opposto, impedendo così la valutazione necessaria ad accertare nel merito la persistenza o meno di una pretesa fiscale residua.

Col secondo motivo la ricorrente deduce che, come affermato in appello, nella specie erano stati correttamente applicati i parametri di cui al D.P.C.M. 29 gennaio 1996, in base ai quali per valore dei beni strumentali, se di proprietà, doveva intendersi il costo di acquisto di essi, non rilevando che l’impresa li avesse totalmente ammortizzato.

La censura resta assorbita dalle considerazioni esposte in relazione al motivo che precede. Come già evidenziato, dalla sentenza impugnata non risulta in alcun modo indicata la natura e l’entità dell’errore asseritamente compiuto nella valutazione dei beni strumentali e ciò impedisce a questo giudice di apprezzare la censura in esame e l’interesse alla relativa proposizione.

Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto accolto, con assorbimento del secondo, e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altro giudice che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione dalla C.T.R. Campania.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

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