Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17071 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/07/2010, (ud. 04/06/2010, dep. 21/07/2010), n.17071

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

B.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 128/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 08/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/06/2010 dal Consigliere Dott. EUGENIA MARIGLIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

Con avviso di accertamento n. (OMISSIS), notificato il 26.9.2002, l’Agenzia delle entrate, Ufficio di (OMISSIS), contestava a B.C., consulente di pubblicità e marketing, un maggiore reddito imponibile ai fini I.R.Pe.F., contributo SSN e contributo straordinario per l’Europa, ed un maggiore volume di affari ai fini I.V.A. per l’anno d’imposta 1996, facendo applicazione dei parametri previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi da 181 a 189.

La contribuente non si presentava all’ufficio per il contraddittorio ma adiva la C.T.P. di Milano, deducendo l’illegittimità dell’atto notificatole per non essere i parametri utilizzati dall’Ufficio aderenti alla sua situazione economica dato che, nel periodo in considerazione, per ragioni personali (malattia della figlia) aveva potuto dedicare minor tempo alla sua professione, con conseguente riduzione della sua capacità lavorativa. Resisteva l’Ufficio, difendendo la legittimità del suo operato.

La C.T.P. accoglieva integralmente il ricorso. L’Ufficio proponeva appello, insistendo sulla legittimità dell’applicazione dei parametri previsti dal D.P.C.M. 29 gennaio 1996 e sostenendo che la contribuente non aveva assolto l’onere di dimostrare l’insussistenza del reddito accertato.

La C.T.R. della Lombardia rigettava l’appello, ritenendo che l’ufficio si era limitato a fornire il risultato dell’operata rettifica fiscale senza alcuna indicazione sugli elementi gravi, precisi e concordanti su quali aveva fondato la rettifica stessa.

Compensava, inoltre, le spese.

Avverso detta decisione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Non risulta costituita la contribuente.

Diritto

Con il primo motivo l’ente impositore deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e ss., e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, per avere la C.T.R. ritenuto che per l’accertamento sintetico operato a norma degli articoli sopraccitati fossero necessari ulteriori elementi, mentre dette norme attribuiscono all’ufficio di procedere all’accertamento sintetico del reddito di uno dei soggetti contemplati in dette disposizioni, quando il reddito dichiarato si discosti da quello risultante dai parametri, senza essere tenuto a dimostrare nulla di più, incombendo invece sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva insussistenza del reddito accertato.

Con la seconda censura si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4 e 5, per non avere la C.T.R. considerato come non raggiunta la prova contraria alla fondatezza dell’accertamento in quanto la documentazione prodotta dalla contribuente non poteva essere prodotta in giudizio non avendo la stessa ottemperato all’invito di sottoporsi al contraddittorio in fase pregiudiziale, nè contestualmente alla proposizione del ricorso aveva dichiarato di non aver potuto adempiere a tali richieste per causa a lei non imputabile.

Con il terzo motivo si lamenta l’omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, per essersi la C.T.R. limitata ad affermare che fosse plausibile che la capacità lavorativa della contribuente si fosse ridotta nel 1996 a causa dell’impegno profuso per la malattia della figlia, senza che tale affermazione fosse suffragata da ulteriori argomenti.

Il primo e terzo motivo sono fondati nei sensi di cui in motivazione.

Le due censure possono essere esaminate congiuntamente, stante l’intima connessione logico-giuridica. Dal contesto del ricorso sembra di capire che secondo parte ricorrente la procedura dell’applicazione dei parametri, una volta resa legittima dalla esistenza dei presupposti di fatto previsti dalla legge, contenga poi un certo automatismo abbastanza vincolante nella individuazione degli effetti dei coefficienti medesimi.

Questa impostazione non può essere condivisa dal momento che la L. n. 549 del 1995, art. 3, al comma 184, ultima parte, prevede una certa e significativa flessibilità allorchè consente all’operatore di utilizzare il particolare tipo di accertamento di cui qui si discute. Questa norma stabilisce, infatti, che “se i dati dichiarati non risultano compatibili con quelli indicati dall’applicazione dei coefficienti di cui all’art. 11”, l’ufficio ha il potere di determinare induttivamente l’ammontare del reddito, nonchè quello di singoli componenti positivi o negativi di esso, sulla base di due o più coefficienti, o “di altri elementi specificamente relativi al singolo contribuente”, quest’ultimo inciso lascia intendere che, in caso di necessità, i coefficienti presuntivi possono essere integrati o addirittura sostituiti da elementi particolari, propri del contribuente sottoposto a verifica. I coefficienti, quindi, in linea di massima forniscono una indicazione, che già la stessa amministrazione può superare utilizzando altri elementi, che evidentemente costituiscono dei limiti per lo strumento presuntivo nella situazione concreta. Il che significa, appunto, esclusione di ogni automatismo dei coefficienti e necessità di valutare sempre la situazione effettiva del contribuente.

Peraltro, il profilo del tendenziale adeguamento degli effetti dello strumento presuntivo alla situazione concreta da esaminare è emerso meglio nella normativa degli studi di settore (che costituisce una evoluzione significativa nella introduzione delle presunzioni nei meccanismi dell’accertamento), tanto che l’Amministrazione nella Circolare n. 110/E del 21 maggio 1999, correttamente e significativamente, ha sostenuto che “Sulla base di elementi di valutazione direttamente acquisiti ovvero forniti dal contribuente in sede di contraddittorio, gli uffici avranno cura di adeguare il risultato della applicazione degli studi alla concreta particolare situazione dell’impresa, tenendo anche conto della localizzazione nell’ambito del territorio comunale non colta dalle elaborazioni dalle quali sono scaturiti gli studi di settore. Le osservazioni formulate dai contribuenti nel corso del contraddittorio andranno attentamente valutate motivando sia l’accoglimento che il rigetto delle stesse”.

Ma, al di là di questa puntualizzazione effettuata dall’Amministrazione, che coglie l’intima ratio sottesa agli studi di settore, c’è da rilevare che la flessibilità degli strumenti presuntivi trova origine e fondamento proprio nell’art. 53 Cost., non potendosi ammettere che il reddito venga determinato in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. Ogni sforzo, quindi, va compiuto per individuare la reale capacità contributiva del soggetto, pur tenendo presente l’importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti presuntivi, che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione concreta (confronto che può essere anche vincente per gli strumenti presuntivi allorchè i dati forniti dal contribuente risultino inattendibili).

Peraltro, lo stesso legislatore dello Statuto del contribuente nel prevedere all’art. 12, comma 7 (che si pone come norma generale), un tendenziale necessario contraddittorio anticipato attraverso il quale il contribuente possa fornire dati e richieste che l’Ufficio ha l’obbligo di valutare, conferma indiscutibilmente l’esigenza che l’accertamento venga calibrato sempre al caso concreto, sulla base di una conoscenza più approfondita della situazione verificata.

Alla stregua dell’art. 12, e prima che si passi a valutare il profilo dell’inapplicabilità dei coefficienti o di altri strumenti presuntivi, 1 a stessa amministrazione deve individuare gli elementi da utilizzare nel caso concreto, potendo addirittura disattendere i coefficienti quando esistono altri dati che evidentemente esprimono meglio la situazione concreta. In ogni caso, sulla base dell’ultimo periodo dell’art. 12 citato, comma 4, ammesso che i coefficienti presuntivi siano stati utilizzati bene e legittimamente, resta il fatto che è ammessa la prova della inapplicabilità dei parametri al caso concreto. Questa prova non deve avere necessariamente collegata con dati documentali (come invece sembra avere sostenuto parte ricorrente), ma può essere costituita, in assenza di indicazioni normative specifiche contrarie, anche da presunzioni che il Giudice nel suo prudente apprezzamento va a configurare e a valutare.

La norma fa riferimento alle “specifiche condizioni di esercizio” dell’attività e lascia, quindi, ampio margine nella deduzione dei fatti impeditivi (L. n. 549 del 1995, comma 181).(cfr., ex multis, cass. civ. sentt. nn. 19163 del 2003, 23602, 24912, e 27648 del 2008 e 3288 del 2009).

Sulla questione, peraltro, si sono pronunciate anche le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 26635 del 2009, puntualizzando le diverse questioni che ineriscono a tale tipo di accertamento e evidenziando, tra l’altro, che destinatari di questo tipo di accertamento sono coloro che svolgono attività d’impresa o arti o professioni in contabilità semplificata ed in contabilità ordinaria quando quest’ultima risulti inattendibile a seguito di ispezione.

Quanto all’onere della prova, “cui nemmeno l’Ufficio è sottratto in ragione della peculiare azione di accertamento adottata, è così ripartito:

a) all’ente impostore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento;

b) al contribuente, che può utilizzare a suo vantaggio anche presunzioni semplici, fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’arca dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce.” Concludendo la disamina su tale tipo di accertamento le Sezioni unite hanno anche emesso il seguente principio di diritto: “La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddetto rio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddite rio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso i ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli ” standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito.” Tutto ciò premesso, nella specie, la C.T.R. non si è adeguata a tali principi e, nell’affermare che la contribuente aveva ottemperato all’onere della prova che incombeva su di lei, non ha in alcun modi) dato atto o esplicitato quali fossero gli elementi probatori addotti da quest’ultima per superare le presunzioni avanzale dall’Ufficio, facendo riferimento a generiche argomentazioni prive di qualunque concreta indicazione.

Il secondo motivo è invece inammissibile.

t’ principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui: “I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito, (cfr., ex multis, cass. civ sentt. nn. 10902 del 2001, 194 del 2002, 2140 del 2006 e 20518 del 2008).

Nella specie, dall’esame degli atti permesso a questa Corte trattandosi di vizio in procedendo, risulta che la questione relativa alla mancata osservanza del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, e 5, è stata proposta per la prima volta in sede di legittimità, nè peraltro dalla sentenza impugnata o dal testo del ricorso e dato rilevare alcun elemento contrario, non avendo l’Amministrazione finanziaria neppure adombrato di avere proposto detta censura nei gradi di merito; pertanto trattandosi di questione nuova, deve essere dichiarata inammissibile in armonia con il principio sopraindicato che il Collegio condivide completamente.

Conclusivamente il primo e terzo motivo di ricorso vanno accolti, mentre il secondo deve essere dichiarato inammissibile e, cassata la sentenza impugnata che ha fatto riferimento ad una regola iuris diversa, la causa va rinviata per un nuovo esame alla luce dei principi sopraesposti ad altra sezione della C.T.R. della Lombardia.

La stessa C.T.R. provvederà al governo delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo e, cassata la sentenza impugnata, rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della C.T.R. della Lombardia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 4 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

 

 

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